19 Gennaio 2022

Massimiliano Boni, «In questi tempi di fervore e di gloria». Vita di Gaetano Azzariti, magistrato senza toga, capo del Tribunale della razza, presidente della Corte costituzionale, Bollati Boringhieri, Torino, 2022

Fonte:

Il Mattino

Autore:

Ugo Cundari

Azzariti, il magistrato che odiava gli ebrei

Boni ricostruisce la storia del legislatore di Mussolini artefice delle leggi razziali, che dopo la guerra si riciclò con Togliatti Napoli gli aveva dedicato una strada ma poi il suo nome è stato sostituito con quello di una bimba deportata ad Auschwitz

Uomini tutti d’un pezzo, fieri, professionisti stimati, di colpo vogliono dimostrare di essere «figli di puttana». Al diavolo l’onore, la sacralità materna e l’orgoglio paterno. Per salvarsi bisogna essere figli adulterini, e dimostrarlo con le carte. Succede in Italia, nel ’39, agli ebrei perseguitati che vogliono abolire la loro identità. Per farlo si rivolgono ad avvocati corrotti in grado di istruire le «giuste» pratiche presso il Tribunale della razza. Il suo presidente è il napoletano Gaetano Azzariti, assurto a questa «nobile» carica dopo essere stato legislatore di fiducia di Mussolini, direttore per vent’anni dell’ufficio legislativo al ministero della Giustizia e coautore delle leggi razziali. A raccontare la vita di questo «volenteroso carnefice» del Duce, grazie a documenti inediti, è Massimiliano Boni, consigliere della Corte costituzionale, autore di In questi tempi di fervore e di gloria (Bollati Boringhieri, pagine 392, euro 26), puntando l’obiettivo su un napoletano non proprio eccellente. Prima gli studi in collegio, poi nel 1898 quelli in giurisprudenza seguendo le lezioni di Enrico Pessina in Diritto penale, di Federico Persico in Diritto amministrativo, di Giorgio Arcoleo in Diritto costituzionale, «esponenti di spicco dell’intellighenzia meridionale, sinceri patrioti costretti all’esilio o alla prigionia nel crepuscolo dei Borbone». Più di tutti, Azzariti si lega al pisano Lodovico Mortara, docente di Procedura civile, che lo prende a ben volere e lo aiuta ad andare via da Napoli. Perché Azzariti sarebbe dovuto rimanere nella città dove è nato, nel 1881, e intraprendere, secondo le aspettative della madre, una carriera da libero professionista, così da assistere la sorella più grande vedova e malata. Insomma Azzariti è destinato a lavorare in città e fare il buon samaritano sacrificandosi per tutta la vita. E invece «si affretterà ad andare via da Napoli e a non tornarci mai più. Studia e si rende conto di avere grandi capacità. Più si avvicina alla laurea e più elabora un progetto diverso da quello che sua madre gli ha preparato. Napoli non gli ha mai regalato gioie». A Roma diventa magistrato e fascista convinto, fa carriera al ministero di Grazia e Giustizia assumendo incarichi sempre più delicati, fino, come detto, a contribuire a redigere le leggi razziali del ’38 e arrivando l’anno dopo alla presidenza del tribunale che decide se un ebreo può comprare la cancellazione della sua identità e arianizzarsi. Lo guiderà fino al ’43, quando non sarà più attivo. Antisemita convinto, in un discorso del 28 marzo 1942, scrive compiacendosi come «l’egualitarismo dominante (…) senza differenza di età di sesso di religione o di razza», non sia più «una specie di dogma indiscutibile»: col fascismo «ora è relegato in soffitta». E afferma che «la diversità di razza è ostacolo insuperabile alla costituzione di rapporti personali, dai quali possano derivare alterazioni biologiche o psichiche alla purezza della nostra gente». Eppure la fine del regime non lo porta via con sè. È ministro nel governo Badoglio per 45 giorni; nel 1945 è sottoposto a procedimento d’epurazione. Dopo la caduta del regime Azzariti per un po’ esce di scena, scrive articoli giuridici e «si rifà una verginità». Se qualcuno chiede la sua testa, si scontra contro un muro di gomma. «Nessuno ha interesse a toccarlo. Le forze più conservatrici e moderate vedono in lui un galantuomo liberale espressione di quella nomenclatura che negli anni del fascismo era sdrucciolata in compromissioni, piaggerie o vere adesioni; quelle più progressiste ritengono controproducente spaventare o scontrarsi con i poteri costituiti, in particolare la magistratura». Togliatti, da ministro della Giustizia nel ’46, ne fa il suo braccio destro e lui contribuisce a scrivere l’amnistia per i reati fascisti. Tornato giudice rispettabile, Azzariti nel 1956 è nominato giudice costituzionale, l’anno dopo diventa presidente della Corte costituzionale, rimanendo in carica fino alla morte a 80 anni, per broncopolmonite, il 5 gennaio 1961. Il racconto del funerale, degli onori ricevuti e delle alte cariche presenti, dimostra quanto la memoria degli italiani per decenni sia stata, per convenienza, corta, e che tanti si sono salvati per raccomandazioni, amicizie importanti, legami politici, appartenenza a caste intoccabili. Per fortuna Napoli, dopo avergli dedicato tra gli anni Sessanta e Settanta una lapide e una strada, si è svegliata, tardi ma si è svegliata. Nel 2015 via Azzariti è stata ribattezzata via Luciana Pacifici, bambina napoletana ebrea di otto mesi, deportata e morta nel ’44 mentre era in viaggio su un vagone piombato diretto ad Auschwitz. Rimossa anche la lapide apposta sulla facciata di palazzo Spinelli in via Santa Maria di Costantinopoli dove era nato Azzariti, che per ironia della sorte è seppellito al Verano di Roma in un lotto vicino al reparto israelitico.