Fonte:
La Stampa
Autore:
Filippo Femia
Dario Disegni: “Escalation antisemita sui social. Non confondiamo ebraismo e politica israeliana”
Il presidente della comunità ebraica: «Torino è da sempre modello di dialogo tra religioni. A Gaza una catastrofe»
«Assistiamo a una pericolosa escalation di antisemitismo sui social», ammonisce Dario Disegni, dal 2015 presidente della comunità ebraica torinese. Che prova a proporre una soluzione: «Conoscere l’altro avvicinandosi alla sua cultura: è questo il vero antidoto a intolleranza e odio». Una riflessione che fa seguito alla Giornata europea della cultura ebraica, celebrata ieri in 27 Paesi e 107 città italiane. Il tema di questa ventesima edizione era “Il popolo del libro”.
Presidente, che ruolo possono avere i libri in un momento storico drammatico, segnato da guerre e conflitti?
«La cultura in senso ampio e i libri sono armi potenti nella lotta contro i pregiudizi. La conoscenza dell’altro è l’antidoto a intolleranza e odio. Il libro – a partire da quello con la maiuscola, la Bibbia, ma anche la narrativa – ha un potenziale straordinario per rafforzare il dialogo tra religioni».
Come giudica lo stato di salute del dialogo interreligioso nella nostra città?
Torino è da sempre un modello. Durante le celebrazioni della Giornata europea della cultura ebraica hanno partecipato anche la Chiesa cattolica, quella valdese, esponenti dell’Islam o buddisti. A luglio, in città, è nato il tavolo della speranza: riunisce esponenti religiosi e laici impegnati per la pace in Medio Oriente».
Quali figure della comunità ebraica torinese si sono distinte nel mondo dei libri?
«Abbiamo una lunga tradizione di scrittori ebrei: inizialmente rabbini, poi studiosi che si sono dedicati ai commenti dei testi sacri. La narrativa del ’900 è piena di nomi prestigiosi, tradotti in tutto il mondo. Non si può non partire da Carlo Levi. Poi Primo Levi, grande narratore della Shoah, anche se non lo si può confinare alla testimonianza di quella immane tragedia. Infine Natalia Ginzburg, il suo “Lessico Familiare” è imbevuto di cultura ebraica».
Quale può essere il ruolo delle comunità ebraiche nell’aiutare la società civile a distinguere tra cultura, identità e geopolitica?
«Purtroppo negli ultimi anni si è diffusa molta confusione. L’equazione ebreo uguale israeliano è pericolosa. Così come pensare che ogni israeliano sostiene la politica del governo Netanyahu. Un sillogismo errato che porta a episodi folli, come quelli a cui abbiamo assistito quest’estate dove turisti israeliani erano allontanati da bar e ristoranti».
C’è una situazione che l’ha colpita in particolare?
«Le scritte in ebraico, in cui si dichiaravano gli israeliani “non benvenuti” in alcuni locali commerciali. Veniva utilizzata la definizione “entità sionista”, la stessa usata da Hamas, che non riconosce Israele né il suo diritto a esistere».
A Torino si sono verificati casi simili?
«Ci sono stati episodi preoccupanti. Nelle aule universitarie non è stato concesso ad alcuni ebrei di tenere un seminario. Il bando di una voce ebraica è allarmante in qualunque democrazia del mondo».
Negli ultimi mesi i membri della comunità ebraica hanno vissuto episodi di antisemitismo?
«Fortunatamente nessuna aggressione fisica, a differenza di altre città. Ma abbiamo assistito a un’escalation virulenta sui social, dove l’antisemitismo sembra sdoganato. Leggiamo cose tremende, assistiamo alla pubblicazione di libri antisemiti ripescati dal passato: è un clima avvelenato. È anche per porre un argine a questo fiume in piena che si organizzano iniziative come la Giornata europea della cultura ebraica».
Cosa prova vedendo le terribili immagini del massacro in atto a Gaza?
«La catastrofe umanitaria che coinvolge migliaia di innocenti nella Striscia non può lasciare indifferente nessuno. Provo angoscia per una popolazione ostaggio di Hamas, che spesso si è servita di milioni di aiuti internazionali per rifornirsi di armi e portare avanti un delirante progetto di annientamento di Israele invece che aiutare i civili. Allo stesso sono afflitto per i 50 ostaggi israeliani, non più di venti ancora in vita, detenuti dopo quasi due anni in condizioni disumane da Hamas».
Photo Credits: La Stampa
