18 Febbraio 2018

Riflessione su ciclo di lezioni anti-Risorgimento presso una scuola media di Bari

Fonte:

La Gazzetta del Mezzogiorno

Autore:

Alessandro Laterza

Quando i neoborbonici sbarcano tra i ragazzini

Questa è una piccola di storia di provincia che riguarda una singola scuola. Ma è una storia che dice molto, se non tutto, sul clima politico e culturale di tutto il Paese, con un riferimento molto forte — è ovvio — al Mezzogiorno. Pochi giorni fa ho pre-iscritto la mia ultimogenita, Alessandra, alla «Michelangelo» di Bari: scuola che gode di ottima reputazione. Visitando il sito della scuola ritrovo però con orrore l’annuncio di ben due appuntamenti (15 febbraio e 21 febbraio, dalle ore 10 alle ore 12, in pieno orario scolastico) dedicati alla «Giornata della memoria delle vittime meridionali dell’Unità d’Italia». Gli incontri, destinati a tutte le terze classi (composte da 13\14enni), sono tenuti da due relatrici: la signora Monica Lippolis, esponente dell’Associazione Briganti (non è una battuta: si chiama così) e autrice dell’opera L’altra storia. L’Unità d’Italia vista dalla parte dei briganti (Nocera superiore 2016); la signora Rosa Barone, presidente della Commissione antimafia Regione Puglia (e consigliere regionale del MSS). La circolare di accompagnamento recita in modo involontariamente paradossale che il tutto rientra «nell’ambito delle attività di ampliamento dell’offerta formativa finalizzate al potenziamento delle Competenze di Cittadinanza e Costituzione». In altri termini, saremmo nel campo dell’educazione civica, per dirla con parole di altri tempi. Questo è lo sciaguratissimo frutto di una sciaguratissima mozione approvata dal consiglio regionale della Puglia, il 4 luglio scorso, su proposta del M5S. Titolo della mozione, approvata da tutte le forze politiche con pochi voti contrari: «Istituzione di una giornata della memoria atta a commemorare i meridionali morti in occasione dell’unificazione italiana». Scopo: «indicare il 13 febbraio come giornata ufficiale in cui si possano commemorare i meridionali che perirono in occasione dell’unità nonché i relativi paesi rasi al suolo«; «avviare, in occasione di suddetta giornata della memoria, tutte le iniziative di propria competenza al fine di promuovere convegni ed eventi atti a rammentare i fatti in oggetto, coinvolgendo gli istituti scolastici di ogni ordine e grado». Ora, non entro nel merito specifico del rigurgito neoborbonico che attraversa il Mezzogiorno d’Italia. Né mi soffermo sulla fragilità degli argomenti che esso propone o, più propriamente, distorce. Da un lato si tratta di una espressione, certo sbagliata e fuorviante, di un disagio meridionale che ha fondamento e ragioni da vendere. Dall’altro, non ho obiezioni alla libertà di espressione: si può credere all’esistenza di un paradiso borbonico come credere al creazionismo che contesta la teoria darwiniana dell’evoluzione. Il punto di rottura si verifica quando contenuti di tal fatta vengono assunti come verità rivelate da organi di governo (nella fattispecie della Regione Puglia) e per di più vanno a contaminare l’ambiente scolastico. I due appuntamenti della scuola secondaria di primo grado «Michelangelo» di Bari sono sbagliati per vari motivi e si caratterizzano per la loro natura diseducativa. La «Giornata della memoria delle vittime meridionali dell’unità d’Italia» istituisce di fatto un collegamento ideale tra un capitolo sicuramente controverso della storia d’Italia e la «Giornata della memoria» appena celebrata nelle scuole di tutt’Italia e dedicata alla Shoah; significa disegnare la formazione dello Stato unitario come il frutto di un crimine contro l’umanità. Alla faccia della Cittadinanza e Costituzione. Mi chiedo inoltre se sia corretto che una platea di adolescenti venga sottoposta a una sessione di indottrinamento neoborbonico, senza alcun contraddittorio, da parte di persone la cui competenza scientifica e didattica sono tutte da dimostrare. È vero che è dilagante una sorta di anti-accademismo giacobino: ma se ci rivolgiamo al medico per la prescrizione di un farmaco e all’idraulico per riparare un lavandino, non capisco perché per parlare di storia non ci si rivolga a chi la studia. Infine, non trovo opportuno che, in piena campagna elettorale, un’esponente politica vada ad agitare in una scuola pubblica gli argomenti e gli slogan del proprio partito, pur assunti da altre forze politiche. Può farlo in piazza o altrove, lasciando perdere i ragazzini. Vittime innocenti, loro sì, del degrado galoppante della politica in Italia. Qualcuno mi ha suggerito di lasciar perdere questa iniziativa della scuola «Michelangelo» di Bari. Perché potrebbe danneggiare la figlia neoiscritta. Perché non è un episodio poi così importante. Perché si potrebbe offendere questo o quell’altro. Non sono di questo avviso. Facendo così, girando la testa per evitare fastidi, si partecipa alla corrosione dei valori di cittadinanza dei quali dovremmo essere fautori. Lo faccio in primo luogo per mia figlia, naturalmente. Perché la «sua» scuola pubblica non diventi tempio dell’ incultura e del politichese.