10 Gennaio 2014

Interviste a Marek Halter e Tahar Ben Jelloun sugli spettacoli antisemiti di Dieudonné

Fonte:

la Repubblica

Autore:

Pietro Del Re, Alix Van Buren

Marek Halter: “Gli antisemiti vanno fermati”

“Una scelta giusta perché anche le parole possono uccidere”

Il suo era un pubblico stanco finchè non ha iniziato a scherzare sulle camere a gas

marek_halter

MAREK Halter, è tutto lecito in democrazia?

«Le parole possono creare speranza, ma anche uccidere. La democrazia non significa poter esprimere ogni cosa. Se qualcuno dice “Io detesto i negri”, bisogna fermarlo. Perché quella frase può cadere nelle menti sbagliate, pub germogliare e creare altro odio. Fino al giorno in cui qualcuno ammazzerà un “negro”. Quando si urla nel vuoto c’è sempre il rischio che un pazzo, un criminale o un idiota raccolga l’urlo sbagliato».

I tabù possono quindi essere sacrosanti?

«Certo. È ovviamente lecito pensare e dire in privato ciò che si vuole, ma se in mezzo alla strada qualcuno predica la morte di un ebreo, di un fascista o un arabo, bisogna fermarlo e sanzionarlo».

Come spiega il fenomeno Dieudonné?

«Per capirlo basta rileggere “L’infanzia di un capo” di Jean-Paul Sartre, in cui si narra di un personaggio squallido, triste, al quale un giorno viene in mente un’idea geniale, quando comincia a dire: “Io odio le patate e odio gli ebrei”. Da quel giorno, molti si accorgono di lui. Ecco, Dieudonné, che stava per essere spazzato dall’indifferenza di un pubblico stanco, ha cominciato a scherzare sulle camere a gas e sulla Shoah».

Come giudica l’intervento del ministro dell’Interno francese, Manuel Valls?

«Con Valls ho parlato due giorni fa, e lui teme la velocità della comunicazione di massa. Ha deciso di fermare il flusso. Molti anni fa Willy Brandt mi spiegò: “Non creda che Hitler conquistò la Germania perché nel 1933 c’erano molti nazisti che lo sostenevano. La conquistò perché non c’erano abbastanza democratici”. Vede, se i russi sputano sulle tombe dei ceceni, gli americani su quelle degli afgani, e via elencando, che cosa resterà di noi? Dove finirà l’umanità? Finirà in un pozzo nero».

Tahar Ben Jelloun: “Il governo non doveva intervenire”

“Proibire è un errore adesso diventerà ancora più popolare”

Bisogna applicare lo stesso principio invocato per le vignette satiriche di Maometto

TaharBenJelloun

«DIEU DONNE’ starà fregandosi le mani dalla soddisfazione. Non aspettava altro: l’interdizione del suo spettacolo da parte di un ministro di Stato». Tahar Ben Iena un, primo premio Goncourt mai assegnato a un autore marocchino, in prima linea da decenni nel gettare ponti fra culture diverse, nel censurare il razzismo, giudica «grave, anzi gravissima» la decisione di Valls, il ministro dell’Interno.

Professore Ben Jelloun, il governo parla di”vittoria della Repubblica”. E invece, a suo avviso che risultato avrà?

«Otterrà come effetto l’esplosione della popolarità di Dieudonné: se finora l’umorista aveva centinaia di spettatori, ora ne avrà migliaia. I suoi filmati suYoutube già sono visti da oltre un milione di persone. Si pub dire che oggi il governo francese ha fatto nascere un fenomeno chiamato Dieudonné. E stato un gravissimo errore politico».

Che fenomeno è Dieudonné?

«È molto difficile classificarlo: lui si professa anti-sionista e non anti-semita, ma per larga parte della stampa e degli intellettuali in tvidue termini si equivalgono. Lui s’è imposto come umorista in coppia con mie Semoun, un comico ebreo. Poi i due si sono separati, sono iniziate le scaramucce. Dieudonné usa un linguaggio di odio, però i suoi propositi non sono mai del tutto chiari. Per questo oggi nasce un caso politico. Basta ascoltare i ragazzi delle periferie francesi».

Come reagiscono?

«Tracciano un parallelo con la pubblicazione delle vignette satiriche, l’insulto al profeta Maometto e ai musulmani. La scelta fu difesa in Francia nel nome della libertà d’espressione. Ritengono che Dieudonné sia sanzionato solo perché critica Israele. Una questione politica, insomma. Sotto un certo profilo hanno ragione: la libertà d’espressione de’evalere per tutti. Poi intervengano i giudici: spetta a loro, non al governo, il compito d’infliggere una punizione».