29 Febbraio 2020

Riflessione di Lisa Palmieri Billig sull’apertura dell’Archivio Apostolico Vaticano

Si aprono gli archivi di Pio XII. “Parlare o non parlare”, quello fu il dilemma

Il lavoro di studio nell’Archivio Apostolico Vaticano offrirà affascinanti opportunità per una ricerca senza fine su una storia che probabilmente continuerà ad emettere sentenze contraddittorie

ROMA. L’imminente apertura dell’Archivio Apostolico Vaticano, il 2 marzo prossimo, è un evento di rilevanza mondiale per gli storici e per gli studiosi, ma soprattutto per coloro che sono interessati a chiarire il mistero del proverbiale “silenzio” di Pio XII riguardo allo sterminio degli ebrei che ebbe luogo durante la Seconda Guerra Mondiale sotto il suo pontificato (1939-1958).

Sul tema ci sono due schieramenti ugualmente appassionati ma opposti l’un l’altro che si combattono da decenni. Da un lato, quelli che sostengono che Papa Pacelli fece tutto il possibile per salvare le vite degli ebrei, salvaguardando allo stesso tempo con le dovute precauzioni le popolazioni cattoliche d’Europa, e che chiedono che venga dichiarato santo. Dall’altro, coloro che sostengono che egli fallì come leader morale e che avrebbe potuto alzare la voce per farsi ascoltare pubblicamente e fermare le persecuzioni senza mettere in pericolo la Chiesa cattolica, che era all’epoca ancora considerata dalla Germania una potenza da rispettare. Infine, un terzo schieramento che sta prendendo piede: una sorta di via di mezzo che comprende le sfumature piuttosto che vedere la questione in bianco e nero, che soppesa tutti gli aspetti di quell’epoca tragica e complessa, in cui secondo Pio XII c’era una duplice guerra da combattere: quella contro i nazisti tedeschi e quella contro i comunisti sovietici, considerati nemici mortali della Chiesa cattolica.

Ma in questo contesto bisogna necessariamente considerare anche che la Chiesa globale era ancora infestata dall’ideologia antigiudaica pre-Conciliare, quando le pagine della pubblicazione ufficiale del Vaticano, “La Civiltà Cattolica”, abbondavano di menzogne antisemite, e gli atteggiamenti che riflettevano il profondo imprinting dei pregiudizi ereditati dalla religione contagiavano anche alcuni dei più ammirati leader morali del cattolicesimo mondiale.

Ne è un esempio il caso di San Massimiliano Kolbe, il sacerdote polacco canonizzato da Papa Giovanni Paolo II, che fu deportato ad Auschwitz dove sacrificò la propria vita al posto di quella di un compagno di prigionia: egli era anche noto per le sue opinioni antisemite e per il suo convincimento in una cospirazione del mondo ebraico-massonico, una credenza che esprimeva a gran voce, mentre allo stesso tempo agiva con gentilezza verso gli ebrei, guidato dalla sua fede nel dovere della carità cristiana verso tutti.

Per gli opinionisti che hanno scelto la via di mezzo invece, Eugenio Pacelli potrebbe essere descritto come una sorta di “Amleto” papale, che invece di confrontarsi con la scelta esistenziale dell’«essere o non essere», è stato costretto ad affrontare la questione terribilmente portentosa e consequenziale: «Parlare o non parlare».

È noto che nell’immediato dopoguerra Pio XII ricevette visite e lettere di ringraziamento da vari individui e leader ebrei che si salvarono grazie all’ospitalità caritatevole delle chiese, dei conventi e dei monasteri. Si sentivano in dovere di ringraziare il Papa stesso.

Alcuni trovarono persino rifugio tra le mura del Vaticano. Un gran numero di sacerdoti e suore, tra cui padre Rufino Niccacci della famosa “rete di Assisi”, hanno ricevuto l’alta onorificenza di “Giusto tra le Nazioni” dal Museo dell’Olocausto di Israele dello Yad Vashem, insieme a civili che hanno rischiato la vita per salvare il popolo ebraico. Ma la Chiesa cattolica ha anche ospitato (o almeno non è riuscita a scomunicare) un prete antisemita come Jozef Tiso, un sacerdote cattolico che fu presidente del Governo collaborazionista nazista fascista della Repubblica Slovacca dal 26 ottobre 1939 al 4 aprile 1945 e fu poi giustiziato a Bratislava per crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Quali erano i rapporti del papato di Pio XII con questi due poli opposti della realtà cattolica durante la Seconda Guerra mondiale? Forse questa è una delle domande che saranno approfondite dagli studiosi che si apprestano a fare ricerche nell’Archivio.

