28 Gennaio 2015

Le Mappe di Vox contro l’intolleranza

Fonte:

VOX Osservatorio Italiano sui Diritti - www.voxdiritti.it

Ecco le Mappe di Vox contro l’intolleranza

Più di un anno di lavoro, otto mesi di monitoraggio su Twitter, quasi 2 milioni di tweet estratti e studiati. E’ la Mappa dell’Intolleranza, il progetto voluto da Vox, che ha coinvolto le università di Milano, Roma e Bari. 5 mappe che mostrano il livello d’intolleranza nei confronti di donne, omosessuali, immigrati, diversamente abili ed ebrei, sul web. I risultati? Inquietanti, e specchio di un’Italia intollerante verso le minoranze e le diversità.

Più di un anno di lavoro, otto mesi di monitoraggio della rete Twitter, quasi 2 milioni di tweet estratti e studiati. Il risultato è la prima Mappa dell’Intolleranza in Italia: un progetto che, voluto da Vox- Osservatorio italiano sui diritti (organizzazione no profit che si occupa di cultura del diritto), ha visto la partecipazione delle università di Milano, Roma e Bari. Il progetto mira a identificare le zone dove l’intolleranza è maggiormente diffusa – secondo 5 gruppi: donne, omosessuali, immigrati, diversamente abili, ebrei – cercando di rilevare il sentimento che anima le communities online, ritenute significative per la garanzia di anonimato che spesso offrono (e quindi per la maggiore “libertà di espressione”) e per l’interattività che garantiscono.

Il progetto

Ispirata da esempi stranieri, con un vasto expertise alle spalle, come la Hate Map della americana Humboldt  State University, la Mappa dell’Intolleranza italiana ha comportato un vasto lavoro di ricerca e di analisi dei dati, con il supporto e il coinvolgimento di ben tre dipartimenti di tre diverse università, tra i più prestigiosi nel nostro Paese. La prima fase del lavoro ha riguardato l’identificazione dei diritti, il mancato rispetto dei quali incide pesantemente sul tessuto connettivo sociale: questa fase è stata seguita dal dipartimento di Diritto Pubblico italiano e sovranazionale dell’Università degli Studi di Milano; la seconda fase si è concentrata sull’elaborazione di una serie di parole “sensibili”, correlate con l’emozione che si vuole analizzare e la loro contestualizzazione: questo lavoro è stato svolto dai ricercatori del dipartimento di Psicologia dinamica e clinica della Facoltà di Medicina e Psicologia, Sapienza Università di Roma, specializzati nello studio dell’identità di genere e nell’indagare i sentimenti collettivi che si esprimono in rete. Nella terza fase si è svolta la mappatura vera e propria dei tweet, grazie a un software progettato dal Dipartimento di Informatica dell’Università di Bari, una piattaforma di Big Data Analytics, che utilizza algoritmi di intelligenza artificiale per comprendere la semantica del testo e individuare ed estrarre i contenuti richiesti.

Infine, i dati raccolti sono stati analizzati statisticamente ed elaborati da un punto di vista psico-sociale dal team della Sapienza, dando vita alla Mappa dell’Intolleranza.

Sono stati mappati l’odio razziale, l’omofobia, l’odio contro le donne, contro i diversamente abili e l’antisemitismo: attraverso i tweet degli italiani, abbiamo contestualizzato i diversi messaggi, e li abbiamo geolocalizzati. La geolocalizzazione è la vera novità di questo progetto, perché consente di evidenziare le zone maggiormente a rischio di intolleranza e odio. Geolocalizzazione, resa possibile grazie all’ausilio di Open StreetMap, che ha consentito di estrarre dalla massa dei tweet, solo quelli che presentavano le coordinate geografiche, elemento che Twitter consente di indicare. Per ciascun gruppo esaminato, sono poi state messe a punto delle mappe termografiche, in grado di evidenziare diffusione e concentrazione del fenomeno. Quanto più “caldo”, cioè vicino al rosso, è il colore della mappa termografica rilevata, tanto più alto è il livello di intolleranza rispetto a una particolare dimensione in quella zona. Aree prive di intensità termografiche non indicano assenza di tweet discriminatori, ma luoghi che mostrano una percentuale più bassa di tweet negativi rispetto alla media nazionale. Nel periodo di rilevazione (gennaio- agosto 2014), sono stati estratti in totale circa 2 milioni di tweet. La percentuale di tweet geolocalizzati è pari a circa 43.000 (2,3% del totale, in linea con analisi analoghe effettuate dalla Humboldt State University).

