25 Settembre 2025

Torino, Consulente indagato per odio antisemita

«Mi stanno indagando per il mio pensiero. Per le mie idee. Perché in maniera aperta, mai nascosta, condanno, anche duramente, lo sterminio e il genocidio di Gaza. Credo che sia una lesione della mia libertà di espressione». Consulente contabile di 38 anni, ha appena lasciato gli uffici della questura di Torino. Ha in mano un decreto di perquisizione, su cui c’è scritto il reato che l’Antiterrorismo gli contesta: «Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa» con l’aggravante dell’antisemitismo.

La perquisizione

La Digos ieri all’alba ha perquisito la sua casa e lo studio dove lavora come consulente in collaborazione con commercialisti, aziende e legali.

Gli agenti gli hanno sequestrato il cellulare, per isolare i messaggi considerati antisemiti. Atrass respinge ogni addebito: «Sono cittadino italiano, vivo a Torino da quando ho sette anni, mi sono laureato in Economia, e lavoro e pago i contributi da quando ero un ragazzo. Perché mi indagano se protesto contro lo sterminio e il genocidio di Gaza? I messaggi che ho scritto sono in chiaro, su profili aperti. Ho taggato i miei interlocutori di comunità e associazioni ebraiche. Sono musulmano praticante. Non sono un terrorista».

I post sotto accusa

Al di là del contenuto dell’inchiesta, che nessuno conosce perché è aperta e quindi segreta, la valutazione di quanto il consulente ha scritto e postato sui social è appena iniziata. In alcuni dei messaggi postati sui social l’indagato ha taggato l’Unione giovani ebrei Italia e l’Unione delle comunità ebraiche italiane. Sono post in cui definisce gli autori del massacro di Gaza «ammazza bambini». Parla di «Stato ebraico terrorista». In altri messaggi scrive: «Spero che non dormiate sereni». Oppure: «Attenzione a non dire che lo Stato ebraico è composto da soli criminali perché è antisemitismo. E va beh, vorrà dire che siamo tutti antisemiti».

Parole ed espressioni che ora valuteranno gli inquirenti, pesando ogni parola e considerando gli effetti che queste esternazioni possono avere sul pubblico che le legge. La contestazione è pesante: istigazione all’odio.

La difesa: «Libertà di espressione»

Ma secondo gli avvocati difensori del consulente, Francesca Caseri e Andrea Giovetti, il consulente non avrebbe commesso reati. La questione starebbe nel posizionamento del confine tra reato e libertà di espressione. «Colpire le persone che manifestano opinioni personali non desiderabili è in contrasto con le garanzie costituzionali di libera espressione del pensiero».

«Io pensavo – si difende il consulente – che esprimere il proprio pensiero fosse un diritto. Sono un professionista, lavoro sodo, sto facendo due praticantati per diventare commercialista e revisore contabile. Sui social denuncio lo sterminio dei bambini in Palestina, il genocidio, le aggressioni alle strutture ospedalieri con il pretesto dei tunnel, le notizie false che erano girate inizialmente di bambini decapitati, quello che stanno facendo tutti. Perché dovrei essere processato per questo? Ho immaginato che qualcuno mi abbia denunciato. Eppure non ho molti follower, ne avrò 300. Ho taggato chi la pensa in maniera diversa da me per non nascondermi e credo, comunque, di essere sempre stato attento a come scrivevo le cose». Forse non è così. Le parole pesano. E quelle del consulente potrebbero costargli molto. Per ora l’aggravante contestata è grave: «antisemitismo».