31 Ottobre 2018

Propaganda antisemita attraverso il social Instagram

Fonte:

La Repubblica

Autore:

Anna Lombardi

Instagram rifugio di odiatori e dell’ultra-destra antisemita

Orrore e propaganda sui social. E la app delle foto è ora la più lenta a espellere i razzisti

NEW YORK L’orrore corre sui social. Ma non si tratta dei soliti Facebook e Twitter. La propaganda antisemita, la stessa che ha innescato l’ultima folle strage americana alla sinagoga Tree of Life di Pittsburgh, ha trovato una nuova casa: Instagram. Sì, il social che permette di condividere immagini, da molti considerato un’oasi di leggerezza, si sta trasformando nell’ultimo rifugio di estremisti propagatori di odio: proprio perché gli altri due social hanno iniziato a eliminare dalle loro piattaforme gli account più radicali. Anche Instagram è ormai infestato – lo denunciano due studi appena pubblicati – quasi quanto quel Gab dalle regole elastiche che accoglie gli haters più pericolosi. Come il killer di Pittsburgh, appunto, che prima della strage aveva postato lì il suo ultimo messaggio antiebraico: «Ci portano a casa invasori che uccidono la nostra gente. Passo all’azione». Secondo la Lega Anti Diffamazione, che fin dal 1913 monitora e denuncia l’antisemitismo in America, la diffusione di messaggi di odio su Twitter e ora su Instagram ha preso nuovo vigore in vista delle elezioni di midterm: dopo che già era aumentata del 30% rispetto al 2017, l’annus horribilis, il 57% di incidenti antisemiti in più rispetto al peggior periodo “razzista” della storia d’America, il 1979. Nel mirino eminenti ebrei americani. Attaccati non solo dai “bot”, i falsi account guidati dagli algoritmi a disposizione degli odiatori che si nascondono online, ma da account di persone reali che non si vergognano di esprimere sui social la natura violenta del loro pensiero. «Prima del 2016 gli attacchi antisemiti erano rari. Dopo l’elezione di Trump si sono normalizzati. Le molestie ormai quotidiane», denuncia Jonathan Greenblatt, presidente della Lega in un editoriale sul New York Times. Uno dei massimi esperti di disinformazione online, Jonathan Albright della Columbia University, ha ricostruito come nelle ultime settimane la figura del miliardario George Soros – finanziatore di ong e democratici accusato dall’estrema destra (italiana compresa) di essere il grande burattinaio delle migrazioni – sia stata legata alla carovana di immigrati dell’Honduras che preme alle porte del Messico sperando di arrivare in America. E come gli attacchi a Soros – il primo ad aver ricevuto uno dei 15 pacchi bomba inviati dal fanatico trumpiano Cesar Sayoc – contenessero sempre più spesso la parola “ebreo”. Di odio sui social, nota Albright, ora ce n’è per tutti: neri, omosessuali, giornalisti. Eppure, insiste sul blog, «soluzioni ce ne sono e anche semplici. Come disattivare gli hashtag di odio». Instagram, che pure dal 2012 appartiene a Facebook e ne condivide le regole, sembra più lenta nell’applicare le norme anti-odio. Dando così spazio a personaggi dell’ultradestra banditi altrove. Come il cospirazionista Alex Jones, che dal 1999 sparge bufale online con il suo Infowars. È lui che ha messo in rete l’insinuazione che il massacro di bambini nella scuola Sandy Hook, 2012, 28 vittime, non fosse mai avvenuto. Facebook lo ha espulso, YouTube (di Google) ne ha rimosso i video. iTunes (Apple) ha eliminato i podcast. Ma Jones continua a postare su Instagram. Il comico di estrema destra Owen Benjamin che continua a inondare i suoi 50 mila followers con meme antisemiti. O ancora Gabin McInnes, fondatore del gruppo di estrema destra Proud Boys, che ora posta immagini di pestaggi con sopra lo slogan della Nike: “Just do it” – Fallo e basta. All’interno della comunità ebraica c’è chi prova il contrattacco: sempre digital. Una app chiamata act.il finanziata dalla Jewish Community Foundation di Los Angeles identifica i contenuti antisemiti in rete: e invita gli utenti a reagire. Ha già fatto cancellare decine di post su Facebook, YouTube e, ora, anche Instagram. L’orrore corre sul social: l’orgoglio, e la risposta, pure.