15 Febbraio 2024

Intervento del rabbino capo di Roma sul pericolo dei luoghi comuni legati al conflitto tra Hamas ed Israele

Fonte:

La Repubblica

Autore:

Riccardo Di Segni

Basta diffamare Slogan e luoghi comuni ignorano i fatti

Caro Direttore, in momenti di crisi come questo si cita molto la frase, un po’ retorica ma molto consolatoria, che nei rovesci della sorte e nei problemi bisogna cogliere delle opportunità. Effettivamente un’opportunità ci sarebbe: resistere alla seduzione dei luoghi comuni, non seguire le idee, gli slogan e le ideologie appiattite alla moda. Sviluppare un senso critico. Cosa a cui dovrebbe educarci la scuola ma non so fino a che punto ci riesce. Una sfida che non molti raccolgono perché è certamente più comodo affogare nel trend generale. In questi giorni, tra le tante cose accadute, c’è stata una polemica intorno al Festival di Sanremo e la Rai. Qualcuno ha protestato perché è stato consentito a un cantante di parlare di “genocidio”, con un evidente riferimento a Gaza. Il problema non era che lui ne parlasse, ma che non vi fosse alcun contraddittorio e che le sue parole passassero come un messaggio di pace. Che invece di pace non è, è un linguaggio improprio, schierato, che sotto l’apparenza della misericordia e della condanna della guerra mescola le carte in tavola, sovverte la Storia. Contro chi ha protestato è stato evocato il diritto della libera parola, specialmente se si tratta di artisti, come se gli artisti avessero più diritti degli altri. Certo che ci deve essere il diritto di parola. Ma l’ente pubblico pagato con le nostre tasse dovrebbero garantirlo a tutti. E quanto alla parola, chi la dice e chi l’ascolta, dovrebbe soppesarne la qualità. In una canzone non si possono fare ragionamenti filosofici, ma frasi come “ma qual e casa tua, ma qual e casa mia. Dal cielo è uguale, giuro” che hanno meritato la citazione del cardinale Ravasi su X, usando un po’ di quello spirito critico di cui si parlava prima, sembrerebbero proprio banali. Un giornalista, lodando la citazione cardinalizia. ha scritto che spesso esponenti della Chiesa sanno essere più liberali e moderni dei burocrati di Stato. E proprio qui il problema: siamo veramente sicuri che sia libertà la diffamazione senza diritto di replica e che certi concettini siano moderni? Mi chiedo spesso, tanto più in questi ultimi mesi, da osservatore esterno e rispettoso, che però si trova coinvolto in questioni di relazioni interreligiose, quali siano le linee che guidano le posizioni prevalenti nella Chiesa Cattolica, in particolare nel conflitto di Gaza. C’è stato un continuo di dichiarazioni e di gesti dei massimi vertici e dall’altra parte una dinamica di appelli, proteste, polemiche, con conseguenti piccoli ritocchi e precisazioni. Ad esempio, a novembre c’è stata una lettera al Papa firmata da 400 esponenti religiosi ebraici, in cui gli si chiedeva una netta condanna del massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre, una condanna di coloro che negano il diritto di Israele ad esistere e difendersi, con una chiara distinzione tra il pogrom e l’autodifesa. La risposta si è fatta attendere, è arrivata il 2 febbraio, e accanto a una ferma condanna dell’antisemitismo ha omesso qualsiasi riferimento diretto a Hamas. Parlando del processo di pace ha scritto che “il maligno, utilizzando mezzi diversi, è riuscito a bloccarlo”. L’antisemitismo è un “peccato contro Dio”, ma come si esprime l’antisemitismo oggi? E chi è il “maligno”? Qui è un’espressione teologica che copre l’imbarazzo politico di chiamare le cose come stanno, quale che sia il vero pensiero. Temo che nei ripetuti appelli della Chiesa alla pace, nella condanna *** della violenza di entrambe le parti che equipara tutti, nella condanna della reazione israeliana quale che fosse, già dall’indomani del 7 ottobre, vi sia l’espressione di un pensiero da una parte giustamente preoccupato, ma dall’altra un uso di luoghi comuni facilmente condivisibili che raccolgono ampi consensi, tuttavia lontani dalla realtà dei fatti. Davanti ai drammi e le sofferenze di tutti, lo spirito critico dovrebbe guidarci nel valutare cosa nascondono slogan e proclami, dove c’è una reale volontà di pace, e come poter essere insieme costruttori di pace.