27 Gennaio 2023

Discorso del professor Giorgio Sacerdoti, presidente della Fondazione CDEC, in occasione del Giorno della memoria

Fonte:

Moked.it

Autore:

Giorgio Sacerdoti

L’intervento di Giorgio Sacerdoti “Dai diritti violati ai diritti tutelati”

Esprimo anzitutto la mia gratitudine al Presidente Mattarella per avermi invitato a tenere questo intervento ufficiale nel Giorno della Memoria 2023. Vorrei in pochi minuti fare una panoramica su come nell’Italia democratica a partire dall’immediato dopoguerra è stata dapprima realizzata la reintegrazione dei diritti delle vittime delle leggi razziste fasciste del 1938-45 (una fase prolungatasi addirittura fino agli anni 1980). Poi, negli anni fino alla fine del secolo, si è realizzata l’uguaglianza e la pari dignità di tutte le confessioni (con l’intesa costituzionale tra Unione delle Comunità e Stato nel 1987-89), indi nel 1993 con la Legge Mancino si sono approntati gli strumenti per contrastare a livello penale delle manifestazioni di razzismo. Fino a giungere nell’anno 2000 alla istituzione del Giorno della Memoria, un vero e proprio spartiacque in materia. Essa riflette la consapevolezza, faticosamente acquisita a distanza di decenni, dell’enormità della Shoah e della necessità di fondare su quel ricordo, applicato all’esperienza dell’oggi, politiche pubbliche per combattere il pregiudizio, i discorsi di odio e l’antisemitismo.

Di qui in anni recentissimi la messa in atto vere e proprie strategie, in Italia e a livello europeo volte a contrastare questi fenomeni con azioni mirate sul piano dell’educazione e della formazione in quanto minacce alla coesione sociale e all’ordine democratico.

La prima fase – Quanto alla prima fase, la reintegrazione dei diritti, il processo fu sorprendentemente lungo e faticoso.

Nel 1987 un volume del Senato, voluto e con prefazione del suo presidente Giovanni Spadolini, riportava ben 90 provvedimenti emanati nell’arco di oltre 40 anni, segno non tanto della completezza delle misure attuate, ma piuttosto della complessità del compito e soprattutto dell’insufficienza di molti di essi.

Ne ricorderò due di portata generale. Anzitutto i regi decreti-legge del gennaio 1944, (firmati a Bari da quello stesso Vittorio Emanuele III, re d’Italia, che sei anni prima aveva firmato a San Rossore i “provvedimenti per la difesa della razza” sottopostigli dal governo fascista). Essi abrogavano in toto la legislazione razzista dell’anno 1938 e seguenti e ripristinavano i diritti politici, civili ed economici degli ebrei sopravvissuti, ma non ne rimossero certo tutte le conseguenze.

In secondo luogo ricordo la Legge Terracini del 1955 che a favore dei perseguitati politici del fascismo e di quelli “razziali” prevedeva un “assegno di benemerenza”, una sorta di pensione sociale la cui applicazione è stata peraltro costellata da numerose difficoltà. Ne è prova che dovette intervenire persino la Corte Costituzionale e che le ultime correzioni, per contrastare una applicazione indebitamente restrittiva furono apportate con la legge di bilancio del 2020.

È contrassegnata anzitutto dall’Intesa tra l’Ebraismo e lo Stato del 1987 ai sensi dell’art. 8 della Costituzione. Con le intese fu non solo finalmente attuata l’uguaglianza giuridica tra le religioni ma a ciascuna vennero riconosciute le esigenze proprie, nel quadro dei princìpi costituzionali. L’intesa ebraica ha anche avuto un importante riflesso a livello culturale e sociale: l’ebraismo è uscito da una condizione di marginalità, ha acquistato pari dignità in un quadro sociale pluralistico; le comunità sono state riconosciute come portatrici di valori che arricchiscono l’intera società italiana.

Vi è stata poi una svolta importante sul piano penale, contro ogni forma di razzismo con la cd “legge Mancino” del 1993 che punisce la diffusione di idee razziste, l’incitamento alla discriminazione e alla violenza motivate da razzismo. Essa è lo strumento principe di tutela penale al riguardo. Non a caso quando si trattò (sulla base di una Decisione europea sulla lotta al razzismo e alla xenofobia del 2008) di prevedere come reato il negazionismo della Shoah, questo avvenne prevedenndola come aggravante specifica dei reati di cui alla legge Mancino.

