25 Ottobre 2017

Intervista al professor Alberto Cavaglion sugli episodi di antisemitismo allo stadio Olimpico di Roma

Fonte:

Avvenire

Autore:

Alessandro Zaccuri, Alberto Cavaglion

Cavaglion: «L’odio antisemita solo una parte del problema»

Per lo storico dell’ebraismo il razzismo verso migranti e minoranze è altrettanto diffuso e preoccupante «Sono capri espiatori»

AIberto Cavaglion è amareggiato, ma non sorpreso. «Per rendersi conto dell’imbarbarimento della società non occorre andare allo stadio – commenta -. Basta prestare ascolto ai discorsi che si sentono per strada oppure in autobus». Docente di Storia dell’ebraismo all’Università di Firenze, Cavaglion è un’autorità riconosciuta sulle vicende della Shoah e, in particolare, sull’opera di Primo Levi: oggi alle 17,30 toccherà a lui, insieme con Paola Valabrega, l’onore di tenere l’ormai tradizionale “Lezione Primo Levi” nell’Aula magna dell’Università di Torino. Il tema scelto quest’anno è il rapporto fra l’autore di “Se questo è un uomo” e il sacro.

Professore, che idea si è fatto del caso di Roma?

Non molto consolante, purtroppo. Più passa il tempo, più la mia impressione è che l’antisemitismo sia solo una parte del problema. La più vistosa, in un certo senso, e anche quella che provoca le reazioni più immediate. Non per questo, però, si possono trascurare le altre manifestazioni di rabbia sociale che affiorano sempre più spesso sotto forma di pregiudizio, intolleranza, insulto. L’odio contro gli ebrei fa ancora notizia, d’accordo, ma non è che il razzismo verso i migranti o verso le altre minoranze sia meno preoccupante, né meno diffuso.

Come se lo spiega?

Con gli esiti della crisi economica, almeno in parte. Nel momento in cui si ha la sensazione che la propria sicurezza sia messa a repentaglio, ci si accanisce contro chi si considera “diverso”, trasformandolo nel capo espiatorio di ogni inquietudine. Tutto questo, purtroppo, va di pari passo con un incattivimento complessivo della società, che si esprime a ogni livello, dal dibattito politico ai talk show televisivi, fino al linguaggio comune, sempre più dominato da un’aggressività inimmaginabile fino a poco tempo fa. Resto sempre turbato dalla leggerezza con cui oggi si ricorre alle male parole contro tutti e contro tutto.

Eppure negli ultimi anni si è fatto molto, specie nella scuola…

Questo è indiscutibile, ma devo ammettere, con rammarico, che il risultato non è stato pari allo sforzo. Penso alle attività in occasione della Giornata della Memoria, alle quali anch’io ho partecipato spesso e, almeno all’inizio, con grande entusiasmo. Ecco, quando accadono episodi come quello dello Stadio Olimpico non riesco a scacciare il dubbio che non sia più questa la strada da percorrere.

Perché ?

Perché il divario tra scuola e società è diventato troppo ampio e gli insegnanti hanno perso molta della loro capacità di incidere sulla mentalità degli studenti. Al di là delle buone intenzioni e perfino della competenza specifica, sia chiaro. Ma viene il sospetto che si sia creato un effetto di saturazione del quale il caso di Roma potrebbe costituire, in qualche misura, una conferma.

In che senso?

La vera novità che si è registrata domenica consiste nell’impiego in senso antisemita di un’immagine ben riconoscibile, e non generica come potrebbe la solita caricatura di un rabbino. Su quelle figurine è stato riprodotto il volto di Anna Frank, che tutti o quasi sono in grado di riconoscere per via di qualche lettura scolastica più o meno obbligatoria, più o meno remota. È un effetto tanto più terribile quanto più paradossale, che ci obbliga a riflettere. Anche perché, prima ancora di essere una vittima della Shoah, Anna è una ragazzina, una persona con la sua storia, la sua innocenza, la sua ineliminabile dignità.

L’alternativa quale sarebbe?

Domanda impegnativa, alla quale provo a rispondere dando voce a una sensazione del tutto personale. A questo punto, forse,ci sarebbe bisogno di una pausa di riflessione che coinvolga la scuola, gli intellettuali e, in generale, quanti hanno responsabilità nel campo dell’educazione e dell’informazione. Dovremmo avere il coraggio di abbassare i riflettori e di tornare a concentrarci sulla nuda successione dei fatti, rinunciando a molta dell’emotività che si è accumulata in questi anni.

C’è la necessità di individuare nuovi strumenti di sensibilizzazione?

Credo di sì, sinceramente. Quelli di cui ci siamo serviti finora non hanno nulla di sbagliato in sé, ma non tengono più conto dei cambiamenti, drammatici, che si sono verificati nella nostra società.