19 Dicembre 2020

Gadi Luzzatto Voghera,direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano, riflette su recenti casi di antisemitismo

La vasta zona grigia dell’antisemitismo. Parla Luzzatto Voghera

“Ebraismo e arte contemporanea” di Mario Costa s’è attirato l’accusa di essere un “testo antisemita”. A partire dalle polemiche suscitate dalla sua pubblicazione, da parte di una rispettata casa editrice, discutiamo con il direttore del CDEC del fenomeno più ampio, che genera casi così inquietanti nel nostro paese.

L’arte contemporanea? Sarebbe figlia di un complotto ebraico. Questa è la tesi del libro di Mario Costa, Ebraismo e arte contemporanea, un volumetto edito da Mimesis, che s’è attirato l’accusa di essere un “testo antisemita”. Ad aggravare le cose, il fatto che il pamphlet è pubblicato da una casa editrice prestigiosa e firmato da un professore riconosciuto.

Cosa viene rimproverato a Costa? Che ci dice questo libro sullo stato dell’antisemitismo in Italia? ytali ne ha parlato con Gadi Luzzatto Voghera, professore, storico e direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano.

Gadi Luzzatto Voghera, perché il libro di Mario Costa è antisemita?

Costa s’è sempre occupato di estetica e filosofia e dichiara di non avere nulla contro gli ebrei o, meglio, di non essersene mai interessato. Tuttavia, l’idea generale intorno alla quale ha costruito il suo libro riprende un impianto classico dei testi dell’antisemitismo e cioè il concetto – sbagliato, perché destituito di qualsiasi significato storico – secondo cui gli ebrei sarebbero stati sempre la stessa cosa nel tempo.

Costa accusa gli ebrei di aver influenzato la storia dell’arte contemporanea e averla adattata al divieto mosaico di non realizzare immagini per evitare di incorrere in idolatria.

Qui sta il grossolano errore di fondo: come si può parlare di Mosè, dell’interdizione visiva della Bibbia e dei comandamenti e trasferirla alla contemporaneità senza prendere in considerazione i tremila e cinquecento anni di storia che ci separano? E ancora, le tesi di Costa sono chiaramente antisemite quando sostiene che gli ebrei svolgono le loro attività nel mondo proprio in quanto ebrei. Tutti gli ebrei che egli cita come fondatori dell’arte contemporanea – che decostruisce le immagini – sono ebrei secolarizzati, che si erano allontanati completamente dal pensiero e dalle stesse radici ebraiche. In altre parole, sono ebrei solo per nascita. Identificare l’ebraismo per nascita come la ragione che ha spinto questi artisti a decostruire le arti formali è antisemitismo puro, una cosa insostenibile sotto tutti i punti di vista.

Come si spiega che uno come Costa, ex professore ordinario all’Università di Salerno con esperienze di insegnamento all’estero, con trenta libri all’attivo e anche una collaborazione con la Rai, arrivi a pubblicare un testo di questo tipo?

L’antisemitismo non necessita di essere conclamato. Esso è una delle forme di pregiudizio che esistono nel mondo, ha una lunga storia di radicamento. Secondo l’ultimo sondaggio che abbiamo realizzato al Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, in Italia gli antisemiti puri – ovvero quelli che rispondono in maniera negativa a qualsiasi sollecitazione sugli ebrei – sarebbero tra l’11 e il 12 per cento degli italiani, ovvero milioni e milioni di persone. Non c’è da stupirsi che ci siano anche dei professori.

E dei personaggi pubblici.

Tra questi, ci sono coloro che hanno voglia di essere identificati, di farsi notare per ciò che dicono, come il matematico Piergiorgio Odifreddi. E poi ci sono invece quelli a cui sfugge il pregiudizio. È il caso, ad esempio, del senatore del Movimento cinque stelle, Elio Lannutti, grande appassionato di difesa dei consumatori, a cui è tuttavia scappato di citare i protocolli dei Savi di Sion come testo ragionevole su cui basare la propria ostilità nei confronti della finanza internazionale. Il che è incredibile, perché, come noto, i protocolli sono un falso documentale, finalizzato a dare forza alle tesi antisemite del Novecento. Lannutti ha chiesto scusa ma non basta.

