Fonte:
Corriere della Sera edizione di Roma
Autore:
Andrea Arzilli
Fadlun: «Fatti vergognosi, servono reazioni negli stadi»
Il presidente della Comunità ebraica: all’Olimpico non porto più mio figlio
«Gli stadi ormai sono la valvola di sfogo della società. E certe cose vengono permesse nell’indifferenza generale». Così Victor Fadlun, presidente della Comunità ebraica di Roma, dopo i due nuovi casi che hanno visto protagonisti tifosi di Lazio e Roma: inni al Duce con il braccio teso a Monaco di Baviera nella birreria cara a Hitler da parte dei laziali e cori antisemiti dei romanisti di ritorno dalla trasferta a Monza.
Fadlun, come commenta questi due video?
«Colpisce e fa male che ancora non si sia riusciti a far capire che il saluto romano è un gesto che rimanda a una storia di morte e sofferenza, che non potrebbe essere più lontana dallo sport. Quello vero, che al contrario racconta l’inclusione e il rispetto. E ai romanisti faccio notare che la As Roma è stata fondata anche da ebrei. Quindi dire che nella Roma non ci sono ebrei è quantomeno una grave dimenticanza della storia».
Cosa faranno Lega e Figc?
«Penso che le istituzioni sportive, per un rispetto anzitutto verso loro stesse, dovrebbero essere inflessibili nei confronti di queste manifestazioni di razzismo, che portano vergogna e violenza su bandiere che invece sono simbolo della bellezza dello sport. Questi gesti e queste parole tradiscono innanzi tutto il calcio, lo sport più amato e seguito in Italia».
Teme che non sarà usato il pugno di ferro?
«Va ricordato che negli ambienti del fanatismo sportivo sono nate diverse guerre moderne. Questi eventi non vanno sottovalutati, perché sono espressione di un fenomeno più esteso di quanto immaginiamo. Ed in aumento».
E come si combatte quest’onda violenta?
«Il vero antidoto penso sia la cultura, la conoscenza della storia. A laziali e romanisti dico: studiate la storia, andate a vedere da dove veniamo, come tifosi e come esseri umani. Serve un senso di vergogna che accompagni ovunque queste manifestazioni di antisemitismo. Quello che più mi preoccupa, e che mi tocca, è l’insensibilità verso il significato di questi gesti. E l’indifferenza dell’opinione pubblica, il fatto che non facciano più scandalo. Ma è nell’indifferenza che sono nati e cresciuti gli errori della nostra società moderna. L’indifferente è colpevole tanto quanto il carnefice».
Pensa che anche questa volta l’indifferenza vincerà?
«Chi mi ha preceduto (Ruth Dureghello, ndr), a marzo 2023 su quella storia della maglia con la scritta Hitlerson diceva “noi come sempre unici a protestare: possibile che tutti continuino a far finta di nulla?”. Ecco, questa domanda la ripeto io adesso».
Dice che non cambierà nulla? Ha perso la fiducia?
«Noi viviamo con la speranza che le cose possano cambiare. Ma per cambiare serve una ferma condanna. E soprattutto servono azioni: siamo stanchi, vorremmo vedere i fatti negli stadi. Io non posso portare mio figlio, non voglio che assista ai buu razzisti, all’imitazione della scimmia che fanno ai giocatori neri. Mi vergogno che mio figlio ascolti cori contro gli ebrei. Purtroppo questo è permesso. In altri Paesi non ti puoi azzardare a manifestare idee così oltraggiose. In Italia sì: è un dato di fatto».
Pensa che le manifestazioni contro Israele abbiano legittimato certi gesti?
«La politica lasciamola fuori. Qui parliamo di oltraggi, di discriminazione antisemita, di odio razzista. Lo stadio oggi è un Colosseo nel quale si permette lo sfogo dei sentimenti più bassi che la nostra umanità concepisce. Un luogo nel quale la società civile si deve vergognare di entrare. Non è ammissibile andare oltre, perché gli stadi appartengono a noi, allo sport e alla democrazia»