Fonte:
www.informazionecorretta.com, www.mosaico-cem.it
Autore:
Giorgia Greco, Esterina Dana
La Cultura dell’Odio di Nathan Greppi
Dopo più di un anno dal 7 ottobre 2023, l’attacco senza precedenti sferrato da Hamas in nome dell’integralismo islamico a Israele che ha rappresentato una vera aggressione all’intero Occidente, al dolore per la morte di 1200 innocenti, uccisi dai terroristi, i quasi 250 rapiti, gli stupri, la distruzione delle case, le atrocità contro anziani sopravvissuti alla Shoah, donne e bambini, si è aggiunta la consapevolezza di una crescente distanza e ostilità da parte dell’opinione pubblica che ha aggravato in maniera indelebile il trauma vissuto dagli ebrei della Diaspora e di Israele.
Per questo in un’epoca di smarrimento sociale, politico e culturale come quella che stiamo attraversando l’ultimo saggio di Nathan Greppi, giornalista e autore del volume “La stampa ebraica in Italia” (Giuntina, 2024), oltre che di numerosi articoli apparsi su importanti testate italiane ed estere, in libreria per Lindau con il titolo “La cultura dell’odio”, consente di andare alle radici di quel clima di odio che da anni vede Israele sul banco degli imputati. Peraltro – spiega Ugo Volli nella interessante prefazione che apre il volume – “chi ha attaccato gli ebrei in questi mesi non l’ha fatto tanto perché era nemico di Israele, ma è spesso nemico di Israele per odio verso gli ebrei. L’antisemitismo non è una conseguenza dell’antisionismo, ma piuttosto è vero l’inverso: l’antisionismo ha successo perché esprime e attualizza l’antisemitismo”.
In questo caos morale e politico senza precedenti va detto che l’odio antiebraico è trasversale e permea ambienti che sarebbero preposti a contrastare il pregiudizio e l’intolleranza come le università, il mondo dell’informazione, della cultura e dell’intrattenimento (cinema, teatri ecc.). Inoltre, se in passato gli intellettuali avevano qualche remora ad esplicitare la loro ostilità verso gli ebrei, ora, dopo l’attacco del 7 ottobre, questo odio fondato su basi etniche e religiose è stato sdoganato in tutti gli strati della società con l’uso, fra gli altri, della parola “genocidio” per condannare l’autodifesa israeliana dinanzi agli atti di un terrorismo criminale.
Il saggio di Nathan Greppi, che si avvale di un’accuratissima documentazione e di uno stile accessibile anche ai lettori meno preparati sull’argomento, offre una disamina esaustiva dei fatti, delle circostanze, dei personaggi in cui si esplicitano le aggressioni, non solo verbali, agli ebrei e a Israele, analizzando il mondo accademico, quello della musica, della letteratura, del cinema, dei fumetti in Italia e nei paesi anglosassoni con uno sguardo anche alla realtà israeliana nella convinzione che conoscere le radici e la natura del sentimento antiebraico possa fornire gli strumenti per contrastarlo e per costruire un punto di partenza per un dibattito più costruttivo.
Nella prima parte del saggio Greppi si sofferma sui “media” che troppo spesso, sia nel nostro Paese sia in America o in Inghilterra, contribuiscono ad alimentare un clima nocivo per lo Stato ebraico riportando notizie senza verificarne l’attendibilità o basate solo su fonti di Hamas oppure, addirittura, fake news che poi qualche volta si trovano a dover smentire.
Ad esempio, dopo il 7 ottobre la faziosità della BBC sul conflitto israelo-palestinese si manifesta già a guerra iniziata quando attribuisce ad Israele il bombardamento dell’ospedale Al-Ahli a Gaza, mentre in realtà a colpirlo è stato un razzo della jihad islamica fuori controllo. Il giornalista ricorda anche la faziosità del “Guardian”, tra i giornali più letti al mondo, che nonostante qualche articolo equilibrato “nel complesso hanno adottato una linea prevalentemente ostile nei confronti dello Stato ebraico”.
Non va poi dimenticato che nel corso dei decenni l’odio verso gli ebrei si è espresso anche attraverso le vignette che, stigmatizzando le politiche israeliane, hanno spesso attinto ai peggiori stereotipi antisemiti.
