4 Gennaio 2023

Il discorso d’odio sulle piattaforme social online: Un caso intersezionale di antisemitismo e omobitransfobia nel contesto italiano

Di Murilo Henrique Cambruzzi, ricercatore presso l’Osservatorio Antisemitismo della Fondazione CDEC e Daniel Heller, assistente di progetto CEJI

Traduzione di Viola Ghiringhelli

Il Facing Facts Network è una rete europea interdisciplinare che mira a comprendere e affrontare meglio i crimini e i discorsi d’odio. Dalla sua nascita nel 2011, la rete ha condotto ricerche approfondite e sviluppato programmi di apprendimento online all’avanguardia per soddisfare le esigenze di coloro che sono in prima linea in questi sforzi. I nostri blog periodici mirano ad approfondire particolari sfide e domande che possono essere regolarmente incontrate dai nostri membri. Per saperne di più sulle attività della Rete Facing Facts, visitate il sito web https://www.facingfacts.eu/

Le piattaforme online hanno visto un aumento di episodi d’odio verso le minoranze. I social media sono le principali piattaforme dove si possono trovare contenuti derivanti dalle retoriche d’odio e teorie cospirazioniste, spesso condivisi da politici ed estremisti.

Lo scopo di questo blog è di analizzare la crescente intersezione tra diverse ideologie d’odio, con una particolare attenzione antisemitismo e l’omobitransfobia. Questo articolo considera le principali iniziative a livello europeo sottolineando gli aspetti positivi e alcune lacune, tra cui, per esempio, il bisogno di estendere il Codice di Condotta sul Contrasto al Discorso d’odio Illegale Online a piattaforme social che devono ancora aderirvi.

Esplorando il contesto italiano, verrà descritto come la discussione parlamentare della proposta di legge anti-discriminazione (DDL Zan) ha portato l’Osservatorio Antisemitismo a registrare casi di questa crescente connessione intersezionale tra le retoriche antisemite e omobitransfobiche. Vengono analizzate alcune delle discussioni e teorie del complotto presenti sui social media e si vuole evidenzare la necessità per le organizzazioni della società civile, ricercatori, attivisti e legislatori di approcciarsi in modo intersezionale alle leggi anti-discriminazione.

Il contesto Europeo

La decisione quadro 2008/913/GAI relativa al contrasto al razzismo e alla xenofobia è una pietra miliare per la criminalizzazione dei crimini e discorsi d’odio nell’Unione Europea. La decisione quadro criminalizza “l’incitamento pubblico alla violenza o all’odio basato su razza, colore, religione, discendenza od origine etnica e nazionale”.[1] Nel 2016, la Commissione Europea e le più importanti piattaforme social hanno siglato volontariamente un Codice di Condotta per Contrastare il Discorso d’Odio Illegale Online[2]. Le piattaforme social hanno aderito a tappe[3] per “[contrastare] la diffusione del discorso d’odio illegale online e si sono impegnate per avere regole o linee guida di community in vigore, rendendo chiaro che vietano la promozione dell’incitamento alla violenza e al comportamento denigratorio”[4]. Altre piattaforme come Telegram e Vkontakte, con rispettivamente 550[5] e 77[6] milioni di utenti in tutto il mondo, devono ancora aderire al Codice di Condotta mentre sono attive in Europa.

I dati dell’ultimo monitoring exercise (2020 e 2021) riportano un aumento nella quantità di contenuto segnalato alle piattaforme social[7]. Questo aumento è in parte un risultato dell’introduzione, da parte del Codice, del ruolo dei “trusted flagger”, che di solito viene rivestito da Organizzazioni della Società Civile. I “trusted flaggers” hanno favorito una maggiore cooperazione tra organizzazioni della società civile e piattaforme social e una migliore comprensione delle specificità nazionali dei discorsi d’odio, permettendo reazioni e risposte più informate. L’intelligenza artificiale e i moderatori hanno un ruolo nella rimozione di contenuto denigratorio dalle piattaforme social e il Codice ha stabilito la creazione di punti di contatto nazionali che supportano gli Stati Membri nel rinforzare le legislazioni esistenti[8].

I dati raccolti nel 2020 e 2021 mostrano una significativa differenza nel tasso di rimozione di contenuti tra utenti generici e “trusted flaggers”, suggerendo che il bisogno di un’attenzione maggiore verso le segnalazioni di utenti generici.

