11 Giugno 2019

Quarta edizione della ricerca “Mappa dell’intolleranza” promossa da “Vox-Osservatorio italiano sui diritti”

Fonte:

www.voxdiritti.i

Autore:

www.voxdiritti.it

La Nuova Mappa dell’Intolleranza 4

 Esplode in un anno l’odio contro migranti, musulmani, ebrei. L’Italia che odia su Twitter si scatena soprattutto a Milano e Roma.

Esce la quarta edizione della mappa voluta da VOX – Osservatorio italiano sui diritti, che fotografa l’odio via social. I risultati? Cresce il livello di intolleranza contro i migranti, i musulmani, gli ebrei. E le donne restano nel mirino. Mentre si individuano delle correlazioni significative tra le narrative della politica e la pervasività dell’odio online.

Esce la quarta edizione della Mappa dell’Intolleranza, il progetto ideato da Vox – Osservatorio Italiano sui diritti, in collaborazione con l’Università Statale di Milano, l’Università di Bari, La Sapienza di Roma e il Dipartimento di sociologia dell’Università Cattolica di Milano.

Al suo quarto anno di rilevazione, la mappatura consente l’estrazione e la geolocalizzazione dei tweet che contengono parole considerate sensibili e mira a identificare le zone dove l’intolleranza è maggiormente diffusa – secondo 6 gruppi: donne, omosessuali, migranti, diversamente abili, ebrei e musulmani – cercando di rilevare il sentimento che anima le communities online, ritenute significative per la garanzia di anonimato che spesso offrono (e quindi per la maggiore “libertà di espressione”) e per l’interattività che garantiscono.

Strumento essenziale per la mappatura del cosiddetto hate speech, la Mappa dell’Intolleranza si è rivelata anche un utilissimo vettore per individuare e combattere i fenomeni di cyberbullismo, perché dimostra ancora una volta come i social media diventino un veicolo privilegiato di incitamento all’intolleranza e all’odio verso gruppi minoritari, data la correlazione sempre più significativa tra il ricorso a un certo tipo di linguaggio e la presenza di episodi di violenza.

La rilevazione 4.0, che ha esaminato il periodo tra marzo e maggio 2019, mette in evidenza alcune caratteristiche peculiari.

La prima: il trend di medio periodo consente di individuare un andamento dell’odio online che colpisce soprattutto alcune categorie. Svetta nella classifica dell’intolleranza la combinazione migranti/ musulmani/ ebrei. L’odio contro i migranti registra un più 15,1% rispetto allo scorso anno e sul totale dei tweet che hanno ad oggetto i migranti, quelli di odio sono ben il 66,7%. Sul totale dei tweet negativi, inoltre, quelli contro i migranti sono circa il 32%: vale a dire che un hater su tre si scatena contro “lo straniero”. L’intolleranza contro gli ebrei, di fatto quasi inesistente fino al 2018, quest’anno registra un più 6,4% (76,1% sul totale dei tweet sugli ebrei). Mentre l’intolleranza contro i musulmani registra un netto aumento (+6,9%) e resta alta (74,1% sul totale dei tweet sui musulmani) e si lega soprattutto alla percezione di eventi internazionali.

Quasi il 60% (57,59%) dei tweet ha dunque al centro migranti, ebrei e musulmani, e tra questi, il totale dei tweet di odio è altissimo, l’assoluta maggioranza, prefigurando atteggiamenti e disposizioni di forte intolleranza contro persone considerate “aliene”. L’anno scorso, tale percentuale si attestava sul 36,92%.

In pole position, nella classifica drammatica dell’odio online si posizionano anche le donne, stabili nel mirino degli haters (+1,7% di tweet negativi rispetto al 2018), ma più colpite in tandem con le persone omosessuali, in occasione di attacchi concentrici, instillati da eventi locali o internazionali forieri di polemiche, quali il Convegno delle famiglie di Verona o le diatribe sulle famiglie arcobaleno. I gay però sono l’unica categoria risparmiata dagli haters, con una diminuzione del 4,2% dei tweet negativi. Segno, anche, del cambiamento culturale prodotto dall’approvazione della legge sulle unioni civili e dalle tante campagne di sensibilizzazione.

