7 Marzo 2014

Rav Riccardo Di Segni replica ai giudizi antigiudaici di Eugenio Scalfari

Fonte:

la Repubblica

Autore:

Riccardo Di Segni, Eugenio Scalfari

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Il rabbino e il non credente

Caro Scalfari anche quello degli ebrei è un Dio di misericordia

Capita sempre più spesso di incontrare delegazioni ebraiche da tutto il mondo che vengono a Roma per incontrare il papa. C’è una tale presenza di visitatori ebrei in Vaticano che qualche volta penso ironicamente che bisognerebbe anche aprire una sinagoga. E’ anche questo un segno del nuovo clima creato da papa Francesco. Non che prima non ci fossero visite e dialogo con gli ebrei; ma ora si aggiungono altri dati: l’esperienza personale di Bergoglio come amico e collaboratore di alcuni rabbini argentini, il suo carattere e un approccio dottrinale che sembra più aperto. E’ ancora presto per dire dove questo porterà, ma c’è da parte ebraica ottimismo sul piano teologico, mentre su quello politico (i rapporti con Israele) è tutto da vedere. In generale le aperture di Francesco, il messaggio pastorale e umano, la carica personale di simpatia e modestia, la volontà riformatrice di strutture considerate invecchiate hanno suscitato approvazione anche entusiastica nel mondo dei fedeli cattolici e fuori da questo. le chiese si riempiono e i cosiddetti “non credenti” osservano ammirati. Per un osservatore esterno, come può essere un ebreo, sarebbe inopportuno commentare questi fatti occupandosi di affari interni della Chiesa, se non per quanto riguarda i suoi rapporti con l’ebraismo; ma la rivoluzione di Francesco non si limita al suo mondo, propone questioni universali che investono altre realtà e per questo merita attenzione.

Un esempio importante di questo impatto è il dialogo che si è sviluppato nelle pagine di Repubblica tra il papa e Eugenio Scalfari al quale sono stati dedicati ripetuti e lunghi articoli. Scalfari è affascinato dalla disponibilità dialogica di Francesco, ne espone e commenta le posizioni che considera eccezionali ed innovative, in particolare sul tema del peccato. Per chi legge dall’ esterno questa discussione, a parte le perplessità su una corretta interpretazione – espresse anche da portavoce vaticani- rimane qualche dubbio sull’essenza del problema. Sull’immagine proposta di una Chiesa povera, sulla volontà del papa di lotta alla corruzione, sul suo richiamo all’onestà non ci sono dubbi. Ma cosa c’è di sostanza nella sua apertura al tema del peccato? Perché, per fare degli esempi, un conto è dire che c’è accoglienza per i divorziati, un altro riconoscere il divorzio; un conto è esaltare il ruolo della donna, un altro ammetterla al sacerdozio; un conto è essere comprensivi dell’omosessualità, un altro riconoscere legalmente le unioni. Sono problemi del mondo cattolico, ma anche il mondo ebraico ha i suoi analoghi problemi conflittuali con le durezze del sistema. Certamente l’approccio comprensivo e l’atteggiamento di apertura diminuiscono le tensioni e sveleniscono l’atmosfera ma non risolvono i problemi dottrinali alla radice.

La tradizione ebraica fornisce uno schema interpretativo forte e seducente per questo tipo di tensioni. Cominciando dal piano divino, si ammette che esistano due qualità o attributi contrapposti: da una parte la giustizia, la severità e il rigore, dall’altra l’amore e la misericordia. II primo progetto creativo del mondo, dicono i rabbini, era basato sulla giustizia, ma vedendo che il mondo non avrebbe potuto resistere, il Creatore optò per il piano “b”, quello della misericordia unita alla giustizia. Per gli esseri umani, per le loro strutture organizzate, per i loro leader, vale la stessa contrapposizione. Con una precisa consapevolezza: che nessuna delle due qualità regge da sola, non c’è giustizia senza misericordia, non c’è misericordia senza giustizia. Guardando alle vicende vaticane recenti e al loro impatto universale verrebbe la tentazione di applicare queste due categorie ai due pontefici coesistenti; il primo sembra abbia incarnato l’anima dottrinale e il secondo quella dell’amore. Ma si tratta di una lettura superficiale e rischiosa, ingiusta e limitativa per i due protagonisti. II fatto è che nel fenomeno religioso, così come viene vissuto nella nostra epoca, le grandi masse cercano prima di tutto accoglienza, inclusione, protezione e comprensione, mentre la fede e la dottrina vengono dopo.

