29 Novembre 2023

Prima Comunicazione intervista la presidente UCEI Noemi Di Segni

Fonte:

Prima Comunicazione

Autore:

Carlo Riva

“Talk show immorali”

Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, richiama alla responsabilità chi fa informazione. “Sbagliato mettere tutti sullo stesso piano”

In ottobre sono stati 44 i casi di antisemitismo in Italia, il che porta gli episodi finora registrati, nel 2023, a 280, il numero più alto dal 2009. E manca più di un mese alla fine dell’anno. L’incremento si è avuto dopo il 7 ottobre, con il massacro perpetrato da Hamas, e il successivo attacco di Israele alla Striscia di Gaza. Dati davvero inquietanti, quelli forniti dall’Osservatorio antisemitismo – Cdec (Centro documentazione ebraica contemporanea), che si sommano agli incrementi avuti, sempre in ottobre (rispetto allo stesso mese del 2022), del 609% in Gran Bretagna, del 400% negli Usa e del 240% registrato in una sola settimana in Germania: dati che dimostrano come l’odio e i pregiudizi che si pensavano sepolti dopo la tragedia di 80 anni fa riemergono con virulenza. Un antisemitismo molto spesso mascherato da antisionismo, molto veloce a dimenticare le atrocità dei terroristi islamici e il dramma di quanti sono stati presi in loro ostaggio, per condannare esclusivamente la reazione israeliana, sottolineando la tragica condizione dei palestinesi di Gaza.

Ma c’è una relazione tra quei dati preoccupanti e l’informazione su quanto sta accadendo in Israele e a Gaza? Probabilmente si, se Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, si è sentita in dovere di inviare ai direttori responsabili delle principali testate italiane una lettera.

“È stato un appello che intendeva richiamare alla responsabilità chi fa informazione su un tema davvero delicato: quanto sta accadendo dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre”, spiega Noemi Di Segni. “Una responsabilità che riguarda anche il modo con il quale si titolano, si riportano le notizie e anche si scelgono le persone che si intervistano e si invitano ai dibattiti televisivi. Se chiami in trasmissione personaggi che presentano la situazione in maniera distorta propagandando odio, non contribuisci a un confronto tra diverse opinioni. Il confronto ci deve essere, ma va fatto tra persone che, pur ponendosi di fronte ai problemi da punti di vista diversi, sono portatrici di certi valori. Pur comprendendo quanto possa essere difficile per un giornalista lavorare in una situazione drammatica e di grande complessità, volevo ricordare che anche i media hanno responsabilità”

Prima – Mi faccia un esempio.

Noemi Di Segni – Se lanci la notizia che Israele ha bombardato Gaza e dopo neanche un minuto fornisci anche il numero di morti, non sei un giornalista serio. Non puoi aspettare un attimo e controllare? Non ci si può basare esclusivamente su ciò che ti dice Hamas, un’organizzazione terroristica.

Anche le cifre sono un modo per alimentare odio. Magari mi rispondi che hai riportato, poi, anche la versione degli israeliani, Ma è giusto mettere tutto e tutti sullo stesso piano? Non sarebbe più importante avere prudenza ed evitare di gettare benzina sul fuoco? Anche quando si scrive che gli ebrei in Italia si stanno nascondendo per la paura, non si descrive ciò che veramente sta accadendo. Non sto facendo un appello alla censura e nemmeno dico che non devono intervistare questo o quel personaggio, perché a me non piace. So benissimo che questo rientra nella dialettica e nel posizionamento di questo o quel media. Punto, invece, a sottolineare il pericolo reale di pubblicare notizie che contribuiscono ad alimentare l’odio e a far scattare la violenza.

Prima – Davvero ritiene che ciò stia avvenendo?

Di Segni – È ovvio che quanto accade dentro la Striscia di Gaza non può essere ignorato, ma come si interpretano quelle notizie e davvero ci si chiede il perché? Ci sono vittime vicino a un ospedale e immediatamente se ne dà la colpa all’esercito israeliano. E i danni dell’impatto di queste notizie non vengono riparati dalle ricostruzioni successive che attribuiscono ad altri la responsabilità. E nessuno aggiunge che, come sostiene l’esercito israeliano, Hamas usa anche le strutture sanitarie, oltre alle scuole e ai parchi giochi, come copertura per le sue basi logistiche militari. Così appare che all’origine di ogni azione c’è la cattiveria degli israeliani. Comunque, nei principali notiziari televisivi, le notizie vengono date in maniera attenta e con un certo tipo di approfondimento. Lasciano perplessi le trasmissioni di confronto.

Prima – Si riferisce ai talk show?

Di Segni – Sì, in quegli appuntamenti c’è una grande attenzione, o debolezza, nel mettere tutti sullo stesso piano, che si giustifica con l’obiettivo, a mio parere triste, del raggiungimento dell’audience. Farlo, in una situazione di questo genere, è immorale. Sostenere che ci sarebbe un principio di legittimità, parità di opinioni, è l’abuso di un diritto. I diritti all’informazione e alla libertà di pensiero, che riteniamo fondamentali, non possono essere un presidio attraverso il quale diffondere odio e propagare violenza nella società italiana, Dare la scena a chi sostiene valori di annientamento o disconoscimento della stessa esistenza dell’altro è aberrante. Una cosa è approfondire attraverso l’analisi i diversi aspetti – militari, geopolitici, sociali e religiosi – di un problema anche attraverso pareri discordanti, ma puntare sulla contrapposizione che fa spettacolo, buttando nelle arene televisive anche le bestie feroci, supera la linea rossa.