Il contesto italiano

Nel 2021, un rapporto di Amnesty International Italia si è concentrato sulle narrative d’odio durante la pandemia. Il documento analizza 36,269 post su Facebook e Twitter. Un post e un tweet su dieci è stato giudicato offensivo, discriminatorio o discorso d’odio. Secondo il rapporto, il discorso d’odio online è aumentato del 40% in Italia, paragonato all’anno precedente. Il 55,6% del contenuto si concentrava su narrative contro minoranze religiose, seguite da narrative contro la popolazione rom (47,6%) e contro i migranti (42,1%). La comunità LGBTQAI+ è il gruppo più preso di mira con il 98,2% del contenuto denigratorio, seguita dai musulmani (46%) e ONG e persone coinvolte in attività sui diritti umani più generalmente, circa al 25,9%)[9].

Il discorso d’odio non è regolato nello specifico dal codice penale italiano. La Legge Mancino del 1993 (Articolo 604bis del codice penale), modificata nel 2006, stabilisce una serie di sanzioni fino ad un anno e sei mesi di carcere se la persona è colpevole di incitazione o dimostrazione di propaganda razzista per ragioni di razza, etnia, nazionalità o religione. Nel 2018, il Parlamento italiano era stato chiamato a discutere la proposta di legge del parlamentare Alessandro Zan, che aveva lo scopo di estendere la protezione legale a una gamma più vasta di categorie protette tra le quali figuravano l’orientamento sessuale, l’identità di genere e la disabilità. La proposta di legge è stata approvata nel 2020 dalla Camera dei Deputati, ma non ha ottenuto i voti necessari al Senato della Repubblica.

Gli altri obiettivi della proposta erano:

  • Stabilire una giornata nazionale contro l’omofobia, lesbofobia, bifobia e transfobia;
  • Istituire misure di contrasto alla discriminazione (predisporre una strategia nazionale per contrastare la discriminazione basata su orientamento sessuale e identità di genere);
  • La creazione di sistemi per raccogliere dati e portare avanti attività di ricerca delle istituzioni statali come l’ISTAT (Istituto nazionale di statistica) e l’OSCAD (Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori).

Il dibattito politico e pubblico sul disegno di legge ha portato a post antisemiti e omobitransfobici sui principali social mediai. Tra le false accuse, che verranno approfondite di seguito,alcune affermano che i diritti delle persone LGBTQAI+ sono parte del complotto ebraico volto ad annientare la società europea (che è vista come bianca, CisHet[10] e cristiana).

L’intersezione tra antisemitismo e omolesbobitransfobia

Nel libro Sessualità e Nazionalismo (1984), George Mosse afferma che l’ascesa del nazionalismo aveva stabilito una narrativa che collegava la “razza” alla sessualità. Gli ebrei erano ritenuti libidinosi, gli uomini ebrei erano accusati di provare a sedurre le donne bianche o ariane e di andare da prostitute. Secondo Mosse, era tipico dell’ideologia razzista dell’epoca legare la libidine eccessiva a “razze inferiori”. Marcel Proust arrivò al punto di definire gli ebrei e gli omosessuali come “una razza maledetta”[11]. Un luogo comune dell’antisemitismo vuole gli ebrei come sessualmente perversi e con il piano di sovvertire o distruggere “la norma” (monogamia, eterosessualità, ecc.). Come tali, queste narrative sono profondamente radicate nelle teorie razziste e sono state “modernizzate” per incapsulare i cambiamenti della società.

Mario Mieli, un pioniere dei diritti LGBTQAI+ in Italia il cui padre era un ebreo egiziano, è stato accusato da un blogger di essere apripista dell’imposizione dell’ “ideologia gender” in Italia. Nella sezione commenti del blog, l’autore afferma che “Mieli era un agente assegnato alla corruzione e alla depravazione della gente, che guarda caso è ebreo, come molti altri che operano sul nostro territorio […]”[12].

In alcuni dei post raccolti dall’Osservatorio Antisemitismo, il Pride di Tel Aviv viene menzionato come un esempio di  libertinaggio ebraico e perversione, dichiarando allo stesso tempo che, ad esempio “gli ebrei rifiutano lo schifo per loro stessi, ma, al contrario, ce lo rifilano a noi!” e “Gli ebrei non approvano il matrimonio egualitario o l’estensione dei diritti LGBTQAI+ in Israele, ma li impongono a noi (inteso come Europa/Occidente)”. Una narrativa molto offensiva è quella che coinvolge la Brit Milah (circoncisione), che viene presentata come un rito di iniziazione all’omosessualità e alla perversione. Alcuni dei post trovati su Twitter o Facebook, collegano a blog  i cui autori accusano gli ebrei di “molestia omosessuale di ragazzi ebrei circoincisi”, di essere “pedofili Kosher”, e così via.