“La Mappa dell’Intolleranza 4.0 mostra alcune evidenze assai significative del clima che si respira nel Paese”, spiega Silvia Brena, giornalista e co-fondatrice di Vox- Osservatorio italiano sui Diritti. “La prima, riguarda l’impatto che il linguaggio e le narrative della politica hanno sulla diffusione e la viralizzazione dei discorsi d’odio. La mappatura di quest’anno è volutamente coincisa con la campagna elettorale per le Europee e la correlazione, mostrata soprattutto nella rilevazione dei picchi di intolleranza, appare chiara. La seconda riguarda il ruolo dei social media, ormai corsia preferenziale di incitamento all’intolleranza e al disprezzo nei confronti di gruppi minoritari o socialmente più deboli. Il numero esiguo di caratteri che compone un tweet o un post infatti consente (o addirittura favorisce) la diffusione e la condivisione di pensieri e atteggiamenti idiosincratici, a maggior ragione se garantiti dall’anonimato”.

E che il clima di violenza verbale registrato sui social sia in preoccupante e nettissimo aumento, lo conferma anche un altro fattore di analisi introdotto quest’anno: il livello di aggressività. Si basa su alcune considerazioni emerse da altri modelli e indici di livelli di aggressività, sviluppati in prevalenza nell’ambito psicologico e psicometrico. In questa sua prima forma sperimentale, si è dimostrato utile, per meglio comprendere non solo la negatività, gli atteggiamenti intolleranti e discriminanti, ma anche l’orientamento aggressivo di questi messaggi.

Altrettanto significativa poi appare la correlazione tra odio sui social e messaggi della politica: sono le prime evidenze emerse analizzando i picchi di aggressività contro migranti, ebrei e musulmani e confrontandole con i post dei politici. È lo studio in corso, con Amnesty International, che grazie al progetto Barometro dell’odio sta analizzando i profili dei politici su Facebook: i risultati di tale rilevazione verranno comparati con quelli registrati dalla Mappa 4.0.

“I dati emersi dalla Mappa 4.0 mostrano una drammatica correlazione tra il linguaggio dei politici – rappresentanti o candidati alle elezioni Europee – sempre più caratterizzato da toni intolleranti e discriminatori con l’aumento dei tweet razzisti e xenofobi”, spiega Marilisa D’Amico, co-fondatrice di Vox, prof. ordinario di Diritto Costituzionale all’Università degli Studi di Milano e Prorettore con delega a legalità, trasparenza, parità di diritti nella stessa Università. “Ciò non solo sembra creare un clima culturale sempre più ostile al “diverso”, ma legittima la diffusione dei discorsi d’odio lesivi dei principi di uguaglianza e di solidarietà, ai quali è ispirata la nostra Costituzione. Ancora, le parole d’odio, che si moltiplicano sul web, si traducono in scelte politiche e normative che hanno un’incidenza sui diritti dei migranti in arrivo e sulle fondamenta dello Stato di Diritto. La conseguenza più allarmante è che oggi sembra bastare un tweet del ministro dell’Interno per chiudere i porti italiani alle navi trasportanti richiedenti protezione, potenzialmente titolari di un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione: il diritto d’asilo (art. 10, comma 3 Cost.)”.

Quanto alla distribuzione geografica dei tweet di odio, la concentrazione è soprattutto nelle grandi città:

