7 Dicembre 2019

Il nemico innocente. L’incitamento all’odio nell’Europa contemporanea, Guerini e Associati 2019

Fonte:

Repubblica

Autore:

Luigi Manconi , Valeria Fiorillo

I limiti dell’odio

In una democrazia gli intolleranti devono essere per forza tollerati? Il caso del professore di Siena che inneggiava a Hitler su Internet pone domande fondamentali sulla libertà e sulle nostre responsabilità

Ogni giorno ha la sua pena. La vicenda del docente di filosofia del diritto (!) presso l’Università di Siena, che inneggia ad Adolf Hitier, appartiene a pieno titolo al perenne grottesco italiano: eppure richiama, pur nella sua miseria, questioni teoriche cruciali. La domanda è sempre quella: è giusto tollerare gli intolleranti? Il sistema democratico può consentire che, al proprio interno, si sviluppi l’attacco al sistema democratico? E se lo stato di diritto non consentisse ai propri nemici di esercitare la critica più radicale (e magari scellerata) resterebbe uno stato di diritto? Il gran discutere che si fa intorno al tema dell’odio richiama, in realtà, quelle domande inesorabili. Teniamo ben presente l’ammonimento di Primo Levi: «L’intolleranza tende a censurare, e la censura accresce l’ignoranza della ragione altrui e quindi l’intolleranza stessa: è un circolo vizioso rigido, difficile da spezzare». Queste parole si ritrovano in I sommersi e i salvati, pubblicato nel 1986. La questione, tuttavia, era stata affrontata con una risposta, forse imprevedibilmente diversa, già da Karl Popper, che nel 1945 (la data è cruciale, come è ovvio) scriveva: «la tolleranza illimitata deve portare alla scomparsa della tolleranza, la tolleranza illimitata deve portare alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo la tolleranza illimitata anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo preparati a difendere una società tollerante dall’assalto dell’intollerante, allora il tollerante verrà distrutto e la tolleranza con loro» (La società avverta e i suoi nemici). Non si tratta di un dibattito astratto e tantomeno inattuale. Basti pensare che il vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli, nel gennaio scorso è stato condannato in primo grado per diffamazione aggravata dalla finalità istigativa all’odio razziale a una pena sospesa di un anno e sei mesi, per aver detto in un comizio quanto segue: «Quando vedo il ministro dell’Integrazione, Cecile Kyenge, non posso non pensare a un orango». Che non si tratti di un caso isolato viene confermato da un libro, pubblicato qualche mese fa, che, oltre ad affrontare in particolare sul piano culturale e mass-mediatico la domanda popperiana («tollerare gli intolleranti?»), offre dati inconfutabili. Il libro in questione è Il nemico innocente. L’incitamento all’odio nell’Europa contemporanea, curato da Milena Santerini (Guerini e Associati 2019) con il contributo di vari autori (da Giovanni Maria Flick, a Michel Wieviorka, a Katharina Von Schnurbein). Testimonianza, ricordo, memoria, come antidoto e prevenzione alla reiterazione di «crimini che non si possono punire né perdonare» (Hannah Arendt), quale il genocidio degli Ebrei. Ma ora che i testimoni diretti non ci sono quasi più, che baluardo opporre al dilagare dell’odio, sentimento il cui diffondersi tende a produrre indifferenza, voglia di estraneità, e istinto a voltare il capo dall’altra parte? E non è certo un caso che sia proprio quella parola — indifferenza—a campeggiare a grandi caratteri, come voluto da Liliana Segre, all’ingresso del memoriale della Shoah di Milano, Binario 21 (quello da cui partivano i treni diretti in Germania). Dunque, se prevenire il diffondersi dell’odio e dell’indifferenza significa agire attivamente contro vecchie e nuove forme di discriminazione, chiedersi come contrastare questi fenomeni costituisce una priorità assoluta di ogni sistema democratico. Questo libro ci aiuta a definire tratti e i contenuti di una possibile opera di prevenzione, ragionando sul fenomeno e problematizzando le diverse soluzioni, culturali e politiche. Le nostre costituzioni e la Convenzione europea dei diritti umani, costruite sulle macerie dei campi di concentramento e in particolare sul principio di uguaglianza e di non discriminazione, ammettono limitazioni di alcune libertà fondamentali, laddove il loro esercizio il-limitato costituisca una minaccia per i valori democratici su cui lo stato di diritto si fonda. Ne consegue che nel nostro ordinamento alcuni diritti fondamentali non hanno carattere assoluto, dal momento che possono essere limitati al fine di garantire il rispetto di altri diritti costituzionalmente protetti. Ma questo bilanciamento pub risultare conflittuale e la soluzione di tale tensione apparire controversa. Con riguardo alla libertà di manifestazione del pensiero (articolo 21 della Costituzione), la legislazione è intervenuta al fine di impedire che un abuso di tale diritto metta in pericolo altri valori costituzionali, quali la dignità e l’uguaglianza o l’ordine pubblico. Laddove, cioè, la manifestazione delle idee possa produrre odio o violenza, ci troviamo al di fuori della sfera di protezione garantita da tale diritto. Ma anche questa interpretazione è tutt’altro che unanimemente condivisa. D’altra parte con gli autori del libro ci si può chiedere se un quadro normativo, le cui basi risalgono al secondo dopoguerra, sia ancora valido e, Osservatorio Antisemitismo, segnalando che dei 197 episodi registrati nel 2018 il 67% si riscontra su internet. L’hate speech viene letto, dalla stessa Guetta e da altri autori, in parallelo al fenomeno delle fake news, dal momento che si evidenzia un nesso intimissimo tra notizie false e incitamento all’odio: le menzogne svolgono una funzione essenziale nel meccanismo di semplificazione che dà corpo alle ansie collettive e alle paure profonde, individuando un capro espiatorio e una procedura per la sua colpevolizzazione. Qui il flusso di informazione della rete, la sua orizzontalità, la sua illimitata apertura rivelano una irreparabile e micidiale povertà: contro la manipolazione dei poteri forti si agita, altrettanto suggestiva e pervasiva, la manipolazione di una miriade di soggetti irresponsabili. Come sottolinea Milena Santerini, l’era digitale e le sue dinamiche ci forzano a ragionare su un livello diverso da quello razionale, quello emotivo. Poiché Internet ha dato voce alla sfera privata, deprivatizzato il sentimento intimo delle persone e introdotto nella dimensione pubblica ciò che prima rimaneva in ambito personale, è necessario creare una cultura pubblica fondata su sentimenti positivi, la compassione e la solidarietà ad esempio. Come si vede, la natura e le dimensioni dell’attuale incitamento all’odio ci riportano al punto di partenza: le leggi e le istituzioni dello stato di diritto costituiscono un presidio prezioso, ma non sufficiente. E la qualità profonda della democrazia non rappresenta una garanzia scontata perla sua definitiva affermazione. Su questo è stato ancora Primo Levi a dirci l’inascoltabile. Rovesciando il più tranquillizzante buon senso che l’esperienza del dolore aveva tradotto nell’ottimistica affermazione «Mai più», Levi scrive: «È accaduto una volta, dunque pub ripetersi». E appena stato pubblicato da Emons Audiolibri I sommersi e i salvati. ascoltarlo nella formidabile lettura di Fabrizio Gifuni (uno di quegli attori “tattili” di cui parlava Giovanni Raboni) è una esperienza emotiva e intellettuale irrinunciabile. Il libro ricorda quei manuali cinque-seicenteschi che si proponevano di “spiegare il mondo”, qui Levi ci spiega che cos’è il male. Leggerlo, ascoltarlo può essere un atto di resistenza.