19 Febbraio 2021

Liliana Segre promuove la campagna vaccinale contro il coronavirus e subisce attacchi antisemiti

Fonte:

La Stampa

Gli insulti a Segre: il virus dell’odio è più pandemico del Covid

Non val neanche più la pena dell’indignazione, meno che meno dello stupore. O meglio, varrebbe la pena eccome, ma come si fa? Resta solo lo spazio per un disgusto rassegnato, sempre più inerme. La senatrice Liliana Segre, novant’anni compiuti lo scorso settembre, espulsa da scuola nel 1938, deportata ad Auschwitz nel 1944, riceve la prima dose di vaccino anti-Covid e la sua foto mentre porge la spalla viene, come esprimerlo, violata, sbeffeggiata, deturpata da una valanga di insulti e nefandezze colmi di un odio ottuso composto da una obbrobriosa macedonia di nazismo, antiscientismo e brutalità allo stato puro. «Non sono riusciti neanche i tedeschi ad ammazzarla», «speriamo che il vaccino faccia il suo dovere», «vai a lavorare, ladra!» (??) e via di seguito. Purtroppo non possiamo neanche più permetterci lo sconcerto, lo sgomento, la rabbia. Questa è solo l’ennesima ma sicuramente non ultima manifestazione di un male tanto cronico quanto terribile che ci chiama in causa tutti e per il quale, a quanto pare, non c’è cura che tenga. Questo odio gratuito e insopportabilmente velenoso, infatti, a quanto pare è endemico, anzi pandemico più di qualsiasi virus, nel nostro Paese. Chi scrive oscenità del genere di fronte alla fotografia di un’anziana signora nonché senatrice nonché reduce dai campi di sterminio è quell’uomo o quella donna qualunque che magari stava in fila al supermercato giusto dietro di noi, è il gentile vicino di scrivania, il genitore dell’amichetta di nostra figlia. Questi episodi carichi di una stupidità abissale condita di arroganza, violenza e cattiveria pura sono ormai troppo all’ordine del giorno per pensare che riguardino un margine lontano e isolato del nostro mondo. Questa gente sta e vive insieme a noi, ci tocca da vicino. E sputa il suo insopportabile veleno senza mai perdere una sola occasione. E un odio assurdo, che non ha altro scopo se non quello di venire sputato fuori senza alcuna ragione. È un veleno che ci intossica e che purtroppo sembra non ci sia più modo di smaltire. Non c’è antidoto che valga, non c’è educazione che riesca a tenerlo a freno, come dimostrano la sua immancabile puntualità, la totale mancanza di ritegno che lo fa venir fuori. Per questo non riusciamo più neanche a indignarci, men che meno a stupirci. Ormai ce lo aspettiamo in ogni angolo del presente, tanto nel mondo virtuale delle parole in rete quanto, neanche troppo di rado, in quello reale delle parole gridate e degli atti di violenza. Difficile provare, ormai, a immaginare delle armi capaci di lottare con questo tossico amalgama di ottusità, cattiveria e ignoranza. Ogni volta viene la rabbia, viene un dolore che stringe il cuore e i polmoni, avvita lo stomaco. Ma ogni volta che cose di questo genere succedono, e succedono ormai all’ordine del giorno, viene anche e sempre di più una rassegnazione non meno dolorosa. No, non ce la possiamo fare. Non ne usciremo più, da questa bassezza sempre più inutile, tossica, disumana.

di Elena Loewenthal