Vengo alla terza fase dall’istituzione del Giorno della Memoria (2000). Si realizza finalmente, a distanza di decenni, la presa di coscienza dell’enormità della persecuzione, pur nel quadro delle tante violenze del XX secolo, col riconoscimento che il fascismo aveva coinvolto anche l’Italia nel “cono nero” della Shoah; dalla persecuzione dei diritti nel 1938 alla persecuzione delle vite a partire dal settembre 1943 sotto l’occupazione nazista. Tutti siamo consci (e spesso ne siamo direttamente protagonisti) delle manifestazioni, diffuse in tutt’Italia – con continuità nel corso degli anni – e delle azioni di sensibilizzazione che questa Giornata ha generato a tutti i livelli, nella scuola, l’editoria, i media, per non parlare dei “viaggi della Memoria” delle scuole, e le toccanti testimonianze dei sopravvissuti. Affermare che questa Giornata sia inutile, o peggio controproducente, come alcuni superficialmente hanno detto, va contro l’evidenza dei fatti.

Vengo infine alla sfida dell’oggi, alla strategia europea ed italiana contro le discriminazioni e l’antisemitismo. Purtroppo l’antisemitismo nella società non è scomparso, anzi si ripresenta in forme diverse, facilitato dalla diffusione su internet dei messaggi di odio contro minoranze e supposti “diversi”, e dall’accessibilità “fai da te” dei social a chiunque.

Di qui l’importanza del cambio di passo che caratterizza la tappa più recente, quella delle politiche culturali ed educative promosse negli ultimi anni non solo in Italia, ma a livello internazionale ed europeo, per contrastare l’antisemitismo (e ogni altro razzismo) e promuovere una cultura della comprensione, conoscenza e collaborazione.

A livello internazionale la HIRA, International Holocaust Remembrance Alliance (1998) promuove programmi educativi di contrasto all’antisemitismo nei 35 paesi che ne fanno parte e ha formulato nel 2016 una definizione ampia di antisemitismo come guida all’azione dei paesi membri.

Gli ultimi sviluppi sono recentissimi. Nell’Unione Europea è di fine 2020 la Dichiarazione del Consiglio sulla lotta all’antisemitismo attraverso politiche pubbliche che includano la rimozione dei messaggi di odio on line, la risposta giudiziaria (che è spesso troppo blanda) e l’educazione sull’Olocausto e sull’ebraismo per prevenire il pregiudizio. È seguito nel 2021 il lancio da parte della Commissione europea di una specifica Strategia europea al riguardo e la nomina di un Coordinatore dedicato a metterla in atto.

Anche il nostro paese si è sensibilizzato specificamente, dopo l’istituzione dell’UNAR, l’Ufficio anti-razzismo della PdC, nel 2003. Nel 2020 presso la PdC è stata nominata una “Coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo” per “promuovere e potenziare le attività di prevenzione e lotta contro l’antisemitismo, in collaborazione con le istituzioni ebraiche, coordinando l’attività delle pubbliche amministrazioni al riguardo. Ne è nata anche in Italia una “Strategia Nazionale per la lotta contro l’antisemitismo” Le prime azioni, come corsi di formazione alle forze dell’ordine e a magistrati, sono già state realizzate. Fondamentali, quanto alla scuola, le Linee guida per il contrasto all’antisemitismo emanate di recente dal Ministero dell’Istruzione e del Merito che prevedono tra l’altro l’inserimento della storia del popolo ebraico nei programmi scolastici.

Ricordo, nella stessa direzione, infine, le conclusioni unanimi alla fine della passata legislatura, della “Commissione Segre”, cioè la Commissione straordinaria del Senato, ricostituita pochi giorni fa, “per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza”. Vi è dunque un filo conduttore degli sviluppi che ho brevemente evocato. Le più recenti iniziative danno fiducia che questo impegno valga a contrastare più efficacemente, direi in radice, la mala pianta dell’antisemitismo, un fenomeno endemico, ora sottotraccia, ora virulento, comunque una forma particolarmente insidiosa di razzismo. Che valga fondare invece una cultura della comprensione basata sulla conoscenza e l’accettazione dell’altro come portatore di pari dignità, prima ancora che di pari diritti, in un’Europa democratica sempre più pluralista ma che periodicamente inclina verso la chiusura in se stessa.