25 Settembre 2017

Raffaella Perin, La radio del papa. Propaganda e diplomazia nella seconda guerra mondiale, Il Mulino

Fonte:

La Stampa

Autore:

Simon Levis Sullam

E il Papa andò alla guerra

Sulle onde delle radio

Nata nel ’31 per contrastare la propaganda ateista dell’Urss l’emittente vaticana denunciò i soprusi dei rossi contro il clero ma mantenne il silenzio sulle persecuzioni anti-ebraiche

AI principio degli Anni Trenta anche la Chiesa cattolica abbracciò per la prima volta i mezzi di comunicazione moderni dotandosi di una stazione di radiodiffusione. Poté cosi trasmettere dal Vaticano i propri messaggi, assicurandosi la possibilità di raggiungere istantaneamente milioni di fedeli. Con la collaborazione di Guglielmo Marconi, premio Nobel e accademico d’Italia, nasceva Radio Vaticana. Il 12 febbraio 1931 Pio XI trasmise il suo primo radiomessaggio: una benedizione urbi et orbi, in latino, rivolta anche «agli infedeli e ai dissidenti». Seguendo le principali nazioni occidentali, ed emula forse anche dell’azione e dei primi successi conseguiti con la radio dal regime fascista, la Santa Sede, superate le proprie iniziali resistenze nel corso degli Anni Venti, si dotò del più moderno mezzo di comunicazione di massa dell’epoca. La direzione, la programmazione e la conduzione della radio, come nel secolo precedente era avvenuta per la rivista Civiltà cattolica, venne affidata all’ordine dei Gesuiti: assieme alla rivista, Radio Vaticana divenne pertanto organo di comunicazione ufficiosa della Santa Sede. Un volume appena edito (La radio del papa. Propaganda e diplomazia nella seconda guerra mondiale, Il Mulino, pp. 288, 27), a firma di Raffaella Perin, docente all’Università Cattolica, affronta le vicende della Radio e gli atteggiamenti che emergono dalle sue trasmissioni nelle diverse lingue europee, particolarmente durante la Seconda guerra mondiale. La storica ha dovuto innanzitutto affrontare nella ricerca il problema delle sue fonti documentarie: l’archivio storico di Radio Vaticana non ha infatti conservato le registrazioni né i testi delle trasmissioni del periodo. Pertanto Perin ha dovuto rivolgersi in particolare agli archivi dei servizi governativi di monitoraggio delle radio estere attivi nel Regno Unito, negli Stati Uniti e nel Terzo Reich tedesco. Questi materiali consentono innanzitutto di arricchire la ricostruzione storica dell’atteggiamento della Santa Sede verso i totalitarismi. In effetti, l’impegno a contrastare la propaganda antireligiosa dell’Unione Sovietica, e quindi la diffusione di propaganda anticomunista, emerge come una delle principali spinte e motivazioni dello sviluppo iniziale di Radio Vaticana. Accanto a essa contò anche la possibilità di trasmettere verso la Germania dopo la soppressione nazista della stampa cattolica. Proprio in funzione anticomunista, il Segretariato contro l’ateismo della Santa Sede forniva alla Radio materiali per le trasmissioni. E nell’ambito dell’anticomunismo pare vi sia stata una convergenza dell’impegno di Radio Vaticana con il regime fascista, particolarmente nel corso della guerra di Spagna: questo lascerebbe ipotizzare un incontro del 1936 tra il responsabile del Segretariato contro l’ateismo, padre Ledit, e l’alto funzionario del ministero dell’Interno italiano e futuro capo della polizia politica fascista, Guido Leto. Gli eventi della Guerra civile in Spagna, in particolare le violenze dei «rossi» contro il clero, ma anche le notizie di soprusi a danno di religiosi cattolici in Unione Sovietica e in Messico, furono gli argomenti centrali dell’informazione di Radio Vaticana negli ultimi Anni Trenta. In questo periodo, sul fascismo italiano, anche perché alleato nella lotta anticomunista, si registra invece il silenzio. E la questione dei silenzi, già oggetto di attenzione e polemiche circa l’atteggiamento di papa Pio XII nel corso della Seconda guerra mondiale e particolarmente nella Shoah, si ripropone con forza anche per Radio Vaticana. Anche a partire dalle trasmissione della Radio della Santa Sede è possibile dire che, verso la Germania nazista, emersero critiche sul razzismo, ma pure l’espressione – attraverso le parole del vescovo di Friburgo – della necessaria fedeltà della Chiesa allo Stato tedesco fin nel 1942. Soprattutto vi fu il silenzio sulle persecuzioni antiebraiche e sulle deportazioni: in Germania, in Polonia, a Vichy, in Croazia, in Ungheria, come pure in Italia. Quindi anche quando esse avvennero a poche centinaia di metri dal Vaticano. Alla modernità del mezzo di comunicazione non corrispose un cambiamento dei messaggi della Chiesa, ad esempio nelle trasmissioni in cui si condannava lo spirito laico o la fede nella scienza. E anche mentre prendeva avvio nel cuore dell’Europa lo sterminio degli ebrei, i testi letti da Radio Vaticana continuavano a diffondere l’antisemitismo cattolico, la secolare accusa antiebraica di deicidio, l’invito agli ebrei a «ravvedersi» e «convertirsi». Misericordia poteva esservi solo per gli ebrei convertiti: ancora in una trasmissione in italiano del 24 gennaio 1945, tre giorni prima della liberazione di Auschwitz, si diceva: «I veri ebrei sono in realtà coloro che diventano cristiani. Gli altri… sono privati della illuminazione divina». Sulle onde della radio correva ancora l’antigiudaismo.