14 Settembre 2018

“Pena alternativa” a tre condannati per il reato di diffamazione a mezzo Internet aggravato dalla discriminazione razziale

Fonte:

La Stampa

Autore:

Andrea Zambenedetti

Pubblicano insulti razzisti su Facebook condannati a stare 6 mesi senza social

Tre veneziani dovranno anche leggere libri, vedere film e scrivere pensieri positivi sui migranti

Portogruaro. «Leggere un testo narrativo, ricercare un articolo di cronaca e vedere un film inerente alla tematica del razzismo. Redigere poi un elaborato con le proprie considerazioni». Non sono i compiti per uno studente che ha preso in giro il suo compagno di banco ma la “pena alternativa” che hanno davanti tre veneziani, adulti, finiti in tribunale per il reato di diffamazione a mezzo Internet, aggravato dalla discriminazione razziale. Chiaramente nel periodo di sospensione del processo, aggiornato al prossimo mese di maggio, non potranno più bazzicare sui social network. La vicenda risale allo scorso mese di luglio. I tre, residenti in provincia di Venezia, postano nella pagina Facebook «sei di Portogruaro se…» quelli che il loro avvocato definisce «degli sproloqui». Un quarto era già stato ammesso in prova alla precedente udienza. Si discute di migranti che devono essere spostati in un altro centro di accoglienza. Il 34enne, Giuseppe, taglia corto: «Bisogna aiutarli ne ospitiamo uno in ogni casa e li laviamo con la benzina e poi li asciughiamo col lancia fiamme e tutto è risolto». Rudy, suo coetaneo, non si ferma e scrive testualmente: «gente sporca devono morire se trovo uno di loro li verso dell’acido di batterie così capiscono che non li vogliamo». «E questa è la vergogna del comune invece di aiutare noi cittadini aiutano loro sporchi negli pieno di malattie e rabbia bisogna far gruppo e mandarli via diamogli fuoco al palazzo con loro dentro».

Incitamento alla violenza

ole da cui emerge incontrovertibile l’odio e l’insofferenza, oltre all’incitamento – secondo la procura di Pordenone, territorialmente competente nella zona- a commettere violenza nei confronti di persone richiedenti protezione internazionale. Chiude la sfilza degli improperi Gabriele, che di anni ne ha 56 e posta la fotografia di un cappio che correda con la parola «ripensandoci». Il pubblico ministero non ha dubbi e gli contesta l’incitamento a commettere violenza aggravato dalla finalità di discriminazione. Davanti a questo quadro i tre finiscono a processo per direttissima con l’accusa di diffamazione aggravata dalle circostanze razziali, previste dalla legge Mancino. «Visto che, senza le aggravanti, la pena prevista per questo reato è inferiore ai quattro anni – spiega l’avvocato di due imputati, Gianni Massanzana – ho chiesto che venisse concessa loro la messa in prova. In questo modo una volta che il programma andrà a buon fine, previa verifica del tribunale, il reato verrà dichiarato estinto. Quindi come se non fosse mai stato commesso».

La lezione da imparare

Ed è a quel punto che il tribunale di Pordenone decide di non limitarsi ad obbligarli ai lavori socialmente utili per il comune dove risiedono ma va oltre, imponendo anche il versamento di 200 euro a favore di un’associazione o ente benefico che si occupi del contrasto alla discriminazione razziale, costringendoli a leggere dei testi sulla materia e a rielaborare con considerazioni proprie. Non basta perché per tutta la durata della messa in prova non dovranno neppure utilizzare i social network. Insomma, l’obiettivo non è solo quello di placcare i polpastrelli dei leoni da tastiera ma anche spingerli a riflettere su quali siano i toni con cui esprimersi in pubblico. «Quando è stata accettata questa soluzione – spiega ancora il loro legale – mi hanno ringraziato. Hanno capito di aver sbagliato». Visto quanto è diffuso il fenomeno una lezione non solo peri tre ma per tutti gli utenti della rete.