Come mai, nonostante tutti gli sforzi che sono stati fatti per combatterla, questa forma d’odio è ancora attuale?

La mia tesi è che l’antisemitismo ha poco a che fare con gli ebrei. Essi sono soltanto un pretesto. L’antisemitismo contemporaneo è diventato l’archetipo di un linguaggio politico molto ben spendibile – nell’80 per cento dei casi collocabile nell’area di estrema destra – che ha generato testi come i già citati protocolli dei Savi di Sion, i quali sono la vera e propria matrice del complottismo. Oggi, in un’epoca in cui le tesi complottiste pagano politicamente, la loro versione antiebraica riemerge. Non è un linguaggio politico vecchio, che non si sa per quale motivo ritorni. Si tratta di un discorso ultramoderno.

Poco conta se esso si regge su tesi totalmente false. L’antisemita ha bisogno di immaginare l’ebreo come ricco, oppressore dei popoli, anti-cristiano. Un ritratto che ovviamente non corrisponde alla realtà. Gli ebrei sono articolati, divisi, diversi. Ma all’antisemita questo non interessa, al punto tale che può esserci antisemitismo anche senza ebrei. È il caso ad esempio della Polonia, dove il tema è rispolverato a ogni campagna elettorale, anche se nel paese gli ebrei sono solo qualche migliaio e non hanno alcun tipo di influenza politica.

Politicamente, purtroppo, l’antisemitismo non è solo appannaggio dell’estrema destra. A volte anche a sinistra si assiste a un discorso paradossalmente simile. Che ne pensa?

L’antisemitismo è una parte radicale delle ideologie di sinistra, è sempre stato presente, in maniera più o meno forte, nella genesi e nella formazione di questo pensiero e delle ideologie di liberazione dei movimenti dei lavoratori.

Oggi la maggior parte dei riferimenti sono alla questione palestinese.

Una cosa è l’atto ideologico di chi si sente di sinistra e dice di combattere per la liberazione dei popoli, di esprimersi a sostegno di una popolazione palesemente oppressa. Un’altra cosa è far prevalere la retorica dell’antisemitismo classico e adattarla direttamente a Israele in quanto stato. In questo modo, Israele diventa quello che non è. Si dimentica la sua conflittualità interna, la sua articolazione, e lo stato è visto solo come un monolite, impegnato nell’oppressione dei popoli perché generato dalla finanza internazionale statunitense e capitalista. Per me questo non è antisionismo, è antisemitismo.

Come vivono queste polemiche gli ebrei della diaspora?

Malissimo, anche perché, per molto tempo, essi si sono collocati politicamente in un’area di centrosinistra, anche negli Stati Uniti. Per questo la sensazione è quella di un vero e proprio tradimento.

A proposito di Stati Uniti, qui, a complicare le cose, ci si è messo l’ormai ex presidente Donald Trump, che ha trasferito l’ambasciata americana a Gerusalemme.

Questa mossa non è stata percepita dal mondo ebraico come un regalo. Il problema, piuttosto, è che Trump e i suoi supporter hanno alimentato una forma di suprematismo bianco che ha generato azioni terroristiche, anche di stampo antisemita. Un fenomeno che in passato non c’era.

Come far fronte a questo innalzamento della tensione?

Verso gli ebrei, come verso altre categorie, si assiste a una reazione pregiudiziale, irrazionale. Per riuscire a combatterla bisogna innanzitutto saperla riconoscerla. Non è un processo automatico, ci sono una serie di passaggi intellettuali che non possiamo richiedere a tutta la popolazione. Tentare di tenere il fenomeno sotto controllo è molto più realistico che pensare di eradicarlo. Noi, come Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC), lavoriamo molto sul monitoraggio e sulle campagne informative. Si tratta di una strategia abbastanza condivisa in tutto il continente, con le istituzioni europee che stanno aumentando gli sforzi in questa direzione.

C’è ancora molto da fare: sono anni che il CDEC segnala tra le sessanta e le settanta nuove pubblicazioni originali di stampo antisemita. In questo senso, il libro di Mario Costa è solo la punta dell’iceberg.