La personalità di Francesco risponde alla richiesta e richiama le folle, ma sarebbe fuorviante pensare che dietro al suo amore non vi sia la giustizia e la dottrina. È per questo che gli entusiasmi di credenti e”non credenti” andrebbero un po’ smorzati. Per inciso, sarebbe meglio evitare l ‘espressione “non credenti”senza specificare in che cosa non si crede; altrimenti il parametro della fede diventa la verità cattolica e chi non l’accetta viene inserito in un grigio limbo, quali che siano le sue convinzioni filosofiche o religiose. In questa opposizione di simboli o sistemi e nella rappresentazione idealizzata e schematizzata del nuovo corso, a farci in qualche modo le spese è stato l’ebraismo. Perché l’opposizione tra giustizia e amore, in cui Francesco rappresenta l’amore richiamandosi al messaggio originale di Gesù contro le incrostazioni dottrinali e di apparato, diventa il segno della rivoluzione cristiana permanente. Contro chi? Semplice, contro il Dio degli ebrei, dell’Antico Testamento, quello severo e vendicativo. Nessun teologo serio dei nostri giorni – a cominciare dai due papi di oggi – prenderebbe sul serio questa antica opposizione, che fu una delle bandiere dell’antigiudaismo cristiano per secoli. Questa dottrina ha un nome preciso, marcionismo, dall’eretico Marcione che ne fece uno dei cardini del suo insegnamento. Marcione fu condannato dalla Chiesa, ma l’opposizione da lui drammatizzata tra due divinità fu recepita e trasmessa dalla Chiesa, che solo da pochi decenni se ne distacca ufficialmente, riconoscendola non solo come errore, ma anche come strumento illecito di predicazione di antagonismo e di odio.

Il Dio della Bibbia ebraica (per non parlare di quello della tradizione rabbinica) è giustizia e amore, come possono attestare numerose fonti che non c’è spazio qui per citare. È il Dio misericordioso (Es. 34: 6) che perdona chi non ha obbedito alla sua legge. Nulla avrebbe senso nell’ebraismo senza il perdono. E l’esortazione «ama il tuo prossimo come te stesso» è anche evangelica ma viene dalla legge mosaica, Levitico 19: 18. Che poi Gesù di Nazareth sia solo amore e non giustizia, in una melensa rappresentazione di comodo buonismo imperante, è tutto da dimostrare. Ribadire questi concetti in questa sede sembrerebbe fuori luogo e senza senso, ma è proprio in questa sede che le vecchie teorie, banale luogo comune, sono state rispolverate e riproposte per spiegare l’essenza della rivoluzione di Francesco. Che evidentemente non in questo consiste. Ed è paradossale che proprio mentre si cerca di cogliere il buono di una novità, ad incarnare il vecchio e il negativo ci sia l’ebraismo, che invece dovrebbe essere, per la ricchezza della sua tradizione, un compagno ideale dei nuovi percorsi.

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Il rabbino e il non credente

Ma per laici e atei il problema resta

Chi ha creato il male?

Ringrazio Riccardo DiSegni della gentile citazione che fa dei miei numerosi articoli su papa Francesco e il dialogo che ho avuto con il Pontefice nel settembre scorso. Ma lo ringrazio soprattutto per il contributo che fornisce nella sua lettera qui pubblicata. Come sappiamo e come l’articolo del rabbino di Roma conferma, anche l’ebraismo ha avuto una sua evoluzione col trascorrere del tempo; le religioni si adeguano ai mutamenti delle società nelle quali sono presenti e tanto più l’ha avuta quel “popolo eletto” che fu all’origine del monoteismo e che, disperdendosi nella diaspora nel primo secolo dell’era cristiana, portò le sue scritture e la sua visione religiosa in tutta l’Asia minore, in tutta l’Africa settentrionale, in tutta l’Europa dall’Est all’Ovest e infine, più recentemente, nel Nord America. Dopo infinite persecuzioni, il genocidio della Shoah provocò l’orrore, la solidarietà e il rispetto del mondo intero e rimarrà sempre nella memoria nostra e dei nostri figli.

Aggiungo a queste considerazioni una notizia personale che forse potrà interessare Di Segni: ho appreso solo da qualche anno d’avere dentro di me una derivazione ebraica da parte materna; la famiglia di mia madre si chiamava e si chiama Fanuele, ebrei sefarditi stabilitisi in Italia da alcuni secoli, molti dei quali convertiti nel Settecento alla religione cattolica e alcuni di loro fervidamente credenti come mia madre e mia nonna. Ciò detto, il rabbino di Roma pone alcune questioni che meritano una risposta. Anzitutto pone una domanda a me personalmente: io mi dichiaro e sono non credente, ma – dice lui – anche il non credente crede in qualche cosa. In che cosa credo io? Rispondo brevemente così, come risposi anche a papa Francesco nel nostro incontro stampato poi in un libro a doppia firma: non credo che esista un Aldilà dove le anime degli individui umani proseguono in qualche modo a vivere; non credo in nessuna divinità; non credo che le nostre persone siano composte da un corpo mortale e da un’essenza immortale chiamata anima; non credo che il nostro transito terreno abbia un “senso ultimo”. Credo che abbia un senso nell’Aldiqua se l’individuo in questione ritiene di darselo, il che molto spesso non avviene. E questo è tutto circa la mia non credenza. Dovrei dilungarmi molto di più sugli aspetti filosofici e anche scientifici della mia non credenza; ne ho parlato ampiamente in alcuni miei libri, un articolo di giornale non è la sede adatta alla bisogna.

