1 Gennaio 2007

Tesi di laurea specialistica di Leone Hassan sul pregiudizio antiebraico nell’Italia contemporanea

Fonte:

Università degli Studi di Milano – Bicocca, Facoltà di Sociologia, corso di Laurea Specialistica in Sociologia.

Autore:

Leone Hassan

La tesi di specialistica è stata discussa nell’ Anno Accademico 2006 – 2007

Relatore: dottor Mario Lucchini

Correlatore: professor Renato Mannheimer

Analisi dimensionale del pregiudizio antiebraico: il Case Study italiano

Premessa

A Partire dal 2000 si è registrato in Europa un forte incremento dell’antiebraismo. Sia l’attivismo antiebraico (perpetrato da coloro che manifestano attivamente la propria avversione contro l’ebraismo e gli ebrei attraverso minacce, pubblicazioni calunniose, attacchi fisici a persone o luoghi), che il pregiudizio antiebraico (che si riferisce al grado di diffusione di stereotipi e pregiudizi all’interno di una data popolazione di riferimento) avevano mostrato – a partire da quell’anno – un incremento notevole.

La presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica europea di una recrudescenza antiebraica ha prodotto un acceso dibattito circa la natura e le cause di questo fenomeno. Molti autori [Taguieff 2002, Finkielkraut 2003, Iganski e Kosmin 2003] hanno evidenziato il fatto che il riemergere dell’antisemitismo in Europa, come già avvenuto in passato, si fosse verificato in concomitanza con il riaccendersi delle tensioni in Medio Oriente e, nella contingenza specifica, con lo scoppio della seconda intifada. Non solo, più il conflitto in Medio Oriente si faceva sanguinoso, più crescevano il pregiudizio e le aggressioni antiebraiche in Europa.

Secondo gli stessi autori questo sarebbe l’ulteriore prova di una discontinuità che l’antiebraismo contemporaneo ha rispetto al passato. Le categorie e i concetti  utilizzati fino a qualche decennio fa per la comprensione del fenomeno non risulterebbero più sufficienti per fornire una spiegazione esaustiva e pertanto occorre mutare prospettiva. Non a caso molti degli studiosi citati si trovano concordi nel parlare esplicitamente di un “Nuovo Antisemitismo”.

Secondo i teorici del Nuovo Antisemitismo non ci troviamo più di fronte ad un’ostilità antiebraica che riversa il proprio astio contro gli ebrei in carne ed ossa, discriminandoli per le loro caratteristiche. Un’ostilità propagata principalmente da gruppi xenofobi e di estrema destra e che ha visto i settori più marginali della società come principali recettori. Un’ostilità che ha il principale retroterra ideologico nella difesa delle identità nazionali e culturali da possibili contaminazioni,.

Oggi l’antiebraismo ha altri bersagli, altri “promotori”, altri settori della popolazione più facilmente permeabili a tali sentimenti e altri backgrounds ideologici. Oggi – sempre seguendo tale prospettiva – i bersagli dell’antisemitismo sono Israele e l’ebraismo internazionale. Idee di questa natura sono fortemente sentite – oltre che dall’estrema destra – dai movimenti no global e dall’estrema sinistra antisistema, alcune di queste idee trovano cittadinanza anche tra le “elite” democratiche e liberali europee, il tutto sorretto da una forte ideologia terzomondista. Pierre Andrè Taguieff [2002, p. 67] arriva a sostenere che oggi a fondamento del Nuovo Antisemitismo, non vi è più un’ideologia che ha le sue radici nella xenofobia e nel razzismo ma, al contrario,  una cultura che fa’ dei valori progressisti e antirazzisti le sue bandiere.

Una prima e un po’ grezza traduzione empirica di questa teoria potrebbe sostenere che, se i teorici del nuovo antisemitismo avessero ragione, un’analisi del pregiudizio antiebraico dovrebbe mostrare un cambiamento nei profili delle persone con forti propensioni all’antiebraismo. Da un pregiudizio antiebraico elevato riscontrabile soprattutto nelle persone con orientamento politico più a destra, con capitale culturale e titolo di studio bassi e con valori orientati in senso conservatore, si passerebbe ad un aumento del pregiudizio prevalente tra le persone con orientamento politico a sinistra, con capitale culturale più elevato  e con valori orientati in senso progressista.

Alcune di queste ipotesi sembrano però essere state smentite dalle principali analisi campionarie svolte su questo tema sia a livello nazionale cha a livello europeo. L’indagine Ispo 2004 mostrava, ad esempio, come nella maggior parte degli indicatori utilizzati la propensione al pregiudizio decrescesse in modo quasi costante dalle persone che si autocollocavano politicamente all’estrema destra a quelle con che si definivano all’estrema sinistra. Inoltre un titolo di studio elevato esercitava ancora un evidente effetto deterrente rispetto alla propensione al pregiudizio antiebraico. Solamente in un paio di quesiti le cose sembrano avvicinarsi di più alle tesi sostenute dai teorici del Nuovo Antisemitismo[4].

Il fatto che l’evidenza empirica disponibile non sembri supportare in maniera adeguata le teorie di chi sostiene che ci troviamo in presenza di un nuovo antisemitismo è certamente un primo elemento di confusione presente nel dibattito pubblico sull’antisemitismo contemporaneo.

