12 Novembre 2015

Polemica dopo la decisione dell’Unione Europea di porre marchi appositi ai prodotti provenienti dalla West Bank

Fonte:

Corriere della Sera

Autore:

Pierluigi Battista - Francesco Battistini

L’Europa mette il bollino sui prodotti delle colonie La reazione di Israele

Ira di Netanyahu: «A Bruxelles devono vergognarsi»

Dice l’Ue: è solo una marcatura che ci ricorderà da dove arrivano certe merci in Europa. Protesta Israele: è un infame marchio che ci ricorda certi vagoni merci di 70 anni fa in Europa. L’etichetta non ha mai contraddistinto le relazioni fra Bruxelles e i governi israeliani. La guerra delle etichette le sta facendo degenerare. « Semplice provvedimento tecnico» o «schedatura che risveglia tristi memorie», dopo un decennio di discussioni e due di voti e di veti, un mese dopo i 525 sì (contro 70 no) del Parlamento europeo, la Commissione Ue è passata ai fatti: d’ora in poi l’ortofrutta, i formaggi, il vino, il miele, l’olio, il pollame, le uova, i cosmetici, la plastica, tutti i prodotti che provengano dalle colonie israeliane nei Territori palestinesi, dovranno essere etichettati «in modo corretto e non fuorviante». Verranno venduti come prima. Ma non basterà scriverci sopra «made in Israel»: come accade già a Londra, in Belgio o in Danimarca, sarà obbligatorio indicare «prodotto israeliano delle colonie » della Cisgiordania, del Golan o di Gerusalemme Est. Ovvero d’insediamenti che l’Ue dichiara illegali e che un consumatore, pertanto, può decidere se comprare oppure no. Che non sia solo una questione tecnica, lo dimostra subito la reazione d’Israele. Da settimane faceva pressioni su tedeschi, inglesi, sulla rappresentante europea Mogherini, sui senatori Usa. Ora comunica la sospensione di tutti i «dialoghi diplomatici» coi Ventotto. «Vogliamo dare un segnale molto forte», spiega la vice degli Esteri, Hotovely: visto che «agli europei preme molto essere coinvolti nel negoziato israelo-palestinese», stop a ogni colloquio con loro. A parte l’irrilevante sinistra di Meretz, la politica israeliana è tutta con Bibi Netanyahu: «Vince chi vuole boicottarci, mentre siamo sotto attacco terroristico — dice il premier —. L’ipocrita e immorale Ue si vergogni di questo doppio standard che colpisce Israele e non altre 200 dispute nel mondo. Perché non si fa lo stesso per il Sahara occidentale o per la Cipro turca?». Plaudono il presidente palestinese Abu Mazen e Peace Now — «le colonie sono il maggiore ostacolo alla pace» — anche se l’obbiettivo era un divieto totale dell’export . Nel silenzio dei grandi leader europei, a replicare sono un vicecommissario e l ’ambasciatore Ue a Tel Aviv : «Esagerato parlare di boicottaggio, per tutti i prodotti israeliani restano le agevolazioni doganali: è solo un’indicazione d’origine». Più che i soldi — 150 milioni d’euro, nemmeno l’1% del volume d’affari con l’Ue — a Netanyahu pesa perdere la partita. Se le fattorie dei coloni chiuderanno, avverte, i primi a soffrirne saranno i 10 mila palestinesi che vi lavorano. E se si deve andare alla guerra commerciale, minaccia un deputato Likud, «marchieremo anche noi tutti i prodotti Ue». Occhio per occhio, etichetta per etichetta.

Francesco Battistini

Quel marchio europeo che offende Israele

L’Unione Europea tace sulle dittature. Non dice una parola, da sempre, sui regimi tirannici con cui intrecciare soddisfacenti rapporti economici. Plaude alle mediazioni, ma mica per spirito di pace, solo per convenienza. Figurarsi se l’Unione Europea, politicamente una nullità nelle grandi questioni che insanguinano il mondo, emette un solo fiato di indignazione, per dire, sui rapporti con la Cina che occupa il Tibet e manda in galera i dissidenti. O sull’Arabia Saudita, con cui si stabiliscono buoni rapporti mentre ancora si pratica la lapidazione delle adultere e si legalizza lo stupro delle bambine che vengono costrette a sposarsi, vendute dalle famiglie. Silenzio assoluto, omertà, come sempre. Poi, quando compare la parola «Israele», l’Unione Europea si risveglia dal suo torpore e decide di marchiare i prodotti dello Stato ebraico sfornati dalle officine e dai capannoni dei territori sotto controllo dell’Autorità nazionale palestinese. Qui l’Europa, dimentica del passato atroce in cui i negozi degli ebrei venivano perseguitati e le merci degli ebrei confiscate o boicottate, decide di dare una mano alla campagna che i regimi autoritari del Medio Oriente imbastiscono contro l ’unica democrazia di quell’area, cioè lo Stato di Israele. Il fatto che esistano fabbriche israeliane situate (anche) in Cisgiordania dove operano lavoratori palestinesi liberamente assunti e con contratti regolari di lavoro non dovrebbe essere uno scandalo nel mondo globalizzato. Non c’è nessuna ragione economica per «marchiare » dei prodotti. C’è solo una ragione politica: il boicottaggio sistematico di Israele, delle merci israeliane, degli studiosi israeliani (da parte delle Università europee). Esistono nel mondo un’infinità di territori contesi. Ma esiste solo un caso in cui le istituzioni del mondo diventano fiscali: quando c’è di mezzo Israele. È il solito trattamento speciale. La solita tentazione del boicottaggio. La decisione europea scredita l’idea di Europa. Una decisione sconcertante. Sarebbe saggio ritirarla.

Pierluigi Battista