22 Novembre 2021

Luigi Manconi commenta la nuova «mappa dell’intolleranza» curata da Vox, Osservatorio italiano sui diritti

Fonte:

La Stampa

Autore:

Luigi Manconi

Il giacimento sommerso dell’odio

I due fatti sono in apparenza assai diversi e, tuttavia, non è arbitrario rintracciare un possibile nesso, che rimanda a un interrogativo inquietante. Oggi viene resa pubblica la «mappa dell’intolleranza», curata da Vox, Osservatorio italiano sui diritti, che registra le dinamiche e i bersagli dei discorsi d’odio per come circolano, lutulenti, sul web. La scorsa settimana una delegazione dell’associazione Antigone ha visitato la cosiddetta «articolazione psichiatrica» del carcere di Torino, dove si trovano una quindicina di detenuti che presentano disturbi psichici. Il quadro descritto è drammatico: condizioni inumane di vita, assis tenza sanitaria disastrosa, ricorso massiccio agli psicofarmaci. E poi: nessun progetto di cura specialistica e nessuna personalizzazione dell’intervento terapeutico. Ricordato questo, ecco la domanda: c’è una relazione tra il diffondersi dell’intolleranza mediatica e digitale e lo stato di abbandono in cui si trovano le persone con disagio mentale dell’istituto torinese? Temo che un qualche rapporto – certo non meccanico e non immediato – esista. Fatta salva la incondizionata libertà di espressione e, dunque, di manifestazione della parola, anche la più spregevole, – quando non sia istigazione all’azione violenta – è indubbio che si assista a un generale incattivimento del sentimento collettivo. Una sorta di degradazione di tutte le forme della comunicazione umana, percorse da pulsioni di rivalsa, di rancore, di vendetta. Ed è malinconicamente interessante notare come queste manifestazioni di violenza verbale – è il caso dell’antisemitismo – tendono ad accentuarsi in coincidenza con quelle date commemorative e con quelle lezioni etiche, finalizzate ad affermare i valori della democrazia e della convivenza civile. Quasi che l’odio fosse un nervo scoperto, un sordido giacimento sommerso, pronto a reagire e a esplodere ogni volta che lo si voglia contestare a viso aperto. Ciò è altrettanto significativo per quanto riguarda il bersaglio principale della violenza online: le donne. Anche in questo caso, l’aggressività misogina è tanto più efferata quanto più il protagonismo femminile tende ad affermarsi. Non a caso «la più odiata» su twitter è Giorgia Meloni, che assomma all’ostilità per la sua fisionomia politico-culturale quella, generica e indistinta, che colpisce l’intera politica come attività pubblica. A quest’ultimo flusso di odio hanno contribuito, in maniera determinante, la pandemia e i suoi effetti sociali. La voglia di rivalsa come sempre più potente motivazione dell’agire ha trovato nel Covid l’occasione per emergere, il discrimine attorno al quale selezionare gli amici (pochi) e i nemici (molti) , il senso di identità in cui riconoscersi e in cui riscattare frustrazioni e angosce, una volta che le precedenti forme di identità risultano consunte. Si può dire che tutto ciò connota da sempre le nostre società, ma l’abnorme dilatazione-spettacolarizzazione, determinata da internet, altera il fenomeno, lo rende onnipervasivo e trasforma quello che era un ordinario astio domestico e un rabbia da bar in un dirompente flusso di comunicazione, insidioso e penetrante. Non solo: in una eccitata «follia di sincerità» e in una stucchevole retorica di «verità», col pretesto di dire pane al pane vino al vino, si può – con una certa serenità – riprendere a chiamare froci i froci e negri i negri. *** E, così, ci si può immaginare perfino come eroici combattenti della strenua lotta contro il «politicamente corretto». Se tutto questo è vero, è inevitabile che ne discenda, come tratto generale della nostra organizzazione sociale, un progressivo decadimento del sentimento dell’altro, della sua vulnerabilità, della sua sorte di prigioniero, infermo, profugo, folle, naufrago. Ed è altrettanto inevitabile che aumenti il numero dei luoghi dove vengono depositati, per consegnarli alla cronicità e all’oblio, i corpi di quanti sono considerati niente più che scarti. Come la sezione Sestante della «articolazione psichiatrica» del carcere di Torino.