8 Gennaio 2019

Gadi Luzzatto Voghera, Antisemitismo, Editrice Bibliografica, 2018

Fonte:

Moked.it

Comprendere il pregiudizio

Sono numerosi i centri di studio, i dipartimenti universitari e le riviste specializzate che si occupano da molti decenni dell’antisemitismo. Condannato ripetutamente vuoi come una piaga, vuoi come una malattia dell’età moderna, questo fenomeno ha sempre più assunto agli occhi degli osservatori le caratteristiche di una dinamica sociale e politica complessa, persistente e cangiante nel tempo, capace di radicarsi in luoghi e contesti nei quali sembrano mancare i presupposti stessi della sua presenza (laddove, ad esempio, si registra l’assenza di una comunità ebraica). Ci troviamo di fronte a un intreccio di linguaggi, forme espressive, esperienze storiche che meritano di essere studiati in maniera attenta e attualizzati nell’elaborazione di strumenti giuridici e politici utili a riconoscerlo e a combatterlo. Non c’è dubbio, infatti, che l’antisemitismo continui a essere un fenomeno ben presente a vari livelli delle società contemporanee. Un’ideologia che produce azioni aggressive sul piano meramente espressivo (libri, articoli giornalistici, post sui social media ecc.) e dà vita a iniziative violente sul piano fisico (aggressioni, omicidi, assalti a centri ebraici). Poiché si tratta a tutti gli effetti di un’esperienza pressoché globale, i governi e i centri di studio e di ricerca che si confrontano su questo tema si sono impegnati negli ultimi due decenni a elaborare alcune ipotesi di definizione condivisa per riconoscersi in uno strumento comune su cui fondare istanze giuridiche e iniziative educative utili a combattere in maniera attiva ed efficace una dinamica che continua a dimostrare la sua reale pericolosità politica e sociale. In quest’ottica, nel gennaio 2018 l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), sotto la presidenza italiana, ha deciso di organizzare la prima Conferenza internazionale sulla responsabilità degli stati, delle istituzioni e degli individui nella lotta all’antisemitismo nell’area OSCE, con il supporto dell’Ufficio OSCE per le Istituzioni Democratiche e i Diritti Umani (ODIHR), in collaborazione con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI) e la Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC) di Milano. Un evento che ha visto la partecipazione di 54 delegazioni governative dei paesi partecipanti OSCE e dei paesi asiatici e mediterranei partner per la cooperazione. Il tema affrontato in questa conferenza, come pure in altri importanti incontri internazionali che si vanno intensificando come frequenza e livello di rappresentanza diplomatica, è quello di riconoscere l’emergenza e creare convergenze sulle linee condivise di intervento. La base di lavoro a oggi sembra essere la cosiddetta working definition di antisemitismo così come è stata elaborata nella conferenza dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) di Bucarest del 2016. Una definizione adottata dal Parlamento Europeo, che ha in seguito invitato i diversi paesi a riconoscerla come operativa e a lavorare in coerenza con essa. Il testo si divide in due parti: una definizione generica e per quanto possibile condivisibile nei più diversi contesti, e una serie di «raccomandazioni » più definite che introducono anche aspetti che rimandano al conflitto mediorientale. Non c’è dubbio, infatti, che uno dei temi cruciali del dibattito concerne la reticenza diffusa nel mondo arabo e più  generalmente islamico nel considerare l’antisemitismo come fenomeno collegato al conflitto con lo stato d’Israele. Ci sono organizzazioni islamiche e perfino governi nazionali (ad esempio quello dell’Iran) che usano apertamente la retorica e i testi dell’antisemitismo classico nella lotta politica contro Israele. Una pratica che utilizza esplicitamente il lemma «sionismo» conferendogli caratteristiche negative assolute che aiutano a elaborare azioni violente verso ogni forma di espressione religiosa, sociale, culturale e politica riferita a Israele e molto spesso agli ebrei in generale. Questa è la definizione operativa proposta dall’IHRA: Antisemitism is a certain perception of Jews, which may be expressed as hatred toward Jews. Rhetorical and physical manifestations of antisemitism are directed toward Jewish or non-Jewish individuals and/or their property, toward Jewish community institutions and religious facilities. A questa definizione si associano, come detto, alcune raccomandazioni che sono molto più esplicite: l’antisemitismo «può includere l’attacco allo stato d’Israele concepito come collettività ebraica. Tuttavia la critica a Israele espressa nei modi in cui si critica ogni altro paese non può essere considerata antisemitismo ». E ancora, si definisce come pratica antisemita «l’accusare gli ebrei in quanto popolo e Israele in quanto stato», «accusare i cittadini ebrei di essere più fedeli a Israele che agli interessi della propria nazione», «negare al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione affermando che l’esistenza dello stato d’Israele sarebbe un iniziativa razzista», «usare simboli e immagini associate al classico antisemitismo per caratterizzare Israele o gli israeliani», «compiere comparazioni fra l’attuale politica israeliana e quella del nazismo», e infine «considerare gli ebrei collettivamente responsabili per le azioni dello stato d’Israele. Come illustro in questo libro, l’antisemitismo ha una storia e uno sviluppo complesso, a volte incoerente. Il mondo degli studi colloca oggi questo fenomeno su un orizzonte temporale molto dilatato. Una definizione, anche se corredata da raccomandazioni, può solo indirizzare verso un percorso di conoscenza ma non riesce a fare giustizia delle sfumature che caratterizzano il fenomeno nelle diverse epoche. Forse è più  utilizzabile nel presente. Ad esempio, si rivela uno strumento particolarmente utile a mettere a nudo le contraddizioni di alcune realtà politiche contemporanee, come è il caso del movimento BDS (Boycott, Divestment, Sanctions).