Prima – A eccezione del manifesto e del Fatto Quotidiano – decisamente molto più schierati sul fronte palestinese – i quotidiani italiani sostengono le ragioni di Israele.

Di Segni – Sicuramente c’è stata una risposta compatta contro quanto è accaduto il 7 ottobre e le atrocità di Hamas. Uguale compattezza la si registra sul tema dell’antisemitismo. Viene rappresentato con più o meno dettagli e sfumature, ma non mi sembra di aver letto interviste a chi nega che il pericolo esista. La sensibilità è diversa quando si parla del conflitto, del tema umanitario che emerge a Gaza. C’è chi riporta il fatto che gli israeliani uccidono, che Israele l’ha sempre fatto, e chi cerca anche di spiegare, pur registrando il dolore, che ciò avviene e che tanti civili sono coinvolti perché Hamas tratta gli stessi palestinesi da ostaggi. Il richiamo alla morale a Gaza viene fatto solo a Israele – che l’ha ben chiaro – e a nessun altro. Se vuoi aiutare i palestinesi, devi anche ammettere che lì sono trasformati in scudi umani da chi ha nelle sue mani 240 ostaggi, compresi neonati, bambini e anziani ammalati.

Prima – In un’intervista su questo giornale l’inviato del Corriere della Sera Lorenzo Cremonesi sottolinea come sia difficile fare informazione su una vicenda che in Italia costringe tutti a schierarsi e a tifare come in un derby Milan-Inter: se parli delle responsabilità del premier Benjamin Netanyahu ti appioppano immediatamente l’etichetta dell’antisemita, mentre diventi lo stipendiato del Mossad se lai un reportage che descrive il dolore dei ragazzi con la divisa dell’esercito israeliano per la perdita del loro compagni.

Di Segni – A proposito delle responsabilità, non penso che questo sia il momento dei processi. Se in Israele c’è stata una falla in termini di disattenzione di intelligence e decisioni del governo, se ne risponderà in un altro momento. Però, non credo sia corretta una correlazione tra questo e il desiderio di sterminio di Hamas, collegato a un piano internazionale con molteplici attori come Iran, Qatar, Turchia. È un disegno che prescinde dai governi israeliani, dalla figura di Netanyahu e dal numero di ministri estremisti del suo governo, ma che riguarda la cartina geografica di Israele e tutti gli ebrei nel mondo. Il problema è l’esistenza di Israele, la cui distruzione è prevista nella carta fondativa di Hamas. Poi, è aperto un dibattito – in cui intervengo con un parere esclusivamente personale – ora focalizzato su Gaza, ma che ha altre propaggini. Che riguarda come lavorare sul rapporto con i palestinesi della Cisgiordania e i cittadini arabi di Israele. Parlo di come migliorarlo. I coloni che attaccano i palestinesi non vanno certo in questa direzione.

L’argine morale deve riguardare ciò che succede a Gaza per quanto concerne le regole del diritto bellico – e credo che Tsahal, le forze di difesa Israeliane, le rispettino – e deve riguardare gli altri territori e il rapporto con gli arabi dentro Israele. Anche loro non vogliono che Hamas entri dove vivono. Lo slogan ‘Palestina libera’ vende bene. Ma per fare governare la Palestina a chi? Sono tanti gli arabi sui quali si può contare. I rapporti di rispetto con loro vanno salvaguardati. Pensi a quanti lavorano negli ospedali, nella magistratura, nelle scuole, nei supermercati, nei cantieri di Israele. È vero, con il 7 ottobre si è insinuato il sospetto, ma il sospetto non può rientrare nel dibattito politico.

Prima – Recentemente Corrado Augias in un’intervista ha sostenuto che “il confine tra ebreo e israeliano, tra comunità ebraica e Israele, è così sfumato da creare un pericolo enorme”. È d’accordo?

Di Segni – Il confine – termine che bisognerebbe interpretare per capire se sia un bene o un male – c’è. Forse sarebbe meglio parlare di distinzione. Essere ebrei è una cosa, essere israeliani è un’altra. E quando israeliano non sei, ciò non significa che ti debba disinteressare di quanto accade in Israele. Chi sta là vive, o subisce, le sorti e le scelte del suo governo, che può benissimo criticare o meno. Aspetti questi ultimi sui quali come ebrei italiani dobbiamo stare più attenti. Quando si parla, invece, dell’esistenza di Israele, della sua legittimazione e del suo diritto a difendersi, questi sono temi che riguardano tutti gli ebrei del mondo. Ciò fa parte della nostra identità. La messa in discussione di Israele è un pericolo che si estende alla vita di qualsiasi ebreo.

Prima – Non vede una contraddizione tra chi si schiera con Israele, ma non si trattiene da posizioni xenofobe e non rinuncia a intrattenersi, se non ad allearsi, con formazioni politiche come il partito di estrema destra tedesco Afd, che maschera l’antisemitismo con l’islamofobia?

DI Segni – L’ho detto tante volte: l’essere a favore di Israele non da patenti di immunità ad altre forme di odio e di integralismo e il via libera a diffondere messaggi neofascisti e razzisti. Anche l’antifascismo non è l’attestato che ti permette di discutere la legittimità di Israele. Per una persona è importante capire pienamente che cosa significano i valori di libertà religiosa e di vita, oltre al contributo della cultura ebraica al mondo. Quindi, non basta comprendere perché si piange la Shoah o salvaguardare Israele, mentre il resto ce lo si gioca liberamente. Ci deve essere coerenza. Se non c’è, stia sicuro che lo facciamo presente, Eccome

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