Antisemitismo: Roma

Disabilità: Milano, Napoli, Venezia

Islamofobia: Bologna, Torino, Milano, Venezia

Omofobia: Milano, Napoli, Bologna, Venezia

Sessismo: Milano, Napoli, Firenze, Bologna

Xenofobia: Milano

“L’odiatore non è più l’anonimo leone da tastiera, quello che lancia il sasso di un tweet e poi nasconde la mano. Oggi si fa riconoscere. Vuole farsi riconoscere!” spiega Vittorio Lingiardi, professore ordinario di Psicologia Dinamica presso La Sapienza, Università di Roma. “Ha il petto in fuori e rivendica la ribalta. Non si sente più solo, ma legittimato. Si tratta di un cambiamento radicale e preoccupante. I bersagli dell’offesa, invece, sono sempre gli stessi. Da sempre le maggioranze, silenziose o rumorose, hanno avuto bisogno di confermare se stesse attraverso un capro espiatorio. Lo scelgono tra le cose che non capiscono e inconsciamente temono, oppure che considerano “deboli” o “contaminate”: di volta in volta le donne, le persone non eterosessuali, disabili, o di culture, religioni e etnie non maggioritarie. Se la prendono coi loro “corpi”: disprezzati nella sessualità e nel genere, ridicolizzati e umiliati, verbalmente aggrediti e persino stuprati in parole che sempre più spesso diventano fatti. L’insulto può essere letto come una forma primitiva di difesa psichica che si esprime attaccando aspetti fondamentali dell’umanità altrui. La psicoanalisi insegna che l’odio è un sentimento che tutti possiamo provare, ma che è fondamentale riconoscere ed elaborare. L’odio sociale di oggi, quello degli haters digitali, potrebbe in parte rappresentare un rigurgito rabbioso contro la complessità di un mondo (sociale o privato) che sta andando in una direzione che fa paura o confonde. Contro le donne, perché si teme la loro libertà e indipendenza; contro le persone gay e lesbiche perché il cammino dei loro diritti e della loro cittadinanza non può essere fermato; contro i migranti perché sono un fenomeno storico irreversibile che non può essere semplicemente “respinto”. Si grida di più per due motivi: in modo calcolato per aggregare consenso attorno a sé e in modo scomposto per cercare di contenere la paura nei confronti di trasformazioni epocali che spaventano e con cui non si è capaci, affettivamente e cognitivamente, di misurarsi. Con i social network, basta un clic per moltiplicare l’effetto. E questo fa sentire ancora più forti. Si pensa di parlare al mondo, affacciati al proprio balcone, e questo purtroppo a volte ha l’effetto della benzina sul fuoco che trasforma in incendio quello che poteva essere un fuocherello. Cosa possiamo fare? Individuare il disagio e incontrarlo nel dialogo. La Mappa dell’Intolleranza permette di individuare le zone in cui l’hate speech è maggiormente twittato. Questo ci consente di attivare campagne preventive sia attraverso l’elaborazione di materiali didattici e formativi sia attraverso interventi nelle scuole e incontri allargati con le realtà territoriali.”Di fronte a tale scenario, appare evidente come sia necessario agire su più fronti: una qualche forma di auto-regolamentazione da parte dei social appare più che urgente. Soprattutto da parte di Facebook qualcosa si sta facendo, ma è ancora poco, a nostro giudizio.Un secondo fronte, fondamentale, è la prevenzione. Per questo, nel 2018 e nell’anno in corso Vox Diritti ha intensificato i suoi progetti nelle scuole, per educare i ragazzi al linguaggio dell’inclusione, anche per combattere fenomeni di cyberbullismo. Il risultato, è la campagna #Ispeakhuman, lanciata a inizio maggio su Facebook e Instagram, i cui contenuti, video, gif, post, sono stati pensati e realizzati dai ragazzi del Liceo Bottoni di Milano e dell’Università Cattolica. La campagna ha registrato un enorme successo,più di 200mila visualizzazioni, a conferma della necessità di creare contro-narrazioni efficaci per combattere i discorsi d’odio. E dunque, che fare? Ripartire dall’educazione civica, ritrovare le parole inclusive, ritrovare i valori fondanti del patto sociale alla base delle nostre democrazie. Nella consapevolezza che trasformare i ragazzi in cittadini è compito difficile. Ma è la vera, grande sfida per costruire un futuro a misura di uomo.

COME È STATA COSTRUITA LA MAPPA

La prima fase del lavoro ha riguardato l’identificazione dei diritti, il mancato rispetto dei quali incide pesantemente sul tessuto connettivo sociale: questa fase è stata seguita dal Dipartimento di Diritto Pubblico italiano e sovranazionale dell’Università degli Studi di Milano; la seconda fase si è concentrata sull’elaborazione di una serie di parole “sensibili”, correlate con l’emozione che si vuole analizzare e la loro contestualizzazione: questo lavoro è stato svolto dai ricercatori del Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica della Facoltà di Medicina e Psicologia, Sapienza Università di Roma, specializzati nello studio dell’identità di genere e nell’indagare i sentimenti collettivi che si esprimono in rete.