Vengo ora ad alcune osservazioni del mio interlocutore su papa Francesco e sulla Chiesa cattolica in rapporto alla religione ebraica. Soprattutto sul tema dell’amore, della giustizia, della misericordia, del peccato.

Storicamente esistono tre religioni monoteistiche che in ordine alla loro apparizione vedono l’ebraismo al primo posto, il cristianesimo al secondo e l’islamismo al terzo. Tutte e tre credono in un solo Dio il quale, per tutte e tre, non ha un nome pronunciabile e infatti non deve essere nominato. Dio è Dio e basta. Creò l’Universo e tutte le cose esistenti.

Le “sacre scritture” che ciascuno dei tre monoteismi ha prodotto come racconti ed anche come leggi alle quali obbedire e regole alle quali adeguare i propri comportamenti, attribuiscono a Dio una serie di potenzialità che non variano molto tra l’una e l’altra anche se si sono notevolmente modificate attraverso i secoli. Il Dio monoteista è amato, rispettato, pregato e i suoi fedeli lo considerano eterno, onnipotente, onnisciente, onnipresente. Credono anche che sia giusto, misericordioso, severo con i malvagi, amoroso con i buoni. Chi non rispetta le leggi divine e le regole provenienti dalle “scritture” commette peccato, ma se e quando si pente sarà perdonato. Questa è l’essenza dei tre monoteismi.

Come non credente osservo: le potenzialità del Dio monoteista non sono possedute dagli uomini ma sono da tutti desiderate: noi vorremmo essere ardentemente eterni, onnipotenti, onniscienti e onnipresenti. Non lo siamo e perciò attribuiamo a Dio ciò che vorremmo per noi.

Gli attribuiamo sentimenti tipicamente nostri: amori, giustizia, ira, perdono, misericordia. Il male no, Dio è soltanto bene. Il male tuttavia esiste. Chi l’ha creato? La risposta a questa domanda è assai incerta da parte dei tre monoteismi, ma se Dio ha creato tutto l’esistente e se il male esiste, la logica vorrebbe che Dio abbia creato anche il male. Oppure chi?

Da questo brevissimo riassunto per me risulta evidente che il Dio monoteista è profondamente antropomorfo, cioè creato dalla fantasia degli uomini. Ma questa è appunto una delle cause della non credenza.

Infine: i cattolici hanno riconosciuto in tempo recente che gli ebrei non sono stati deicidi, non sono loro ad aver condannato Gesù Cristo. La Chiesa si è pentita di averlo affermato ed anche di avere perseguitato gli ebrei. Questo è certamente un progresso: i papi più recenti e soprattutto Giovanni XXIII, Paolo VI, Wojtyla, Ratzinger e Bergoglio, hanno dichiarato che gli ebrei sono i nostri “fratelli maggiori” e il loro Dio è anche il nostro. Papa Bergoglio ha addirittura detto nel nostro dialogo sopra richiamato che «Dio non è cattolico perché è universale».

Questa presa di coscienza è certamente encomiabile ma la religione ebraica non contempla il Dio trinitario e tantomeno quella islamica. Quello cristiano è un Dio uno e trino e Gesù di Nazareth è un’articolazione chiamata Figlio. Ma ebrei e musulmani non contemplano alcun Figlio, tantomeno un Figlio incarnato. Gli ebrei credono che verrà un Messia, messaggero del Dio unico, che annuncerà l’arrivo imminente del Regno dei giusti. Anche i cristiani in una prima fase della predicazione di Gesù, pensarono che il loro maestro fosse il Messia ma gli ebrei il Messia lo aspettano ancora e quanto a Gesù di Nazareth non sono neppure certi che sia mai esistito. Non ne hanno la prova né l’hanno mai cercata. In effetti quella prova non c’è se non nei Vangeli.

Da non credente tutto ciò non mi riguarda, ma mi riguardano invece i valori che le religioni contengono, mi riguarda la funzione sociale delle religioni, la loro influenza sui comportamenti e sui sentimenti delle persone. Perciò vedo in modo molto positivo l’azione innovatrice di papa Francesco e il riavvicinamento tra le religioni quando rinunciano all’immagine di un Dio che sia bandiera di superiorità, di fondamentalismo e perfino di guerra come in passato è spesso avvenuto e come tuttora avviene nei fanatici che praticano il terrorismo in nome di un Dio crudele. I terroristi lo hanno trasformato in un demonio che porta stragi e rovine.