17 Luglio 2013

Intervista a Riccardo Pacifici – presidente della Comunità ebraica di Roma – sull’odio diffuso attraverso Internet

Fonte:

Corriere della Sera

Autore:

Andrea Garibaldi

Pacifici: chi propaga odio deve pagare Pene più dure anche per i reati online

Le scuse Francia, Germania e Belgio hanno chiesto scusa per l’Olocausto. Da noi non è mai successo

ROMA — Era il 13 di giugno, poco più di un mese fari ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge visitò la Sinagoga di Roma. Poche ore prima un’esponente della Lega Veneta aveva detto a proposito di lei: «Mai nessuno che se la stupri…». Riccardo Pacifici, presidente della Comunità degli ebrei di Roma, ha ripensato a quella sera nel Tempio, dopo che alla Kyenge hanno detto «orango»: «Lo so, esistono anche (pochi) storici ebraici che in nome della libertà di espressione sono contrari al reato di odio razziale, etnico o religioso…».

Lei invece è per una legge più dura. Non pensa che sia meglio prevenire, costruire un senso comune che rifiuta queste impostazioni?

«Penso che chi usa la democrazia per propagare odio, oppure chi utilizza la libertà di espressione per smentire che siano esistite camere a gas nei campi di sterminio, debba essere fermato».

In Italia c’è la «legge Mancino».

«Gli episodi che continuano a succedere impongono che le pene previste da quella legge vengano aumentate. C’è una decisione del Consiglio dell’Unione Europea del 2008 che quattordici Paesi europei (Germania, Austria, Francia, Belgio e altri) hanno recepito. L’Italia no».

Come andrebbero aumentate le pene?

«La legge Mancino prevede un anno per odio razziale, la decisione europea arriva fino a tre anni. E poi si tratta di adeguare la nostra legislazione ai tempi. Nel 1993 il ministro Mancino non poteva considerare cosa sarebbe diventato il cyber crime».

Lo stesso ministro Kyenge ha detto di ricevere quotidiane minacce di morte online.

«Bisogna poter colpire in modo netto chi si muove nel web per offendere, minacciare, diffondere menzogne storiche. Oggi molti siti sono basati in Iran o in alcuni Stati degli Stati Uniti e approfittano di una legislazione poco chiara. Ci deve essere invece la possibilità di oscurare subito i siti che violano certe regole. Come si fa con la pedopornografia».

Di queste nuove norme si parla da tempo.

«Abbiamo cominciato con Alfano, quando era ministro della Giustizia, nel 2011. Poi, nella scorsa legislatura, Monti promise che la nuova legge sarebbe stata approvata entro i127 gennaio 2013, Giornata della memoria. II ministro Riccardi si è molto impegnato».

Non ce l’ha fatta.

«No. Ora su iniziativa dei senatori Amati (Pd) e Malan (Pdl), con l’appoggio di parlamentari di Scelta civica, Sel e Movimento 5 Stelle, una proposta di legge è in Senato. Prevede la reclusione fino a tre anni per chi nega genocidi, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, per chi propaganda odio razziale, etnico o religioso, per chi incita a commettere atti di discriminazione anche con mezzi informatici».

Lei vorrebbe che i tempi fossero rapidi.

«Faccio un pubblico appello affinché la nuova legge venga approvata prima del 16 ottobre prossimo, quando cadrà il settantesimo anniversario della deportazione degli ebrei romani. Un minuto dopo la promulgazione della legge il ministro dell’Istruzione avrebbe — per esempio — più possibilità per intervenire nei confronti di un docente di scuola superiore come il veneto Franco Damiani, che ha negato l’Olocausto».

Ma in Italia c’è più razzismo che altrove? La ministra Kyenge giura di no.

«Sono con lei. Nonostante tutto, non credo ci sia pari mobilitazione nel mondo. Non esiste scuola di ogni ordine e grado che non si mobiliti sui temi della memoria, che non inviti gli ultimi sopravvissuti dei campi di stermini, Piero Terracina, Sami Modiano… Ciò che è mancato finora in Italia è altro».

Cosa?

«Chirac chiese scusa per il rastrellamento di tredicimila ebrei al velodromo d’inverno a Parigi, nel luglio 1942. Germania e Belgio hanno chiesto scusa per l’Olocausto. Da noi non è mai successo: per l’equivoco di aver cominciato la guerra da una parte e averla finita da un’altra. Io confido che anche questo vuoto sarà presto colmato».