28 Luglio 2021

Antivaccinismo ed uso di metafore legate alla Shoah

Fonte:

La Repubblica

Autore:

Miguel Gotor

Così nasce la strategia di dare del nazista all’avversario

Dalla guerra fredda ai no vax

Lo scorso fine settimana migliaia di militanti “No Vax” sono scesi in piazza in diverse città italiane e tra i promotori delle manifestazioni hanno fatto capolino, con il megafono in mano ad arringare la folla, i volti vecchi del nuovo neofascismo italiano, quello del terzo millennio, da Forza Nuova a Casa Pound. Al grido di “libertà, libertà”, hanno impugnato una narrativa stupefacente, incentrata sull’argomento che il dovere di esibire il Green pass equivarrebbe all’obbligo infame imposto da Hitler agli ebrei di esibire la stella gialla. In alcune piazze i manifestanti hanno iniziato a urlare «Norimberga, Norimberga» per evocare il processo subito dai gerarchi nazisti dopo la fine della Seconda guerra mondiale e cartelli con svastiche sono comparsi pressoché ovunque accanto al simbolo del passaporto verde o equiparando il “Not vaccined” al “Juden”. Non si tratta di un fenomeno soltanto italiano perché simili reazioni si sono verificate anche in Francia, Germania, Stati Uniti e Australia: ovunque, nelle manifestazioni “No Green pass”, è affiorato il richiamo alla Shoah per difendere la libertà di scelta durante la pandemia, un messaggio poi riprodotto e amplificato in tanti “meme” che hanno iniziato a viaggiare lungo vie digitali sempre più uniformi e affollate. Questa idea di utilizzare il paragone con il nazismo per delegittimare l’avversario, creando narrative dell’esclusione e dell’infamia mediante l’edificazione di paradigmi vittimari e complottistici, non è nuova perché ricorda da vicino le tecniche di “disinformatja” che caratterizzarono la svolta antisionista e antisemita di Stalin nel corso degli anni Cinquanta del Novecento. Allora, nonostante i bolscevichi fossero stati tra i promotori della nascita dello Stato d’Israele, per ragioni geopolitiche determinate dalla guerra fredda, si iniziò a diffondere presso l’opinione pubblica occidentale l’identificazione tra la Stella di David e le Croci uncinate. Questo paragone si fondava sull’idea che il vizio di origine di Israele sarebbe stato quello di essere uno Stato nato nel campo dell’imperialismo. Tale vulgata, in particolare da11967 in poi, si sarebbe impadronita di una parte significativa della sinistra occidentale, alimentandone non soltanto l’antisionismo ma anche l’antisemitismo come negli ultimi L anni hanno ricostruito con accenti diversi i libri di Fabio Nicolucci, Gadi Luzzatto Voghera e Alessandra Tarquini. Il fenomeno non è da sottovalutare perché consente a un manipolo di promotori ideologizzati e di organizzatori facinorosi (perché di questo stiamo parlando) di estendere l’egemonia del loro linguaggio in una fascia di popolazione ben più ampia, che mai sarebbe scesa in piazza e che oggi, nel corso della seconda estate di pandemia, mentre l’alfabeto delle varianti alimenta, una lettera dopo l’altra, la nostra inquietudine, esprime un legittimo disagio e smarrimento. Davanti a simili manifestazioni i democratici hanno il dovere di non abbassare la guardia e di prendere bene le misure dell’insidia, a partire dalla consapevolezza che il problema non è costituito da qualche migliaio di manifestanti, ma dalla loro capacità di appropriarsi di immagini forti (l’idea del complotto), di scegliere parole d’ordine seducenti (“Giù le mani dai nostri bambini”) e di brandire la bandiera della libertà di scelta contro una presunta dittatura del nuovo capitale farmaceutico transnazionale così da aumentare a dismisura il loro consenso. Non si tratta di un’operazione facile, ma è importante farla perché si calcola che lungo questo delicato crinale ballino circa sei milioni di voti che decideranno le prossime elezioni politiche come Salvini e Meloni, con l’ambiguità costitutiva del loro messaggio sul Covid 19, mostrano di avere capito benissimo. Bisogna isolare i nuclei organizzati, destrutturando le riprovevoli origini culturali del loro discorso vittimario, ma al tempo stesso è necessario rispondere anche alle ragioni e ai dubbi di un’opinione pubblica impaurita e fluttuante con un discorso che sia flessibile e rigoroso al tempo stesso. Non basta dire che il “No Vax” è un eccentrico da isolare con il ditino alzato; non basta ignorare o, addirittura, irridere gli argomenti di chi dubita o chiede semplicemente di essere rasserenato, sfoderando in modo arrogante o, peggio, paternalistico la spada di un nuovo Vangelo “del sorvegliare e punire” che mette all’indice il disertore; non basta fare del sociologismo d’accatto, cercando di ridurre un fenomeno potenzialmente in crescita all’oeconomicus del ristoratore che sarebbe “No Vax” soltanto perché ha bisogno di lavorare; non basta estendere senza un criterio ragionevole l’uso del “Green pass” per costringere i cittadini a farlo, perché bisogna sapere che poi non ci sarà la capacità di compiere i controlli idonei per verificare il rispetto della legge con un effetto boomerang facilmente prevedibile. Bisogna affrontare questo disagio, smontarne le retoriche potenzialmente autoritarie spese in nome della tutela di una libertà anomica e riconoscere che, a causa del Covid 19, è in atto un esperimento di tracciabilità e di controllo sociale senza precedenti che, mentre promette sanità e sicurezza, genera anche diffidenza e timore a livello istintivo e prerazionale. Dovranno essere i democratici ad avere la sensibilità di intercettare questo sentimento grigio e sfuggente — senza fare, è proprio il caso di dirlo, di ogni erba un fascio — perché solo così il fronte dei “No Vax” comincerà a disarticolarsi rimanendo dentro il recinto di una fisiologica “frangia lunatica” da dove altrimenti rischia di tracimare ed espandersi.