Post come i seguenti possono essere trovati facilmente sui principali che aderiscono al Codice di Condotta dell’UE: https://www.facingfacts.eu/blog/il-discorso-dodio-sulle-piattaforme-social-online-un-caso-intersezionale-di-antisemitismo-e-omobitransfobia-nel-contesto-italiano/

La situazione è ancora più estrema sulle piattaforme che non aderiscono al Codice di Condotta dell’UE. Esempi sono il social network Vkontakte e la piattaforma ibrida Telegram dove i contenuti che incitano la violenza letale contro ebrei, persone LGBTQAI+  e persone con disabilità possono essere trovati. Il report del 2022 dell’Unesco History under attack: Holocaust denial and distortion on social media riporta, con preoccupazione, che Telegram considera privati tutti i gruppi e le chat, pertanto non li controlla.

Aderire al Codice richiede che le piattaforme social analizzano i contenuti segnalati dai “trusted flaggers” e se considerato illegale che questi vengano rimossi. Secondo la Commissione Europea “da quando è stato adottato nel 2016, il Codice di Condotta sta garantendo risultati positivi: l’ultima valutazione mostra che in media le compagnie adesso esaminano l’81% dei contenuti segnalati entro 24 ore e il 62,5% del contenuto ritenuto discorso d’odio illegale viene rimosso”.[14]

I profili che diffondono l’odio antisemita sono spesso gli stessi che diffondono odio omofobo, transfobico, antiziganismo, xenofobico, razzista, ecc. sottolineando così il bisogno di un approccio olistico e con una lente intersezionale per contrastarlo [15]. I gruppi non sono omogenei. Ogni persona ha caratteristiche diverse che si intersecano e che potrebbero essere terreno per una o più forme di pregiudizio o intolleranza; ad esempio, un uomo ebreo gay potrebbe sperimentare simultaneamente attacchi omofobi e antisemiti, mentre un uomo ebreo eterosessuale sarà soggetto “solo” ad attacchi antisemiti. Questi attacchi possono venire sia da persone esterne che interne alle comunità. Inoltre, un uomo ebreo gay potrebbe essere soggetto ad antisemitismo nelle comunità LGBTQAI+ e omofobia nelle comunità ebraica.

Amplificare voci ebraiche Queer

Ariel Heller è un attivista LGBTQAI+ italiano che riflette, nelle seguenti righe, sulla discriminazione sperimentata dagli ebrei accusati di imporre l’”ideologia gender”.

“Affrontiamo la discriminazione non solo per l’identità di genere o l’orientamento sessuale in alcune frange delle comunità ebraiche, ma a momenti ci sentiamo insicuri all’idea di esprimere il nostro ebraismo in spazi Queer. Essere ebreo è visto come un elemento di privilegio e potere. Questa percezione antisemita perpetra lo stereotipo che ha portato spesso all’esclusione di ebrei  dalle manifestazioni, aumentando gli attriti interni alle comunità”. “Gli ebrei Queer sono particolarmente presi di mira, come è accaduto durante il Milano Pride. La recente discriminazione intersezionale che abbiamo sperimentato ha una drammatica ripercussione su di noi in entrambe le comunità”.

Ariel riflette sull’esclusione degli ebrei LGBTQAI+ sia dalle comunità ebraiche che da quelle LGBTQAI+, le quali temono che “accoglierli significherebbe affrontare dei discorsi d’odio intersezionali online. Ciò sottolinea le difficoltà nell’affrontare l’intersezionalità interna alle comunità. La mancanza di supporto annulla le nostre rivendicazioni, rendendo difficile la denuncia all’antisemitismo negli spazi Queer e dell’omolesbobitransfobia nella sfera ebraica.”

Infine, Ariel ha sottolineato come gli ebrei Queer abbiano bisogno di una piattaforma per essere ascoltati senza dover rinunciare a parte della loro identità.

Conclusione

Il tema dei discorsi d’odio è complesso e spesso le piattaforme social e i Codici non colgono le sue numerose sfumature. Il fenomeno ha bisogno di essere capito nelle sue peculiarità (antisemita o omobitransfobico) e, in generale, rafforzando le regole dei social media contro i discorsi d’odio e i comportamenti ostili.