Un’altra questione chiave che non ha mai ricevuto chiarimenti definitivi è se Papa Eugenio Pacelli abbia dato o meno ordini specifici per salvare gli ebrei o solo istruzioni generiche per salvare tutte le persone in difficoltà. Finora non è stato trovato un solo documento, anche tra le comunicazioni interne vaticane, che dimostri la tesi che Pio XII abbia dato ordini di salvare gli ebrei d’Europa dal genocidio. In Italia, il Vaticano e la Chiesa cattolica italiana non protestarono contro le leggi razziali del 1938 che colpirono tutti i cittadini ebrei italiani, ma si limitarono a chiedere la grazia per gli ebrei convertiti al cattolicesimo o per i coniugi ebrei dei cittadini cattolici. Questa sottile forma di collaborazione non era dovuta a un tacito accordo con l’ideologia “razziale” del nazifascismo, ma piuttosto alla forte e durevole convinzione cristiana che gli ebrei fossero da disprezzare, e destinati ad essere evitati a causa del loro rifiuto di accettare Gesù come loro Messia.

La comunità ebraica di Roma ricorda ancora vividamente il silenzio pubblico di Pio XII dopo l’incursione nazista del 16 ottobre 1943 nella zona del ghetto, poco prima delle deportazioni ad Auschwitz di 1.023 donne, uomini e bambini ebrei nei due giorni successivi alla loro retata, quando furono detenuti in un collegio militare a pochi isolati da San Pietro in piena vista del Papa. «Sotto le sue stesse finestre», come riferisce a Berlino l’ambasciatore tedesco Ernst von Weiszàcker.

Le lettere, le relazioni, i rapporti, i telegrammi e gli appunti sulle conversazioni e le reazioni relative a questi giorni così delicati saranno ora a disposizione di tutti gli studenti e gli studiosi qualificati che ne faranno richiesta formale.

In occasione di una “Giornata di studio” vaticana in vista della prossima apertura del 2 marzo, organizzata dalla Segreteria dell’Archivio Apostolico Vaticano (non più denominato “Segreto” a seguito della disposizione di Papa Francesco dell’ottobre 2019), i relatori hanno fornito spiegazioni sui contenuti e linee guida per fare ricerca negli 85 km di scaffali accatastati con cartelle contenenti oltre un milione di carteggi.

I relatori erano tra i più esperti e competenti: gli storici vaticani e i principali archivisti dell’Archivio centrale della Santa Sede, assieme a quelli della Prima e della Seconda sezione della Segreteria di Stato – rispettivamente il Governo centrale della Chiesa cattolica e la sua Sezione per i rapporti tra gli Stati – più altri cinque: la Congregazione per la Dottrina della Fede (di notoria fama per il suo passato di “Sant’Uffizio dell’Inquisizione e poi per il suo ruolo di censore, quindi di custode della dottrina); Propaganda Fide, oggi nota come Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli; la Congregazione per le Chiese Orientali che comprende quelle dell’Europa orientale e del Medio Oriente; la Penitenzieria Apostolica e la Fabbrica di San Pietro, responsabile della conservazione e della manutenzione della Basilica vaticana.

È stato notevole scoprire che ognuno di questi archivi contiene importanti informazioni pertinenti alla storia ebraica. Le presentazioni e le conclusioni sono state affidate ad autorevoli esponenti della Chiesa, come il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin; il prefetto dell’Archivio monsignor Sergio Pagano e l’archivista e bibliotecario vaticano, il cardinale Josè Tolentino de Mendonça. Valutazioni equilibrate e accademiche sull’enorme pila di documenti relativi alla Seconda Guerra mondiale e al pontificato di Pio XII, che non riflettevano affatto l’accesa campagna di altri settori dell’opinione cattolica che chiedono un’azione più rapida per la proclamazione della santità di Pacelli.

«La Chiesa non ha paura della storia», ha detto il cardinale Mendonça, riecheggiando le parole di Papa Francesco, ma «guarda con fiducia al lavoro di studio scientifico svolto liberamente dai ricercatori, nella certezza che l’essenza e lo spirito delle sue azioni saranno comprese a tempo debito».

Le questioni riguardanti gli ebrei che emergono dai documenti di ogni Dicastero comprendono, tra gli altri argomenti: le discussioni sul sionismo e sulla nascita dello Stato di Israele, le discussioni sulla corrispondenza riguardante le persecuzioni naziste contro gli ebrei, sui rapporti tra le associazioni di beneficenza cattoliche ed ebraiche, sull’opera missionaria e gli ebrei (all’interno della Congregazione per la Dottrina della Fede), e la diplomazia vaticana riguardante l’equilibrio tra i rapporti con le chiese cattoliche arabe e quelli con gli ebrei e Israele (Congregazione per le Chiese Orientali).

È stato annunciato che è disponibile un Cd relativo all’incontro, all’epoca del raid nazista nel ghetto ebraico di Roma, tra l’emissario di Pio XII, il cardinale Segretario di Stato Luigi Maglione e l’Ambasciatore di Germania Ernst von Weiszàcker. Certo, di questa fatidica conversazione si sa già molto, ma forse i fascicoli archiviati riveleranno dettagli più eloquenti.

Secondo una ricerca di Liliana Picciotto del Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano (Cdec), il cardinale Maglione nelle sue note ufficiali sull’incontro, scrive di aver detto all’Ambasciatore tedesco che gli era stato chiesto di «intervenire facendo appello ai sentimenti di umanità dell’ambasciatore…» e gli aveva ricordato «che la Santa Sede è stata così attenta, come l’ambasciatore stesso aveva sottolineato, a non dare l’impressione di aver fatto o voluto fare la minima cosa contro la Germania durante questa terribile guerra». Maglione diceva che era «doloroso per il Santo Padre, doloroso oltre ogni dire che a Roma, sotto gli occhi del Padre comune, viene inflitta sofferenza a tante persone solo perché appartengono a un’ascendenza particolare…».