Nella seconda parte l’autore riflette sulle ideologie di estrema sinistra che negli ultimi decenni hanno pervaso sempre più il mondo delle università il quale si trova a fare i conti con un “terzomondismo” che orienta studenti e professori a prendere in considerazione solo gli aspetti negativi della storia occidentale, come il colonialismo, negando o sminuendo gli aspetti positivi, tesi peraltro affrontate anche dal giornalista Federico Rampini nel suo ultimo saggio “Grazie, Occidente” (Mondadori). Si ricorda inoltre che già nei giorni successivi al 7 ottobre nei campus americani e non solo era emersa una forte intolleranza nei confronti di ebrei e israeliani che ha portato ad esaltare i massacri compiuti da Hamas e a firmare documenti in cui si riteneva Israele responsabile delle violenze subite. In Italia rispetto ad altri paesi occidentali gli appelli al boicottaggio e le adesioni al BDS sono emersi più tardi per vari motivi, come spiega Greppi, ma hanno avuto una notevole rilevanza anche prima del 7 ottobre e, successivamente, si è assistito a una crescita esponenziale delle iniziative antisraeliane.
A questo proposito, non dimentichiamo l’appello del novembre 2023 firmato da oltre 4000 accademici italiani, che chiedevano la sospensione di tutte le collaborazioni con gli atenei israeliani e un immediato cessate il fuoco.
Neppure il mondo della cultura e dello spettacolo è esente da posizioni antisraeliane che spesso si traducono in adesioni al BDS da parte di intellettuali e artisti, come argomenta Greppi nella terza parte del saggio dal titolo “Cultura”.
Se uno dei principali sponsor a livello mondiale del BDS è il musicista britannico Roger Waters, già bassista dei Pink Floyd, se Alice Walker, esponente di spicco della letteratura afroamericana e autrice del romanzo “Il colore viola” , ha dichiarato che non avrebbe voluto vedere il suo libro tradotto in ebraico e pubblicato in Israele, se l’autrice irlandese tra le più celebri della generazione millennial, Sally Rooney, si è dichiarata convinta che in Israele ci sia l’apartheid, è con un certo sollievo che apprendiamo che la scrittrice sudafricana, impegnata nella lotta contro l’apartheid, Nadine Gordimer si è rifiutata di prendere parte al boicottaggio di Israele e ha deciso di prendere parte all’International Writers Festival di Gerusalemme, nonostante appelli contrari da parte degli attivisti palestinesi e dei loro sostenitori all’estero.
Pagine di estremo interesse, fra le altre, sono quelle dedicate all’odio antisraeliano nella cultura italiana, a quanto accadde nel 2008 al Salone del libro di Torino in cui Israele era paese ospite e alle proteste scoppiate nel maggio 2024 sempre in occasione del Salone del Libro mentre venivano presentati l’antologia di racconti Legami dello scrittore israeliano Eshkol Nevo e un libro sui fatti del 7 ottobre della giornalista italo-israeliana Fiamma Nirenstein. Posso confermare, per essere stata presente in quell’occasione, che fuori dal salone insieme ai manifestanti filopalestinesi spiccavano il fumettista Zerocalcare e lo scrittore Christian Raimo.
Infine, la quarta e ultima parte consiste in tre interessanti interviste a studiosi e storici come Claudio Vercelli, Gadi Luzzatto Voghera e Stefano Gatti che, ciascuno nel proprio ambito, “si occupano di queste tematiche e ne hanno seguito l’evoluzione passo dopo passo”.
Perché leggere il saggio di Nathan Greppi?
Prima di tutto perché è un lavoro accurato ed esaustivo che conferma la serietà professionale di un giornalista che, indagando le radici dell’antisemitismo e dell’antisionismo, oltre che le manifestazioni di tali fenomeni nei diversi ambiti sociali, verifica con scrupolo i fatti e le notizie prima di scriverne.
E poi perché Israele siamo noi (citando il titolo di un libro di Fiamma Nirenstein) e perché la minaccia che sovrasta lo Stato ebraico incombe su tutta la nostra civiltà occidentale, attaccata dall’estremismo islamico. E dunque dove potrebbe portare, ora, l’antisemitismo travestito da difesa dei diritti umani amico di Hamas?
