Fonte:
https://vivevoci.it
Autore:
Gadi Luzzatto Voghera
Riconoscere la sofferenza Disegnare le mistificazioni
La fame è una cosa orribile. Infliggere fame a singole persone, a famiglie o a interi gruppi umani è un atto immorale che ci interroga tutti. La responsabilità dell’esercito israeliano impegnato in azioni di guerra a Gaza è oggettiva e moralmente inaccettabile, al pari di quella di Hamas e delle sue milizie. In presenza di popolazioni civili sofferenti vanno introdotte tutte le azioni possibili per alleviare la loro situazione, non ci sono scusanti.
Va peraltro ricordato che il nostro mondo occidentale e ricco impone da decenni se non da secoli dinamiche economiche che producono fame in vaste aree del mondo. Esiste da tempo un’organizzazione mondiale che si occupa specificamente di alleviare le condizioni di chi soffre (la FAO, con sede a Roma), eppure non riusciamo a invertire questo dato di fatto. La fame è anche un fattore che spinge intere popolazioni alla migrazione, e in questo caso si trasforma in meccanismo economico, di sfruttamento. E, ancora, la fame è strumento di guerra, da millenni. Gli assedi di città, la propagazione intenzionale di epidemie, sono vere e proprie armi. Tutte queste cose ci sono, esistono, e noi tutti non ci facciamo proprio caso, pur essendone oggettivamente (se non soggettivamente) coinvolti. Ne siamo anche responsabili? In parte, probabilmente, sì.
Facciamo uso abnorme di acqua (invece di redistribuirla), consumiamo molta più energia in un nostro appartamento che non in un intero villaggio africano, sprechiamo milioni di tonnellate di cibo al giorno invece di reindirizzarlo là dove aiuterebbe. Come singoli possiamo fare forse poco, come sistemi istituzionali potremmo molto di più. Ma non facciamo granché.
Questa premessa è più che necessaria per inquadrare il messaggio proposto dalla semplice – e molto efficace – vignetta pubblicata da Vauro su “il Fatto Quotidiano”. Un’opera ideologica e totalmente mistificatoria. Elenco le ragioni di questa mia affermazione.
Il bambino palestinese si rivolge al suo coetaneo immaginario, ebreo nel lager nazista: “dicono che la mia (fame) non è uguale alla tua”. Non è così, nessuno dice questo. La fame è sempre una tragedia e non c’è distinzione tra la fame di un bambino palestinese, di un bambino sudanese, yemenita o ucraino. Il riferimento voluto da Vauro, tra le righe, è rivolto al rifiuto di considerare la parola genocidio per descrivere la tragedia che si sta vivendo a Gaza. In questo senso, l’intera vignetta è un prodotto di “distorsione” della Shoah, poiché equipara impropriamente le condizioni del bambino palestinese a quelle del bambino ebreo deportato dai nazisti. A questo proposito suggerisco la lettura dell’articolo del presidente del memoriale Yad Vashem, il prof. Dani Dayan, pubblicato sul Jerusalem Post il 27 luglio 2025. Il messaggio di equiparazione contenuto nella vignetta di Vauro è improponibile e falso per diversi motivi che qui elenco:
- La stragrande maggioranza dei milioni (!) di bambini deportati nei campi di sterminio non hanno sofferto la fame, ma sono stati inviati direttamente e intenzionalmente nelle camere a gas.
- I pochi bambini risparmiati a questa sorte sono stati mantenuti in vita e nutriti per sottoporli a esperimenti medici che il più delle volte terminavano con la loro eliminazione.
- Che si trattasse di bambini o di adulti, nei campi di sterminio nazisti non giungevano aiuti umanitari né tramite le organizzazioni internazionali né con missioni paracadutate. La fame era inflitta intenzionalmente dai nazisti e dai loro volonterosi collaboratori (tra cui non pochi italiani) e non esistevano vie di fuga. Non c’erano trattative possibili, nessun paese interveniva per chiedere la liberazione dei deportati. Nulla, solo morte. Per questo studiamo la Shoah come evento umano stravolgente, e per questo non siamo autorizzati a utilizzarla come metro di paragone.
- I bambini palestinesi e le loro famiglie sono stati intenzionalmente sottoposti alla violenza della guerra e dei bombardamenti israeliani dal regime fascio-islamista di Hamas. Il leader di Hamas dalla sua dorata residenza di Doha proclamava al mondo queste parole nell’ottobre del 2023: “L’ho detto prima e lo ripeto: il sangue di donne, bambini e anziani… Non vi sto dicendo che questo sangue ha bisogno di voi. Dico che siamo noi gli unici ad aver bisogno di questo sangue, in modo da risvegliare in noi lo spirito rivoluzionario, la risolutezza, la sfida. E spingerci ad andare avanti!”
- Seguendo la stessa logica, per quasi due anni Hamas e le milizie aggregate hanno confiscato il cibo e i medicinali e lo hanno redistribuito secondo logiche criminali da mercato nero, affamando intenzionalmente la popolazione palestinese come strumento di propaganda di guerra, con la connivenza di parte del personale delle agenzie ONU e della Croce Rossa. A proposito di quest’ultima, poiché siamo in tema di paragoni storici inopportuni, sarebbe estremamente semplice paragonare l’indifferenza dimostrata da quell’organismo nei confronti degli ebrei deportati dai nazisti a quella dimostrata verso la sorte degli ostaggi ancora trattenuti nei tunnel. Il 23 luglio 1944 una commissione della Croce Rossa fece visita al campo di concentramento di Theresienstadt accettando come realistiche le spiegazioni offerte dai funzionari del Reich. Dall’ottobre 2023 la Croce Rossa non ha mai verificato (pur essendo presente a Gaza) le condizioni di salute degli ostaggi israeliani.
La tragedia della fame a Gaza è un fatto, e i responsabili di questa situazione sono molti. Non c’è dubbio che sia necessaria un’azione umanitaria coordinata, e una cessazione delle ostilità per consentire il rilascio degli ostaggi e l’avvio di un nuovo scenario di pacificazione per l’intera area. Nulla di tutto questo sarà raggiungibile se si continuano a produrre immagini di propaganda mistificate e oltraggiose, che fanno a pezzi la storia e distorcono il presente.
Photo Credits: Vauro – Il Fatto Quotidiano