Nella terza fase si è svolta la mappatura vera e propria dei tweet, grazie a un software progettato dal Dipartimento di Informatica dell’Università di Bari, una piattaforma di Social Network Analytics & Sentiment Analysis, che utilizza algoritmi di intelligenza artificiale per comprendere la semantica del testo e individuare ed estrarre i contenuti richiesti.

I dati raccolti sono stati poi analizzati ed elaborati da un punto di vista psico-sociale dal team di psicologi.

Infine, l’analisi dei risultati da un punto di vista sociologico, effettuata dal team di ItsTime, Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies, centro di ricerca che fa capo al Dipartimento di Sociologia dell’università Cattolica di Milano.

Quest’anno, si è aggiunto poi un ulteriore fattore di analisi: il livello di aggressività. Il software è stato dunque “istruito” per estrarre i tweet più aggressivi, evidenziandone il livello di virulenza: la valutazione è stata orientata dalle categorie utilizzate dalla scala MOAS (Modified Overt Aggression Scale). In questa sua prima forma sperimentale, si è dimostrato utile, per meglio comprendere non solo la negatività, gli atteggiamenti intolleranti e discriminanti, ma anche l’orientamento aggressivo di questi messaggi.

I RISULTATI

Sono stati estratti e analizzati 215.377 tweet, rilevati tra marzo e maggio 2019, considerando 76 termini sensibili. Tra questi, 151.783 sono stati i tweet negativi.

I tweet sono stati geolocalizzati, dando come risultato le ormai note cartine termografiche dell’Italia. Quanto più “caldo”, cioè vicino al rosso, è il colore della mappa termografica rilevata, tanto più alto è il livello di intolleranza rispetto a una particolare dimensione in quella zona. Aree prive di intensità termografiche non indicano assenza di tweet discriminatori, ma luoghi che mostrano una percentuale più bassa di tweet negativi rispetto alla media nazionale.

Perché Twitter? Sebbene tra i social network non sia quello maggiormente utilizzato, il fatto che Twitter permetta di re-twittare dà l’idea di una comunità virtuale continuamente in relazione e l’hashtag offre una buona sintesi del sentimento provato dall’utente.

I RISULTATI IN SINTESI

Xenofobia. Insieme agli islamici e alle donne, è la categoria che presenta il maggior numero di tweet di odio. Lo hate speech su Twitter nei confronti dei migranti ha avuto un balzo del 15,1% rispetto alla rilevazione dello scorso anno. Circa un tweet negativo su 3 è contro i migranti. Un dato assai preoccupante, per gli effetti che possono emergere e le conseguenti tensioni nei rapporti sociali. Un dato preoccupante, soprattutto perché emerge in modo significativo la correlazione tra tweet di odio contro i migranti e linguaggio della politica.

Misoginia. Diminuiscono i tweet contro le donne, ma resta alto il numero di messaggi di odio e discriminazione: contro le donne, agiscono come trigger del linguaggio d’odio la presenza di un certo abbigliamento o di comportamenti che un codice machista bolla come provocatori o istigatori, segno di come questo atteggiamento sia profondamente radicato in un ambito culturale nazionale, che regola, orienta e determina i rapporti fra uomini e donne.

Antisemitismo. I tweet di odio e discriminazione verso gli ebrei sono aumentati notevolmente, riflettendo anche sul territorio nazionale una tendenza presente in molti Paesi europei e negli Stati Uniti.

Islamofobia. In netto aumento rispetto al 2018, ma certamente influenzata dal contesto internazionale e dal clima socio-politico che si respira, che agiscono da amplificatori, riportando sul suolo nazionale problematiche molto complesse e dalle forti connessioni transnazionali.

Disabilità. Nonostante le notizie riportino fatti ed eventi positivi in relazione a una maggiore consapevolezza circa il tema della disabilità, l’attenzione verso queste iniziative ha però generato tweet di intolleranza e odio. Ciò indica una caratteristica importante dei social network: quella di essere in grado di decontestualizzare il messaggio, fino a una sua polarizzazione negativa.

Omofobia. I tweet di odio contro le persone omosessuali sono in calo rispetto ad anni passati. Resta dunque valida l´interpretazione secondo la quale è possibile leggere questo andamento alla luce dell’impatto prodotto dalle campagne sociali di sensibilizzazione ed educazione.