Solo conoscendo le origini dell’odio verso gli ebrei e il loro Stato si può sperare di riuscire a contrastarne gli effetti e “costruire un dibattito più sano sull’argomento” con l’auspicio che chi oggi sventola bandiere palestinesi e grida nelle piazze “From the river to the sea, Palestine will be free” comprenda un giorno che per milioni di ebrei sparsi in tutto il mondo “Israele non è una colonia, ma la loro unica casa”.
di Giorgia Greco – www.informazionecorretta.com
https://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=98524
L’odio per gli ebrei e Israele: una macchia che si estende nel mondo della cultura
“I traumi per loro natura sono impressioni soverchianti … [e] imprecise. Necessitano di elaborazione, di riflessione ma, ancor prima, di un inventario dei fatti per essere compresi, documentati, trasformati in storia e in azione collettiva”. È quanto afferma Ugo Volli nella prefazione al nuovo libro di Nathan Greppi La cultura dell’odio. Media, università e artisti contro Israele (uscito il 18 aprile per I Tipi di Lindau), riferendosi alla strage del 7 ottobre 2023 perpetrata dai terroristi di Hamas in Israele e allo sgomento delle comunità ebraiche di fronte alla spudorata deflagrazione dell’odio per gli ebrei, latente per lungo tempo.
Il libro di Greppi – stimato collaboratore di Mosaico e Bet Magazine – raccoglie una ricca e variegata produzione documentaria di esternazioni, elucubrazioni e comportamenti che fanno capo ai pregiudizi antisemiti più biechi, sebbene ritoccati con un maquillage più moderno. Indagando meticolosamente nell’anarchia comunicativa dominante, l’autore ordina le manifestazioni di ostilità verbale e non verbale in capitoli che attendono al mondo del giornalismo, dei social network, dell’istruzione e della cultura (letteratura, arte, musica, cinema, teatro), conniventi le politiche di sinistra.
Sebbene frammentarie, tali esternazioni risultano tanto più sorprendenti, quanto più inaspettate per la loro sdoganata virulenza, laddove formule linguistiche tossiche si sono insinuate nel dibattito pubblico, nelle manifestazioni di piazza, nelle scuole e nelle Università italiane, europee e statunitensi fino a sovvertire la realtà dei fatti.
Da questa vasta ricerca documentaria emerge una pletora di circostanze, episodi, personaggi e parole, in cui nessuno risulta immune dal diffuso sentimento di odio nei confronti di Israele e degli ebrei.
Se inizialmente, a ridosso del pogrom del 7 ottobre, l’accusa dominante è diretta allo Stato ebraico “sionista” e “colonialista”, cosa che, per contro, vuole giustificare l’azione di Hamas come atto di Resistenza, in seguito, l’antisionismo si rivela apertamente come antisemitismo. Sorprende come ampie fasce dell’opinione pubblica occidentale aderiscano con entusiasmo alla lotta contro Israele accusato di “genocidio”, “assimilandolo a un’entità oppressiva, mentre lo Stato ebraico e il suo esercito vengono demonizzati”. L’odio non viene solo ostentato, ma si diffonde a livello globale con modalità coordinate e spesso sostenute da intellettuali, media e istituzioni, influenzati anche da finanziamenti stranieri. Attraverso la “nazificazione” di Israele viene rovesciato il rapporto vittime-carnefici defraudando gli ebrei della tragedia della Shoah; con l’accusa di complottismo, si identificano gli ebrei come una pericolosa lobby massonica; si ricorre all’ipocrisia e al doppiopesismo nel valutare i danni della guerra di Gaza e non solo; si giunge infine alla negazione degli stupri di Hamas. In una chiave postsionista Israele viene colpevolizzato non solo per le sue politiche, ma anche per ciò che rappresenta: un paese occidentale, libero, prospero e capace di difendersi.
Il clima antisemita si è realizzato grazie ad una intensa campagna di propaganda estesa a livello internazionale tramite svariate forme mediatiche, esaltate dall’azione di accademici e intellettuali. Greppi dimostra come testate giornalistiche anche di rilievo, pecchino di evidente parzialità nella valutazione dei fatti. Nel testo sono accusate di contribuire attivamente a diffondere una narrazione distorta degli eventi in Medio Oriente, privilegiando una lettura semplificata e spesso faziosa o omissiva. Greppi ne smaschera le tecniche di disinformazione e manipolazione linguistica che contribuiscono a presentare Israele come l’unico responsabile del conflitto, occultando o relativizzando le atrocità commesse da Hamas e da altri gruppi terroristici. Alla campagna diffamatoria dello Stato di Israele, fanno eco dichiarazioni e prese di posizione individuali e boicottaggi a diverso titolo; molte delle gravi situazioni denunciate nel libro risultano surreali. L’autore le documenta sistematicamente con un sostanzioso apparato di note a piè di pagina.
