27 Dicembre 2013

Pregiudizi anti-Israele di un vaticanista

Israele-Vaticano, il dialogo di comodo
I pregiudizi del pellegrino Filippo Di Giacomo. Sembrerebbe questo il titolo più adatto per l’articolo “Il pellegrino Francesco va in Terra Santa sfidando i pregiudizi”, uscito oggi sul Venerdì di Repubblica a firma del giornalista e sacerdote Filippo Di Giacomo. Un pezzo che, prendendo spunto dalla futura visita di papa Bergoglio in Israele, contiene accuse alle autorità politiche israeliane, ree, secondo Di Giacomo, di aver dimostrato nei confronti del Vaticano “miopi visioni e calcoli meschini”. E c’è anche una stoccata all’ebraismo italiano in riferimento al giudizio storico su papa Pio XII. Temi complessi, toccati con una certa superficialità e su cui abbiamo chiesto un commento a rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, e a Sergio Minerbi, diplomatico e tra i massimi esperti dei rapporti tra Israele e Santa Sede.
Principalmente due i punti su cui fare chiarezza. In primo luogo, la presunta ostilità della classe politica israeliana nei confronti del Vaticano. Di Segni così come Minerbi sottolineano come nei rapporti politici fra i due Stati, la Santa Sede non abbia mai mostrato particolare simpatia per Israele, quando non avversione. “Dobbiamo distinguere la questione del dialogo interreligioso e il piano politico – riflette rav Di Segni – L’atteggiamento del Vaticano come Stato sovrano nei confronti dello Stato di Israele si può definire ambiguo, se non ostile”. Molto critico Minerbi, che dietro alle parole di Di Giacomo vede il riflesso di una posizione anti-israeliana che coinvolge i vertici della Chiesa. “Il veleno del sacerdote cattolico – afferma il diplomatico, già ambasciatore di Israele presso la Comunità europea a Bruxelles – non deve sorprendere nessuno. Non si tratta di uno scatto imprevisto ma si fonda su un’incomprensione di fondo nel rapporto tra i due paesi con il Vaticano che di fatto non ha mai approvato l’esistenza di Israele”. Nel suo pezzo Di Giacomo, collaboratore di diverse testate tra cui l’Unità, sostiene che dietro al viaggio di Bergoglio in Israele si celerebbe una sfida “nel farsi ben percepire da una società israeliana poco rappresentata da quella classe politica che, negli ultimi 23 anni nei rapporti con il Vaticano, ha dimostrato miopi visioni e calcoli meschini. Nei confronti dei cattolici e dei cristiani in genere infatti, i cittadini israeliani risultano da anni nettamente avanti rispetto ai loro governanti”. Che la società israeliana sia aperta e pluralista non è un segreto (il giornalista snocciola dati su una visione positiva da parte degli israeliani laici rispetto ai concittadini cristiani, già pubblicata in un suo articolo del 2010 su l’Unità dal titolo “Indovina chi viene in sinagoga”), quali siano i calcoli meschini dei suoi rappresentati invece appare meno comprensibile. La critica non è suffragata da fatti ma sembra, nella definizione di rav Di Segni “una rappresentazione vittimistica della realtà”. Il secondo punto è legato alla figura di Pio XII. Di Giacomo scrive “anche la spinosa questione della foto di Pio XII sul ‘muro della vergogna’, allo Yad Vashem di Gerusalemme, va vista con una connotazione che di ‘israeliano’ ha poco o niente: fu apposta nel 2005, al momento dell’apertura del nuovo museo, da un gruppo di ebrei italiani. Negli stessi mesi, nel parco adiacente allo Yad Vashem, altri ebrei italiani piantavano a loro spese alberi dedicati a preti cattolici in vita stretti collaboratori di Pio XII. Certo, per volare in Israele papa Francesco non avrà bisogno del visto dell’ebraismo italiano”. Il giudizio storico su una figura controversa come quella di Pio XII è ancora oggetto di aperto dibattito. Non ultimo con la polemica nata dalla decisione dello Yad Vashem di modificare la targa apposta sotto alla foto di papa Pacelli, temperando il giudizio che vi era espresso. “Ho protestato contro questa decisione”, rileva Di Segni che poi sottolinea come “gli ebrei italiani sappiano ben distinguere le azioni di Pio XII dai sacerdoti che li aiutarono. Non è confondendo la storia che si arriva alla verità”. Il silenzio ufficiale del papa mentre i nazifascisti deportavano gli ebrei è una ferita ancora aperta per la realtà ebraica italiana. Sul tema ci sono studi che vanno in direzioni opposte ma, afferma Minerbi, “non è stato trovato nessun documento ufficiale in cui vi sia scritto che Pio XII abbia invocato di salvare gli ebrei”.
Entrambi, sia Di Segni che Minerbi, sottolineano dunque le discrepanze presenti nell’articolo, a tratti rappresentazione di un quadro più ampio. Contraddizioni che secondo l’ex ambasciatore si sono evidenziate anche con il nuovo papa. “Il 28 aprile scorso papa Francesco al termine della messa da lui officiata pronunciò un sermone pubblicato il giorno stesso dall’Osservatore Romano in prima pagina – afferma Minerbi – Egli disse (cito a memoria) “voi dovete essere una comunità aperta non chiusa come quella dei giudei che quando vennero i soldati a dire “lo abbiamo visto coi nostri occhi: è risorto”, risposero prendete questi soldi e andatavene. Perché loro volevano risolvere tutti i problemi coi soldi. Questo sermone prettamente antisemita (anche se tratto dal Vangelo) non provocò nessuna reazione da parte ebraica per rispetto al Pontefice”. Diverso invece l’atteggiamento dei vertici vaticani, sempre secondo Minerbi nei confronti del mondo arabo, “il clero cattolico in Israele è spesso violentemente anti israeliano. Mai anti arabo. Quando il monaco Dall’Oglio scomparve in Siria alcune settimane fa, quando il Vescovo di Iskanderun (Turchia) fu ucciso dal suo autista mussulmano. Quando 42 cattolici furono uccisi in una chiesa a Bagdad, non ci fu nessuna reazione da parte della Chiesa”.