Eppure, rispondendo alla domanda dell’ambasciatore: «Cosa farebbe la Santa Sede se le cose dovessero continuare?», Maglione rispose: «La Santa Sede non vuole essere messa nella condizione di pronunciare parole di disapprovazione». Il porporato continua il suo rapporto con l’osservazione: «Ma ho dovuto dirgli che la Santa Sede non deve essere messa nella posizione di protestare. Se la Santa Sede fosse obbligata a farlo, si affiderebbe alla Divina Provvidenza per le conseguenze».

Non sorprende quindi che le forze di occupazione tedesche abbiano proceduto con le retate e le deportazioni. Weiszàcker ha riferito al suo Ministro degli Esteri dodici giorni dopo che il Papa «ha fatto di tutto, in questa delicata situazione, per non compromettere i rapporti con il governo tedesco e le autorità tedesche a Roma».

Nel contesto di ciò che è noto oggi si possono fare due osservazioni. Sicuramente la diplomazia esasperatamente cauta dell’emissario del Papa Maglione viene giustificata per lui dalle conseguenze dei recenti tragici conflitti tra le Chiese cattoliche europee e gli scagnozzi di Hitler. Solo un anno prima, il 20 luglio 1942, i vescovi olandesi guidati dall’arcivescovo Johannes de Jong lessero pubblicamente una lettera pastorale che condannava apertamente le deportazioni naziste di lavoratori ed ebrei olandesi. La protesta fu immediatamente seguita da una rappresaglia nazista in cui 40mila cattolici convertiti dall’ebraismo, tra cui Edith Stein, furono inviati nei campi di concentramento. Secondo quanto riferito, suor Pasqualina Lehnert, la “governante e confidente” di papa Pacelli, ha dichiarato che il timore di massicce ritorsioni sulle comunità cattoliche in Europa era la ragione principale della moderazione di Pio XII.

Una seconda osservazione si può evidentemente dedurre dalla sottolineatura del cardinale Maglione della condotta altamente diplomatica del Vaticano nei confronti della Germania e dai contenuti delle note di Ernst von Weiszacker al suo Governo nazista riguardo all’atteggiamento generale di conformità del Papa. Pio XII si preoccupava soprattutto di mantenere rapporti equidistanti, al limite di relazioni “neutrali” tra il Vaticano, la Germania e gli Alleati, nel suo timore prioritario del comunismo russo, considerato un nemico mortale della Chiesa cattolica.

Che queste preoccupazioni puntino una luce oscura sul silenzio che sovrasta tutte le altre considerazioni sulla disperata situazione dei milioni di ebrei sofferenti e morenti in Europa, fu confermato da padre Pierre Blet SJ, nel 1999 alla presentazione a Roma del suo libro “Pio XII e la Seconda Guerra Mondiale”. «Il Vaticano era intento a vincere la guerra ma anche a vincere sul comunismo», disse in risposta ad una domanda sull’Olocausto. «Queste erano le priorità, non ce n’erano altre».

A partire dal 2 marzo, l’Archivio Apostolico Vaticano, ora pienamente disponibile per quanto riguarda i papati delle due guerre mondiali e le loro ripercussioni fino al 1958, offrirà affascinanti opportunità per una ricerca senza fine su una storia che probabilmente continuerà ad emettere sentenze contraddittorie.

Michele Sarfatti, noto storico ebreo italiano ed ex direttore del Cdec, dopo aver ascoltato le presentazioni si è detto convinto che emergeranno nuovi e significativi dettagli che colmeranno le lacune, influenzando e cambiando sottilmente le interpretazioni storiche in futuro. È rimasto colpito dalla grande professionalità e serietà dei relatori-studiosi. Ci vorranno mesi e anni, secondo lui, per legare insieme le interconnessioni sui singoli eventi tra i vari dipartimenti coinvolti.

Tra le miriadi di domande e pensieri che potrebbero stimolare gli storici ad arricchire la nostra conoscenza delle luci e delle ombre di un tragico passato, si può includere il contenuto della corrispondenza archiviata con gli ebrei in cerca di aiuto durante la guerra e le lettere dei funzionari della Chiesa che riferiscono sulle circostanze locali, i rapporti dei nunzi sulle persecuzioni e le risposte del Vaticano, i dubbi di Pacelli sul fascismo, Mussolini e Hitler, il tutto contenuto in lettere, appunti, relazioni e conversazioni registrate, perlopiù digitalizzate.

Le ricerche future potrebbero anche far luce sulle vere ragioni del continuo silenzio di Pacelli sul tema dell’Olocausto, un silenzio che si protrasse inspiegabilmente anche negli anni del dopoguerra del suo lungo pontificato.

Lisa Palmieri Billig è Rappresentante in Italia e di Collegamento presso la Santa Sede dell’AJC – American Jewish Committee