4 Giugno 2023

Non solo Edgardo Mortara, la vicenda dei battesimi forzati è antica. Shalom ne parla con la storica Marina Caffiero

I battesimi forzati non nascono con Edgardo Mortara, anzi si potrebbe dire che il caso del bambino rapito a Bologna nel 1858 al centro del film Rapito di Marco Bellocchio ne costituisce un epilogo, non è l’ultimo ma il clamore della vicenda porta ad abbandonare o quasi la pratica da parte della Chiesa. Ne parliamo con Marina Caffiero, docente di Storia Moderna all’Università La Sapienza di Roma, autrice di vari libri, tra cui Battesimi forzati. Storie di ebrei, cristiani e convertiti nella Roma dei papi e Rubare le anime, Storia di Anna Del Monte. La professoressa Caffiero sarà anche la coordinatrice di un convegno a Palazzo Besso a Roma, lunedì 5 giugno, alle 17 sull’argomento nel quale interverrà Marco Bellocchio, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e Alberto Melloni della Fondazione per le Scienze Religiose.

Il film di Bellocchio ci riporta alla pratica dei battesimi forzati, un periodo molto lungo se iniziamo da quello del Ghetto di Roma…

I battesimi forzati ci sono sempre stati, anche molto più indietro, però le documentazioni più specifiche cominciamo ad averle nel ‘500 in corrispondenza alla creazione del Ghetto di Venezia nel 1513 e poi di quello di Roma nel 1555.  Se ne occupava l’Inquisizione Romana, questo dà la sensazione di quanto fosse un tema importante, molto a cuore alle autorità ecclesiastiche. Dobbiamo specificare che le conversioni non erano tutte coatte, qui stiamo parlando di un fenomeno specifico che è quello dei battesimi forzati.

Quanti battesimi forzati ci sono stati e quanti invece volontari nei trecento anni dell’epoca del Ghetto a Roma? 

Non ci sono numeri, non ci sono statistiche. Possiamo studiare e farci un’idea approssimativa analizzando i registri dei battesimi, anche se non specificano se siano forzati. Sappiamo che nell’arco di circa un secolo e mezzo, dalla metà del Seicento a tutto il Settecento, ci sono stati a Roma almeno duemila battesimi. Bisogna sottolineare che, forzati o no, erano di grande rilevanza per la Chiesa, un atto estremamente importante dal punto di vista religioso, teologico, politico con una forte eco propagandistica. Se vogliamo essere certi che siano stati battesimi forzati, bisogna studiare le carte dell’Inquisizione, tenendo conto che i numeri sono comunque limitati anche per l’esiguità della comunità, tra Cinque e Ottocento, siamo attorno a 3500 ebrei in Roma.

Quali erano le tipologie dei battesimi forzati? In che modo la Chiesa entrava in queste famiglie?

Le tipologie sono tre. I battesimi clandestini dei bambini fatti di nascosto dai genitori, si diceva in vitis parentibus, come il caso di Edgardo Mortara. Un bambino non cosciente subisce il battesimo e poi la cosa viene fuori in un modo o nell’altro. Per lo più, venivano effettuati dalle domestiche o dalle balie cattoliche che lavoravano nelle case degli ebrei, numerosissime e necessarie affinché gli ebrei potessero seguire il riposo del sabato. Molti difensori di questa pratica dicevano che la colpa era degli ebrei perché tenevano in casa domestiche cristiane.

La seconda tipologia è quella delle offerte o delle oblazioni, delle vere e proprie donazioni che un convertito o una convertita, due adulti, potevano fare dei propri parenti stretti alla Chiesa, in genere moglie e figli. In questo caso, venivano presi e portati nella Casa dei Catecumeni al rione Monti, ora sede dell’Università Roma Tre. Qui venivano catechizzati per 40 giorni, se l’adulto maggiorenne avesse resistito, avrebbe dovuto essere rilasciato come nel caso di Anna Del Monte che riesce a resiste e alla fine esce. Diverso è il caso del bambino offerto che viene battezzato immediatamente e a quel punto è perso.

La terza tipologia è quella delle delazioni o denunce. Qualunque cristiano o ebreo che avesse dichiarato davanti al notaio di avere sentito un ebreo che intendeva farsi cristiano, lo denunciava perché aveva espresso questo desiderio vero o falso che fosse. Arrivavano gli sbirri che lo portavano alla Casa dei Catecumeni per la quarantena. Attraverso questa via si potevano verificare vendette, rivalse, chiusura dei conti.

In queste tre pratiche, le donne erano le principali vittime, le ebree non sono propense alla conversione e offrirle poteva essere un modo per obbligarle a convertire anche i figli o, peggio, se fossero state incinte il bambino sarebbe appartenuto alla Chiesa. Le donne in stato interessante venivano portate alla Casa dei Catecumeni e non venivano rilasciate dopo 40 giorni, le si tratteneva fino al momento del parto e del battesimo per paura di perdere due soggetti in una volta. Venivano messe in giro voci false e terrificanti, come quella che, pur di non battezzare il figlio, la madre era disposta ad ucciderlo. Dopo il battesimo, erano libere di andarsene senza il figlio, ma nella maggior parte dei casi la madre si faceva battezzare per restare con il bambino.

Cosa succede nel periodo della Shoah quando molti bambini ebrei vengono salvati nei conventi? È vero che Pio XII alla fine della guerra si rifiuta alcune volte di restituirli?

Nel Novecento, non è così semplice, ma ci sono stati casi eclatanti. Per esempio, in Francia nel 1954, quello di due bambini affidati dai genitori a strutture cattoliche prima di essere uccisi ad Auschwitz. Quando dopo la guerra si presentano i parenti più prossimi dalla Palestina, le strutture cattoliche si rifiutano di consegnarli. Ne nasce un processo tra lo stato francese e gli istituti religiosi con tanto di condanna. A quel punto anche il Papa è costretto ad acconsentire che tornino dai loro parenti. Quello che invece succede a Roma è ancora oggi oggetto di studio. Molti ebrei, bambini o adulti, si rifugiano nei conventi, ma non vuol dire che siano stati forzati al battesimo, certo ci sono stati casi in cui la Chiesa negli anni ’50 si rifiuta di restiturili, ma tutto questo cambia negli anni ’60 con il Concilio Vaticano Secondo e l’enciclica Nostra Aetate.

La vicenda dei battesimi forzati ha sempre spaccato il mondo cristiano ed ebraico perché il cattolicesimo ha sempre avuto una visione proselitistica ossessiva. Approfittare dell’uscita di un film per giustificare quello che è successo secoli fa significa portare un colpo mortale al dialogo interreligioso riaprendo una ferita molto forte. Quello che è successo si deve condannare e basta e non si possono trovare giustificazioni.

Copyright dell’immagine: Shalom