30 Maggio 2019

Intervista al Rabbino Capo Di Segni sulla vandalizzazione delle pietre di inciampo

Fonte:

Corriere della Sera

Autore:

Fabrizio Caccia

«Provocazione studiata C’è un’ondata di odio che bisogna arginare»

Il rabbino capo Di Segni: «Agghiacciante»

ROMA «Non è un atto vandalico, è una provocazione…», dice Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità ebraica di Roma.

Sta pensando a qualcosa di molto preciso, non è vero?

«Certamente. Sto pensando al luogo scelto da questa gente per fare ciò che ha fatto: via della Reginella non è una via qualsiasi, ma un luogo chiave della deportazione degli ebrei di Roma. Tenete conto che non ci fu solo il rastrellamento del 16 ottobre del 1943, ma anche dopo quel giorno i nazisti continuarono a portare via da h tante persone».

«Gli assassini tornano sempre sul luogo del delitto», così recita quella scritta in tedesco con cui hanno coperto una delle pietre d’inciampo.

«Appunto. E agghiacciante».

Via Reginella è anche la strada dove fino a due anni fa c’era il Circolo dei ragazzi del `48, quello dei cosiddetti «combattenti del Ghetto», quelli che negli anni aspettavano al varco i fascisti che arrivavano da piazzale delle Muse in cerca di guai…

«Non c’è dubbio. Via della Reginella è tutto questo».

Lei pensa dunque che si tratti soltanto di una provocazione, seppur minacciosa, inquietante. O c’è anche dell’altro?

«Io non lo so. Ma come avranno fatto? Quelle sono strade sempre sorvegliate, monitorate dalle forze dell’ordine. Per questo dico che non può essere stato un semplice atto vandalico ma un’azione studiata, premeditata. E a preoccuparmi, perciò, è ben altro».

Vuole dire?

«Mi preoccupa questo vento strano che soffia in giro e che bisogna assolutamente bloccare. Bisogna rafforzare la vigilanza, arginare in tutti i modi quest’ondata di odio che permette anche al razzismo più becero di manifestarsi».

Non è la prima volta che le pietre d’inciampo vengono profanate qui a Roma. Furono imbrattate già a Monteverde quelle che onoravano i parenti di Piero Terracina, sopravvissuto al campo di Auschwitz. Ne ricordiamo altre addirittura divelte a Campo de’ Fiori…

«Se è per questo, ne furono sottratte alcune in via Cavour».

Ogni pietra ricorda una persona che non è più tornata.

«Questo sì che è importante: ricordare, custodire le individualità di tutte le persone che sono morte ad Auschwitz, alle Fosse Ardeatine. Io oggi conosco i loro discendenti, i loro parenti. Ed è questo il dovere della memoria, il nostro dovere: non permettere che quelle persone di cui ci parlano oggi le pietre diventino mai dei numeri».

Cosa dirà, dopo un fatto del genere, alla Comunità di Roma, nella vostra prima occasione d’incontro?

«La prima occasione sarà domani sera (stasera, ndr) nella sinagoga di via Balbo. Ci sarà una cerimonia per ricordare in data ebraica la vittoria sul nazifascismo nella seconda guerra mondiale».

E quali saranno le sue prime parole?

«Dirò che la lotta, purtroppo, non è ancora finita».