Da notare che il periodo di rilevazione dei dati sull’antisemitismo è stato più breve (novembre 2014- metà gennaio 2015) e ha portato a un’estrazione di tweet più contenuta (6000, con una percentuale di tweet geolocalizzati molto alta, pari al 18,03%). Abbiamo infatti deciso di mappare l’antisemitismo, quando si sono iniziate ad avere evidenze di un sentiment negativo effettivo, in relazione anche al contesto internazionale.

Due, gli elementi emersi in modo più rilevante. Il primo. Complessivamente la distribuzione dell’intolleranza, considerati i 5 gruppi, è polarizzata soprattutto al Nord e al Sud, poco riscontro invece nelle zone del centro come Toscana, Umbria, Emilia- Romagna. Una situazione, che si capovolge per quanto riguarda l’antisemitismo, fenomeno in evidenza soprattutto nel Lazio e nel centro Italia. Va segnalato un picco significativo in Abruzzo, nell’area tra L’Aquila, Chieti, Pescara e Teramo. Presente anche in alcune zone del Nord e del Sud Italia. Il secondo dato assai preoccupante riguarda la misoginia, sulla quale si concentra la maggiore proliferazione di tweet intolleranti. Il numero di tweet contro le donne, infatti, in 8 mesi è arrivato a 1.102.494, con 28.886 tweet geolocalizzati.

Data la correlazione sempre più significativa tra il ricorso a un certo tipo di linguaggio e la presenza di episodi di violenza, abbiamo ritenuto utile esaminare il modo in cui i social media sono diventati anche un veicolo di incitamento all’intolleranza e all’odio e il modo in cui specifici termini utilizzati per insultare gruppi minoritari si distribuiscono geograficamente. Soltanto 140 caratteri disponibili in un tweet consentono a un atteggiamento individuale di diffondersi ed essere condiviso da un infinito numero di utenti, spesso “garantito” dall’anonimato della rete. L’effetto, tuttavia, è anche quello di un’elisione di forme di pensiero più articolate e di un’estremizzazione del messaggio più frequentemente verso un polo negativo. Mentre, infatti, la concretezza del mondo reale ci tiene in contatto più facilmente con i confini del nostro senso di contenimento, quando tali confini si fanno più virtuali le idee o le credenze vengono espresse con modalità più assolute, di idealizzazione o, più spesso, di svalutazione o denigrazione.

In ultimo, una considerazione di metodo. La scelta di ricorrere a Twitter, nonostante non sia il social network più utilizzato, è dovuta alla possibilità che lo strumento offre nell’avere libero accesso a tutti i contenuti postati, ovviando al fatto che l’utente autorizzi l’estrazione e l’accesso all’intero flusso dei contenuti. Indicandoci la “temperatura” del sentimento discriminatorio, le mappe termografiche ci pongono anche un quesito: esiste un rapporto tra la realtà politica e sociale del territorio e quella virtuale e volatile dei tweet?

Una riflessione, che ci coinvolge tutti. Ma che ci spinge a pensare la Mappa dell’Intolleranza come uno strumento prezioso, per indagare nei sentimenti, a volte indicibili, degli italiani. Un mezzo di prevenzione, anche, nella consapevolezza che troppo spesso, nelle fasce più a rischio della popolazione, la parola si trasforma in agito e la violenza diventa “spontanea” (vedi fenomeni di bullismo e cyberbullismo).

 Che cosa faremo della Mappa?

La doneremo ai comuni, alle Regioni, alle scuole, a chiunque abbia bisogno di fare un’efficace azione di prevenzione sul territorio.