14 Novembre 2016

Intervista all’avvocato tedesco che ha denunciato Facebook per non avere rimosso documenti razzisti

Fonte:

www.lastampa.it

Autore:

Andrea Nepori

L’avvocato tedesco che ha denunciato Facebook: “Non rimuove i post razzisti per suo interesse”

Parla Chan-jo Jun, che con la sua azione legale ha fatto mettere sotto inchiesta Mark Zuckerberg per incitamento all’odio razziale in Germania

Monaco. Mentre qualcuno si chiede se Facebook non sia da ritenere, in parte, responsabile di aver diffuso notizie false su Hillary Clinton, favorendo l’elezione di Trump, il social network ha ben altri problemi nel Vecchio Continente. Mark Zuckerberg, la responsabile delle operazioni Sheryl Sandberg, il capo della policy europea Richard Allan e altri top manager di Facebook sono sotto inchiesta in Germania per il reato di incitamento all’odio razziale. L’accusa è quella di non aver agito in maniera efficace contro la diffusione di contenuti razzisti, xenofobi e antisemiti sulle bacheche e nei gruppi del social network. Le indagini preliminari avviate dalla procura di Monaco dovranno determinare se l’omesso controllo dei contenuti razzisti segnalati dagli utenti possa configurarsi come reato.

L’azienda non vuole commentare l’indagine nel merito. Un portavoce ci ha tuttavia riferito che «le accuse sono infondate e non vi è stata alcuna violazione della legge tedesca da parte di Facebook o dei suoi dipendenti. Non c’è spazio per l’odio su Facebook. Altre indagini simili sono già state archiviate in passato». L’avvocato Chan-jo Jun, autore della denuncia che ha innescato l’indagine, non è d’accordo: secondo lui Facebook, pur avendo le possibilità di agire più efficacemente, non sta facendo abbastanza per rispettare le leggi tedesche.

Pochi mesi fa, durante la sua visita a Berlino, Mark Zuckerberg aveva rivelato che in Germania lavora un team di 200 persone per filtrare contenuti razzisti. Cosa pensa di questa iniziativa? 

Facebook è sempre stata in grado di rispondere velocemente ma con una scarsa qualità. Questo aspetto non è migliorato in maniera significativa. Quando a settembre abbiamo segnalato contenuti che ritenevamo illegali, meno del 15% è stato rimosso alla prima notifica. Giusto di recente ho segnalato un’inserzione pubblicitaria per un negozio online di marijuana, una per lo shop di armi illegali Migrantenschrek (letteralmente “scacciamigranti”, è un ecommerce russo in lingua tedesca che vende scacciacani e altre armi a salve, nda) e un gruppo a favore dell’incesto. Nessuno di essi viola gli Standard della comunità.

È un problema di policy interne, quindi, o secondo lei c’è di più? 

Quando il Policy Manager di Facebook Richard Allan è stato messo di fronte alla cancellazione dei contenuti sbagliati da parte del team di controllo, ha detto che i responsabili avrebbero meritato il licenziamento. Io credo invece che il lavoro venga svolto secondo le direttive e che siano proprio queste ultime a richiedere una revisione. Quando ho chiesto a un avvocato di Facebook perché i suoi clienti continuassero a pubblicare contenuti evidentemente illegali, la sua risposta è stata: “Non sempre seguono le nostre raccomandazioni”. Facebook non è impossibilitata a soddisfare le richieste, semplicemente non lo vuole fare.

Quindi i metodi usati da Menlo Park per filtrare i contenuti illegali sarebbero volontariamente fallati? 

Sì. È chiaramente una scelta del management di Facebook, che in Turchia soddisfa le richieste più assurde delle autorità, mentre in Germania no.

Secondo lei perché? 

Il motivo è che non c’è stata sufficiente pressione contro l’azienda in Germania. Il Ministro della Giustizia, Heiko Maas, sta ancora offrendo un periodo di adeguamento per apportare cambiamenti volontari alle pratiche di controllo dei contenuti illegali.

I risultati di uno studio condotto dai ricercatori del ministero della Giustizia tedesco mostrano che Facebook cancella in media solo il 47% dei contenuti razzisti segnalati dagli utenti. Twitter, contro cui tuttavia non è in corso alcuna indagine, ha ottemperato alle richieste solo nell’1% dei casi. Perché prendersela solo con Facebook? 

Ci siamo concentrati su Facebook perché non abbiamo abbastanza risorse per provare a perseguire anche Twitter e Google. E va considerato che l’impatto di Facebook è largamente superiore: si ricordi che movimenti xenofobi come Pegida sono emersi da gruppi Facebook.

Qualche giorno fa il Guardasigilli parlava di ulteriori controlli da condurre nei prossimi mesi. Poi però è arrivata la notizia dell’indagine della Procura di Monaco. Come mai questo improvviso giro di vite? 

Nulla di improvviso. Appena resosi conto che i risultati del suo studio non erano soddisfacenti, Maas ha fatto sapere che gli sforzi fatti per limitare i contenuti illegali non stavano rispettando le promesse delle aziende. Va considerato che lo stesso ministro è sotto pressione, perché altri politici come Volker Kauder (CDU) e Winfried Bausback (CSU) stanno perdendo la pazienza.

Perché avete denunciato Mark Zuckerberg, un cittadino americano, per reati potenzialmente commessi in Germania da una filiale della sua azienda? 

Quando non è chiaro chi sia la persona responsabile di un reato all’interno di un’azienda è pratica comune partire dal CEO per poi scendere lungo la scala gerarchica. Lo stesso principio è stato applicato nei casi contro Volkswagen e Deutsche Bank. Non abbiamo fatto il nome solo di Zuckerberg ma anche di altre figure rilevanti, come Siobhan Cummiskey, che è una semplice Policy Manager ma ha spiegato il lavoro di Facebook alla stampa lo scorso anno. Altri manager vivono e lavorano in Germania, così come i 200 dipendenti del team di Berlino.

Si può tracciare un parallelo fra questo caso e quello di Diego Dzodan, il manager di Menlo Park arrestato in Brasile dopo che l’azienda aveva rifiutato di decifrare i messaggi Whatsapp di un sospettato in un caso d’omicidio? 

Non credo, non per il caso attuale. Per un incensurato la carcerazione è improbabile, se prova di aver agito in buona fede. Se tuttavia le pratiche illegali continueranno, non escludo che in futuro degli arresti siano possibili. Per il favoreggiamento all’odio razziale la legge prevede fino a cinque anni di carcere. Sarebbe tuttavia considerato un atto estremamente ostile e non credo che il sistema giudiziario tedesco potrebbe svincolarsi dalle eventuali implicazioni politiche.

Pensa che questo caso possa diventare un precedente a livello internazionale? 

Non sarebbe legalmente vincolante per altri Paesi, ovviamente, tuttavia è un ottimo caso di studio per rispondere alla domanda “possiamo costringere Facebook ad adattarsi alle leggi locali?”. Se la Germania avrà la meglio, sono sicuro che altre nazioni seguiranno l’esempio. Una denuncia analoga alla nostra è già stata depositata in Austria la scorsa settimana.

Cosa dovrebbe fare Facebook per liberarsi dalle attuali accuse? 

Semplicemente rispettare la legge tedesca. Ebay e Amazon hanno adeguato il proprio business model alle regole dei paesi in cui operano. Non c’è nessuna ragione per cui Facebook non possa fare lo stesso.