Un secondo elemento che ha creato qualche difficoltà alla comprensione di questo fenomeno è stata la non corrispondenza – in ciascun Paese europeo – tra i livelli di attivismo antiebraico e quelli di pregiudizio; nel senso che, Paesi in cui l’attivismo antiebraico ha raggiunto dimensioni e intensità preoccupanti non mostravano livelli di pregiudizio altrettanto elevati e viceversa. La Francia rappresenta forse il caso più evidente, con il primato europeo delle violenze antiebraiche e livelli di pregiudizio inferiori alla media continentale.

Un terzo fattore problematico è dovuto ad una certa difficoltà delle indagini campionarie svolte fino ad ora a fornire informazioni chiare e sintetiche, in particolare per quanto riguarda due questioni specifiche. In primo luogo risulta difficile ottenere delle interpretazioni sintetiche da un’analisi comparata dei risultati ottenuti nei diversi paesi europei; in secondo luogo risulta altrettanto impegnativo analizzare criticamente l’evoluzione nel tempo dei tassi di complessivi pregiudizio in ciascun Paese.

Misurando il pregiudizio antiebraico attraverso delle batterie di domande, le ricerche svolte fino a qui sono risultate molto utili per cogliere il grado di diffusione di ciascuna di queste (e dello specifico stereotipo che ognuna sottende) ma, data la mancanza di un disegno teorico di base, hanno avuto difficoltà ad interpretare in modo adeguato le batterie nel loro complesso. Risulta complicato – ad esempio – capire perché in certi Stati l’accordo ad alcuni indicatori sia più elevato rispetto alla media europea mentre per altre categorie di item avviene l’inverso; così come risulta difficile capire perché in alcuni Paesi, da un anno all’altro, alcuni pregiudizi sembrano aumentare mentre altri decrescere. In parte queste fluttuazioni potrebbero essere imputate agli errori stocastici e all’ineliminabile imprecisione presenti in ogni indagine campionaria, ma in parte ciò potrebbe nascondere alcune importanti macrotendenze che l’impostazione delle ricerche attuali aiuta a comprendere solo parzialmente.

La difficoltà di confrontarsi con un argomento che, né la comunità scientifica, né l’opinione pubblica sono stati in grado di concettualizzare in modo condiviso e analizzare in modo sistematematico è stata evidenziata anche dagli autori del rapporto Eumc sull’antisemitismo nell’Unione Europea. Nel resoconto, redatto per la commissione europea [Eumc, 2003], gli autori enumerano le problematiche che impediscono di fornire un quadro chiaro e rigoroso sull’argomento. Il primo e il più basico dei problemi evidenziati dal rapporto è la mancanza di una definizione condivisa di antisemitismo: istituzioni, enti e istituti di ricerca differenti lavorano con “definizioni” diverse del concetto; alcune addirittura non la forniscono esplicitamente e solo pochissime lavorano con una definizione aggiornata.

Gli altri problemi evidenziati dall’EUMC sono stati:

  1. Mancanza di comparabilità dei dati: non vi è ancora una struttura di analisi che permetta di classificare in modo adeguato le diverse forme di ostilità.
  2. Mancanza o parzialità dei monitoraggi di Stato degli episodi di antisemitismo: molte delle istituzioni adibite a registrare gli episodi di antisemitismo in ciascun Paese lamentano la mancanza di un monitoraggio ufficiale rispetto agli episodi di antisemitismo.
  3.  La quasi assoluta mancanza di ricerca che analizzino il pregiudizio antiebraico a livello europeo. Questo è tanto più vero per quanto riguarda il concetto di “nuovo antisemitismo” dove non si sono registrati tentativi seri di tradurre e misurare a livello empirico un concetto tanto discusso.
  4.  Infine, mancanza di un’analisi sistematica del discorso politico e mediatico:    un’analisi sistematica del discorso mediatico sarebbe fondamentale per comprendere il reale significato e l’ambiguità che certe parole assumono in questo determinato contesto.

E’ in questo quadro che si è inserita la decisione del centro del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di intraprendere una survey sul pregiudizio antiebraico che provasse a chiarificare alcuni dei problemi fin qui emersi. Per non generare ulteriore confusione è però opportuno che si chiarisca bene quale è stato il perimetro e quali sono stati gli intenti di questa ricerca. Innanzitutto si è trattato di una ricerca quantitativa, condotta in Italia su un campione nazionale. In secondo luogo è stata una ricerca che ha indagato esclusivamente quella parte dell’antiebraismo che prende il nome di pregiudizio antiebraico.

Da quanto detto dovrebbe risultare chiaro che l’obbiettivo di spiegare le discrasie tra livelli di pregiudizio e quelli di attivismo antiebraico in ciascun Paese europeo non è stato affrontato in questa ricerca. D’altra parte, alcuni contributi [Eumc 2003, Hassan 2003, Ottolenghi 2006] avevano già mostrato come i due fenomeni seguano logiche differenti e che quindi sia assolutamente plausibile che alcuni Paesi – come ad esempio la Francia o la Gran Bretagna – abbiano mostrato, soprattutto  dopo lo scoppio della seconda intifada (2000), livelli di violenza antiebraica tra i più alti in Europa pur mantenendo tassi di pregiudizio contenuti mentre in altri – è questo il caso della Spagna – avveniva l’esatto contrario.

L’analisi si è quindi posta due principali obbiettivi. Primo: strutturare la ricerca in modo tale da far sì che questa fosse in grado di cogliere le struttura di base e le dimensioni latenti del pregiudizio antiebraico, così da semplificare il compito a quanti volessero intraprendere analisi comparate, sia sincroniche che diacroniche, di tale fenomeno. Secondo: provare a riformulare il concetto di nuovo antisemitismo così da renderlo più facilmente traducibile empiricamente e poterne valutare la validità e la reale capacità euristica.