17 Novembre 2019

Monsignor Spreafico, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, ricorda che ai cristiani che l’antisemitismo è peccato

Fonte:

Corriere della Sera

Autore:

Virginia Piccolillo

«L’antisemitismo è peccato, abbiamo tollerato troppo»

Monsignor Spreafico: si moltiplicano atti e parole d’odio, la Chiesa sente di dover prendere le distanze

«Abbiamo tollerato troppo. È nostro dovere parlare. E ricordare ai cristiani che l’antisemitismo, così come l’odio in qualsiasi forma e contro chiunque, è peccato». Monsignor Ambrogio Spreafico, Presidente della Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, è «allarmato». «Negli ultimi tempi — dice — c’è un moltiplicarsi di atti, parole, scritte antisemite. Come Chiesa cattolica sentiamo la necessità di prendere le distanze da questo clima di rancore».

Non è scontato?

«Dovrebbe. Ma il Cdec (centro di documentazione ebraica contemporanea ndr), ha censito, nel 2018, 197 episodi di antisemitismo, però la mole di commenti o espressioni di antisemitismo sui social è molto maggiore. Un quadro desolante».

Perché si stupisce?

«Per il Cdec l’11% degli italiani, pari a 6-7 milioni, risponde con giudizi negativi a domande sugli ebrei e il 33% sono valutati “ambivalenti”, cioè negativi solo su alcuni argomenti. L’ipotesi che anche fra i cattolici ci siano punte di antisemitismo non mi meraviglia. Anche se già Pio XI diceva che noi cristiani siamo spiritualmente semiti. E Papa Francesco ha appena riaffermato che gli ebrei sono nostri fratelli e sorelle».

Cosa insegna il caso Segre?

«Il fatto che una donna deportata ad Auschwitz nel 1944 all’età di 13 anni, dopo essere stata respinta dalla Svizzera con la sua famiglia, sopravvissuta al campo con altri 24 bambini, abbia bisogno della scorta per continui attacchi e minacce è una cosa vergognosa. Significa avere dimenticato l’orrore della Shoa. È impressionante come si possano usare toni simili, visibili anche in alcuni striscioni allo stadio. Ma non è solo questo: ci siamo abituati. Lo vediamo come una cosa normale. Ma non è la normalità».

Di chi è la colpa?

«Siamo in un Paese, e in una situazione europea e direi mondiale, in cui la crisi economica e il disagio sociale spinge a cercare colpevoli cui dare la responsabilità delle cose che non vanno. E oggi sono gli ebrei (tra l’altro italiani come noi), domani i rom, dopodomani i migranti, ma poi chissà quante altre categorie anche tra gli italiani potrebbero essere additate come colpevoli».

La politica ha un ruolo?

«Non ha sempre contribuito a creare un clima di armonia, di reciproco confronto nella differenza. Non c’è bisogno di urlare».

Molti puntano il dito contro Salvini.-È sua la colpa?

«Io non personalizzerei, c’è un clima preoccupante in Italia che richiede maggior attenzione. Certo sarebbe responsabilità della politica dare risposte perché le paure dei cittadini non siano alimentate. Dobbiamo lavorare sul linguaggio, su quello che si dice e soprattutto quello che si scrive».

Come?

«Diffonderemo un decalogo sull’uso delle parole online preparato in Diocesi. Per noi cristiani tutti gli insulti sono peccati da confessare».