10 Gennaio 2020

Nuovo rapporto della Polizia su caratteristiche e normativa di contrasto degli hate crimes

Fonte:

https://poliziamoderna.poliziadistato.it/articolo/3535e186033b0f9d263164252

Autore:

Stefano Chirico, Lucia Gori e Ilaria Esposito

“Quando l’odio diventa reato”

  1. Introduzione

di Vittorio Rizzi*

Non esistono le razze, il cervello degli uomini è lo stesso. Esistono i razzisti. Bisogna vincerli con le armi della sapienza.

Rita Levi-Montalcini

L’apologia del nazismo e i continui attacchi antisemiti, i cori razziali nelle curve degli stadi, il pericolo della violenza di matrice suprematista, l’orribile contatore dei femminicidi, gli atti di bullismo contro disabili, le vigliacche discriminazioni contro le comunità gay.

Notizie che leggiamo tutti i giorni: crimini legati dal filo rosso dell’odio contro chi è diverso per razza, religione, genere, orientamento sessuale. Episodi che, al di là di numeri e statistiche, sono il segno di passioni malate che non possono essere sottovalutate e che vanno subito arginate.

Fin dall’antichità l’umanità si interroga sul concetto di odio nel suo significato ontologico, filosofico e morale. Chi nasce prima e chi è più forte, l’odio o l’amore? L’uomo è naturalmente cattivo o naturalmente buono? Qual è la forza che tiene unito il mondo, il bene o il male?

La storia del pensiero e la scienza hanno dato risposte diverse, spesso contraddittorie, a questioni così complesse, seconde soltanto alla domanda sull’origine della vita.

Un volo radente sulle varie impostazioni va da chi, come Empedocle nell’antica Grecia, sosteneva che il mondo fosse in continua tensione tra due forze divine, l’Amore e l’Odio, dove il primo tiene insieme le quattro radici dell’acqua, fuoco, terra e aria e il secondo divide questa armonia chiamata Sfero; a tutte le teorie secondo cui, invece, l’uomo nasce cattivo, l’homo homini lupus di Hobbes, fino Nietzsche e Freud che, nella comune idea della morte di Dio, preannunciano la distruzione di tutto da parte dell’uomo per l’odio che cova dentro di lui.

C’è il dibattito scientifico di chi ritiene che la violenza sia necessaria alla stessa sopravvivenza nel grande cerchio della vita, come sostenuto da Lorenz, o chi crede che le potenzialità del bene e del male siano egualmente presenti nella natura umana come l’etologo tedesco Eibesfeldt.

E la diatriba coinvolge lo stesso concetto di cultura e civiltà: con la teoria del buon selvaggio di Rousseau secondo cui l’uomo nasce buono e diventa feroce e corrotto con la civilizzazione, ai tanti, filosofi e scienziati, che sostengono la tesi opposta, del bruto addomesticato, secondo cui l’uomo è Caino ed è l’animale più feroce della Terra che gode a torturare e ad uccidere persino i propri fratelli.

Uno studioso di neuroscienze che insegna ad Harvard, Steven Pinker, ha scritto Il declino della violenza (Milano, Mondadori 2017), dove sostiene che, al di là della percezione generale e diffusa, si assiste oggi ad un declino della violenza, dove la società attuale vivrebbe, dati alla mano, l’epoca più pacifica della storia. Nel Medioevo il tasso di omicidi in Europa era, infatti, trenta volte quello attuale in proporzione alla popolazione e la schiavitù, le torture e le pene capitali erano all’ordine del giorno.

Il crollo dei crimini di oggi sarebbe il frutto della prevalenza dei “migliori angeli” della nostra natura che sono l’empatia, la socializzazione, la capacità di mediare i conflitti, la morale e la ragione che vincono sui nostri “peggiori demoni” che sono la predazione, la violenza, l’estremismo ideologico e il buio delle coscienze.

Lo stesso filosofo Zygmunt Bauman si è occupato dell’odio, riprendendo le teorie freudiane e richiamando quel concetto di paura con cui si confronta ogni giorno chi si occupa di sicurezza. Secondo Bauman odio e paura sono vecchi quanto il mondo e non smetteranno di accompagnarlo. Esiste un circolo vizioso in cui si odia perché si ha paura del diverso e quella paura alimenta e rinforza l’odio, in un mondo liquido dall’individualismo sfrenato, dove nessuno è un compagno di viaggio ma tutti sono antagonisti da cui guardarsi. L’incertezza che domina la nostra società amplifica la paura del diverso (sempre esistita) e nasce il bisogno di scaricare su di un bersaglio (sia migrante o ebreo, gay o musulmano, disabile o nero) tutto l’odio e la rabbia repressa.

Tutte queste potrebbero sembrare mere speculazioni filosofiche ed esercizi di stile se non fosse che di odio sono piene ogni giorno le nostre cronache e che i temi dell’odio sono in cima a tutte le agende di chi si occupa di politica, di sicurezza, di educazione.

L’obiettivo di questo inserto è allora quello di affrontare l’odio come categoria criminologica dalla prospettiva degli operatori della sicurezza.

A testimonianza di quanto spesso il concetto sia divisivo, non esiste una definizione giuridica dei crimini d’odio, pur trattandosi di reati fortemente connotati dal pregiudizio per una caratteristica della vittima che attiene a un aspetto profondo della sua identità e di quella del gruppo cui appartiene.

Reati, vedremo, che si distinguono per la plurioffensività, il cosiddetto under-reporting, under-recording e per il rischio di escalation.

Materia che richiede una formazione mirata degli operatori e che rappresenta il cuore della missione istituzionale dell’Oscad (Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori), best practice italiana, originale nel panorama internazionale, che opera dal 2010 nel Dipartimento della pubblica sicurezza per ottimizzare l’azione delle forze di polizia a competenza generale nella prevenzione e nel contrasto dei reati di matrice discriminatoria.

La sfida perché tolleranza ed inclusione diventino aspetti fondanti della nostra società è ancor più complessa se è vero che alle minacce del mondo reale si affiancano oggi i pericoli dell’odio on line, con potenzialità devastanti sulle vittime a fronte di strumenti di contrasto che non hanno ancora quella tempestività che imporrebbe la velocità diffamante del Web.

L’antidoto più potente non può essere allora che la cultura per combattere l’ignoranza di chi ha paura del diverso, di chi si chiude negli stereotipi e non sa guardare oltre. E le forze di polizia giocano un ruolo centrale nel bloccare ogni forma di intolleranza prima che degeneri in sofferenza, distruzione e morte con crimini che hanno già infamato la storia dell’umanità. Niente può essere sottovalutato, la mente deve essere sempre attenta e lucida perché “il sonno della ragione genera mostri”.

*direttore centrale della polizia criminale, presidente dell’Oscad