12 Luglio 2016

Critica del professor Dario Calimani ad una interpretazione de “Il Mercante di Venezia” come opposizione fra “implacabile giustizia ebraica” e “salvifica misericordia cristiana”

Fonte:

Moked.it - IlSole24Ore

Autore:

Dario Calimani - Gianfranco Ravasi

…Shakespeare

È possibile semplificare il pensiero altrui fino a deformarlo? Certo che sì, se chi ha prodotto quel pensiero è morto e non può difendere la propria posizione. È ciò che fa il cardinale Gianfranco Ravasi (Il Sole 24 Ore, 10 luglio 2016) con Shakespeare e, in particolare, con Il mercante di Venezia, riproponendo la lettura ormai un po’ ammuffita che legge il dramma come un’opposizione fra l’implacabile giustizia ebraica (cita addirittura la legge del taglione) e la salvifica misericordia cristiana. E tutto ciò per convincersi che Shakespeare era pervaso da spirito cattolico. Ma Ravasi, teologo e biblista cui sfugge del tutto l’ironia ambigua del testo shakespeariano, si fida troppo ciecamente delle belle parole di Porzia: “La natura della misericordia è spontanea”. È vero, infatti, che nel testo la misericordia non compare affatto, se non come pura realtà linguistica: c’è imposizione, c’è castigo (più o meno giustificato), c’è sopruso, c’è annullamento della giustizia, ma non c’è misericordia. Perché la misericordia o vale sempre o non vale mai. Non vale, soprattutto, quando si applica a senso unico, al più forte e non anche al più debole. Una misericordia concessa dal più debole al più forte non è misericordia, ma privilegio e sopraffazione, conservazione dei diritti acquisiti dalla classe dominante, destinata a vincere sempre e in ogni caso.

Per fortuna, Shakespeare è assai più sottile di quanto non pensi il cardinale Ravasi. E se qualcuno ha dei dubbi, si procuri il mio Mercante di Venezia (Marsilio 2016). Ma si procuri anche una Tempesta shakespeariana, da cui potrà verificare che il cattivo Antonio, dopo aver spodestato il fratello Prospero, non si pente affatto cristianamente, come sostiene Ravasi, ma rimane il malvagio irredento che è, pronto a ripetere i suoi atti iniqui. Lo sanno anche gli studenti. Shakespeare è ben più realista di quanto non si voglia credere, e non si lascia tirare per la manica.

Siamo, come sempre, nel campo delle letture ideologiche, superficiali e partigiane, grazie alle quali si riesce a dimostrare l’indimostrabile per tirare l’acqua al proprio mulino. Ma io non mi occupo di teologia, e non estrapolo frasi sconnesse dai testi sacri per derivarne la mia idea di Dio. Si lasci Shakespeare – o chi per lui – riposare nella sua tranquilla tomba, e si rispetti il valore complesso delle sue parole.