27 Novembre 2023

La lettera aperta di Keshet Italia: «Noi siamo per due popoli e due Stati ma non possiamo accettare questi pregiudizi antisemiti»

Può il movimento Lgbtq+ che da sempre predica l’inclusione lasciare che alcuni suoi esponenti manifestino sentimenti antisemiti?

A fine ottobre a Bologna durante una manifestazione di solidarietà con la Palestina, alcuni gruppi Lgbtq+ gridavano «dal fiume al mare la Palestina sarà libera» e questo non è stato l’unico evento in cui sigle appartenenti al movimento, anche sui social, si sono prodotte in una unilaterale condanna di Israele, accusandolo di «genocidio» e di occupare una terra non sua. Azioni che non sono affatto piaciute a Keshet Italia, l’unica organizzazione italiana ebraica Lgbtqia, che in un comunicato, sottolinea che «data la natura composita e diversificata della nostra comunità in termini di esperienze, sensibilità e opinioni, è essenziale evidenziare che le organizzazioni coinvolte in tali manifestazioni lo fanno a titolo individuale e in base alle loro opinioni sulla politica estera, senza rappresentare l’intera realtà Queer». Una lettera aperta che, con toni molto garbati, giudica inopportuno «l’uso del nome della collettività Lgbtqiak+ in contesti non specificatamente legati ai temi delle sue rivendicazioni».

Raffaele Sabbadini, presidente di Keshet Italia, è visibilmente turbato: «In quelle manifestazioni si è gridato “Incontrerete Hitler all’inferno”, e nessuno ha mai condannato l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, quei morti non vengono mai nominati, non mi è certo sembrato un atteggiamento in linea con lo spirito del nostro movimento. Cantare “dal fiume al mare la Palestina sarà libera” vuol dire volere il genocidio degli ebrei che in Israele rappresentano l’80% della popolazione».

Colpisce anche la mancata conoscenza della realtà israeliana, nello Stato ebraico c’è grande rispetto per le persone queer che hanno gli stessi diritti delle persone e coppie etero. «Le persone Lgbtqiak+ palestinesi cercano rifugio nello Stato ebraico perché altrimenti rischiano carcere o la vita, possibile poi che si parli di Israele come un’entità da distruggere senza fare alcuna differenza tra governo e Stato? Noi siamo per due popoli e due Stati ma non possiamo accettare questi pregiudizi antisemiti».

Nella lettera aperta Keshet sottolinea come questo atteggiamento rischi «di incrementare i casi di antisemitismo che stanno avendo una grande impennata dopo il 7 ottobre e di far sentire esclusi e abbandonati dalla loro stessa comunità le persone ebree Lgbtqiak+ così come coloro che hanno opinioni diverse sulle manifestazioni. L’auspicio è quindi che si sollevi una condanna unanime di questi avvenimenti da parte dell’intero movimento». «È fondamentale aprire un ampio dibattito all’interno del movimento perché luogo comune per alcuni non considerare le persone ebree come una minoranza svantaggiata colpita da antisemitismo, ma avvalersi dei più antichi stereotipi antisemiti che la dipingono detentrice di un presunto privilegio ebraico». Ora l’auspicio è che le organizzazioni nel movimento prendano una posizione netta.

Fonte dell’immagine: Corriere