Centrale nell’opera è il capitolo dedicato al ruolo dell’istruzione, in particolare delle università italiane e straniere in ostaggio di rettori, docenti e studenti votati alla causa antisionista e promotori di sabotaggi culturali e non solo; numerosi sono gli esempi ad personam. Con un’analisi capillare Nathan Greppi dimostra come in molti ambienti accademici si siano diffuse narrazioni ideologiche scollegate dai fatti storici e spesso apertamente ostili a Israele. Attraverso citazioni e analisi di interventi di docenti e noti intellettuali, l’autore svela come la retorica antisionista sia diventata una sorta di ideologia che, in alcuni casi, sfocia apertamente in toni negazionisti o revisionisti, come nel caso delle dichiarazioni che minimizzano la Shoah o ne mettono in dubbio aspetti fondamentali. Dalla vasta mole di documenti, articoli, dichiarazioni e testimonianze, emerge una dinamica inquietante: l’odio contro Israele viene sempre più spesso giustificato, banalizzato o addirittura promosso da settori influenti della società civile e culturale, italiani e internazionali, sfumando i confini tra dissenso legittimo e propaganda antisemita.
Le indagini di Greppi spaziano anche nell’ambito della cultura e dello spettacolo dove negli ultimi tempi si è diffuso il crescente astio verso Israele, spesso espresso attraverso il sostegno al movimento BDS da parte di artisti e intellettuali, inclusi alcuni ebrei di Hollywood. Fenomeni simili si riscontrano nella musica, nella letteratura e nel fumetto, dove si registrano rifiuti di esibirsi o pubblicare in Israele, e rappresentazioni che sfociano in antisemitismo, specie nelle vignette satiriche. Tuttavia, esistono anche artisti che si oppongono al boicottaggio e all’odio contro Israele.
Dal rigore informativo di Greppi emerge la constatazione di una deriva etica, morale e educativa preoccupante e la denuncia di un’epoca dai principi confusi, in cui la memoria storica è stata sopraffatta da narrazioni distorte, ideologie estremiste e una comunicazione polarizzata. Tuttavia, l’opera non si limita alla denuncia, bensì costituisce uno strumento per orientarsi e per comprendere la gravità di un linguaggio mistificato e mistificante che domina nel vuoto culturale che ci circonda, il quale lascia spazio all’indottrinamento nelle aule scolastiche e universitarie foriere dei quadri sociali del futuro.
La forza del libro, dall’impianto critico encomiabile, sta nella sua solida struttura argomentativa e nell’invito a riflettere sul perché l’antisemitismo, lungi dall’essere scomparso, continui a minacciare la convivenza civile, travestito da impegno politico o da critica sociale.
Il volume si completa con l’introduzione di Ugo Volli, Le ragioni di un trauma e le sue conseguenze e le interviste a Stefano Gatti, L’odio tra vecchi e nuovi media, da «L’Unità» a TikTok; a Gadi Luzzatto Voghera, Odio antiebraico e odio antisraeliano; a Claudio Vercelli, Evoluzioni moderne di un male antico.
Nathan Greppi La cultura dell’odio. Media, università e artisti contro Israele, prefazione di Ugo Volli, Lindau, 2025, 24.00 €
di Esterina Dana – www.mosaico-cem.it
https://www.mosaico-cem.it/cultura-e-societa/libri/lodio-per-gli-ebrei-e-israele-una-macchia-che-si-estende-nel-mondo-della-cultura/?fbclid=IwY2xjawJ14PpleHRuA2FlbQIxMQBicmlkETFDQ1VieDI5b1RWMDVwTTlzAR7ol-xvZOBjgYimqpV67zwIlg5Chyh5cFHBe77GCk7KMdDOUjOzcE7b9dr-tA_aem_9ZvSeA-DeRgxlG6SI8oc0Q