Gli ebrei e le persone LGBTQAI+ hanno in comune una lunga storia di discriminazione (basta pensare al fatto che entrambe le comunità venivano perseguitate e uccise dai nazisti), ma anche di resistenza. Le comunità ebraiche e gli spazi Queer devono fare di più per accettare e combattere le narrative d’odio contro gli ebrei LGBTQAI+  e garantire uno spazio sicuro per solidarietà e supporto. C’è bisogno di creare spazi per facilitare formazione e dialogo. Organizzazioni come Keshet UK  e Keshet Ga’avah sono grandi esempi del ruolo e degli spazi che le organizzazioni ebraiche-LGBTQAI+ – come Keshet Italia – stanno provando a creare come ponte tra entrambe le comunità. Conoscere le esperienze e riflettere sui problemi sono punti chiave nella discussione relativa all’importanza dell’intersezionalità tra comunità, che potrà in seguito influenzare la legislazione nazionale ed internazionale. In Invisible Others and Intersectional Equality Data, Camila Piastro evidenzia la necessità d’introdurre e formare le comunità e i soggetti interessati su concetti di discriminazione intersezionale e sul fenomeno dei discorsi d’odio per identificare, raccogliere e denunciare questi casi.

Questo articolo cerca di descrivere le esperienze degli ebrei Queer in Italia. Questo tipo di visibilità è essenziale, così come una comprensione della crescente intersezionalità tra diverse ideologie d’odio. Gli approfondimenti, le prospettive e le esperienze degli individui e delle comunità che sperimentano questi problemi intersezionali dovrebbero essere considerati e integrati in sforzi continuativi per riformare il diritto dell’Unione Europea in quest’area. Inoltre, i social media devono fare attenzione e assumersi la responsabilità per i contenuti che circolano nelle loro piattaforme. Devono lavorare a stretto contatto con le organizzazioni della società civile e attivisti per creare attività di sviluppo delle competenze e supportare il contatto con comunità marginalizzate per capire e rispondere alla crescente discriminazione intersezionale e all’odio in modo efficace. Infine, crediamo che sia importante che la Commissione Europea assicuri che altri social network e piattaforme online aderiscano al Codice di Condotta e che queste compagnie valorizzino lo sviluppo di algoritmi per la moderazione e migliorino il tasso di rimozione dei contenuti d’odio che circolano sulle loro piattaforme.

[1] See: Combating hate speech and hate crime

[2] Illegal Hate speech is defined in the Framework Decision 2008/913/JHA of 28 November 2008 as the public incitement to violence or hatred on the basis of certain characteristics, including race, colour, religion, descent and national or ethnic origin. While the Framework Decision on combatting racism and xenophobia covers only racist and xenophobic speech, the majority of Member States have extended their national laws to other grounds such as sexual orientation, gender identity and disability.

[3] 2016: Facebook, Microsoft, Twitter and YouTube; 2018: Instagram, Snapchat and Dailymotion; 2019: Jeuxvideo.com; 2020: TikTok; 2021: LinkedIn; 2022: Rakuten Viber and Twitch.

[4] See: Code of Conduct–Illegal online hate speech Questions and answers

[5] See: Telegram users

[6] See: VKontakte users

[7] TikTok joined the EU Code of Conduct in September 2020, and it was also included in the 2021 monitoring round for the first time.

[8] See: How the Code of Conduct helped countering illegal hate speech online

[9] See: Barometro2021

[10] If someone is cishet, it simply means that they are the gender they were assigned at birth and exclusively romantically and sexually attracted to those of the opposite gender. See: CisHet

[11] See: Mosse, George L. “Razza e Sessualità: L’Estraneo.” Essay. In Sessualità e Nazionalismo, 1st ed., 153–74. Roma-Bari, Italy: Editori Laterza, 1984153.

[12] Facing Facts, as a rule, does not publish the link of hateful content to minimise the risk of spreading it online.

[13] The post was published by an ‘activist’ of antisemitism. The Osservatorio Antisemitismo has found several Italian profiles on Facebook, which use made up Jewish names, and often the Happy Merchant meme as their profile picture and/or cover. ‘Jew-face’ – pretending to be Jewish – is a successful strategy utilised by Italian antisemites to avoid Facebook’s moderation policies.

[14] The EU Code of Conduct on countering illegal hate speech online

[15] According to the Center for Intersectional Justice, Intersectionality “describes the ways in which systems of inequality based on gender, race, ethnicity, sexual orientation, gender identity, disability, class and other forms of discrimination ‘intersect’ to create unique dynamics and effects. […] All forms of inequality are mutually reinforcing and must therefore be analysed and addressed simultaneously to prevent one form of inequality from reinforcing another.” Camila Piastro Invisible Others and Intersectional Equality Data article explores how the lack of intersectional data hampers efforts to understand and address acts of discrimination among and within communities.