11 Marzo 2014

Intervista a Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane – UCEI, sui cori antisemiti di domenica allo stadio di Torino

Fonte:

Corriere dello Sport Stadio

Autore:

Ettore Intorcia

“Fermare l’emulazione e punire i veri colpevoli”

Il presidente Gattegna: “Fenomeno dilagante, i giovani incoscienti seguono capi ideologizzati. E si banalizzano anche le tragedie”

Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane: avete denunciato i cori antisemiti di domenica a Torino, non si tratta purtroppo di una novità in Italia.

“Sta diventando un’abitudine abbastanza diffusa in diverse città, il fenomeno non tende affatto ad esaurirsi ma, anzi, sta dilagando. Siamo preoccupati e per diversi motivi”.

Quali?

“Riteniamo che razzismo e ideologie estremiste che vengono introdotte negli stadi vadano a coinvolgere giovani che non sempre sono preparati per giudicare la gravità di queste manifestazioni. L’impressione è che venga utilizzata l’apparenza sportiva e ludica del calcio per far passare messaggi subliminali, ma anche molto espliciti, per banalizzare il razzismo”.

Emulazione e relativizzazione, dunque

“Dagli stadi arriva un esempio diseducativo: il razzismo passa per una cosa divertente, perdendo di vista le conseguenze che ha sempre avuto nella storia dell’umanità. Ci sono capi ben coscienti di quello che fanno e una moltitudine poco preparata che segue supinamente l’incitamento a pronunciare questi slogan, forse senza rendersene conto. Va fatta un’opera di educazione più profonda di quanto fatto fino ad oggi, soprattutto tra i giovani”.

Quali strumenti mettere in campo per debellare il fenomeno?

“Sarebbe molto importante togliere a queste persone la tranquillità di essere inclusi in una massa che pub garantire l’anonimato. Si è visto anche in Inghilterra: da quando il pubblico è identificabile attraverso sistemi di tesseramento, certi fenomeni si sono attenuati o sono completamente scomparsi”.

E’ un fenomeno nuovo per Torino? E nel resto d’Italia, qual è la vostra percezione?

“Il fenomeno sta dilagando e ci preoccupa seriamente. Torino non era stata colpita in modo particolare, ma è evidente che in qualsiasi città un piccolo gruppo organizzato possa trascinare nell’emulazione tutti gli altri. Entra in gioco la psicologia delle masse, scienza approfondita proprio con riferimento alle grandi adunate sotto il fascismo e il nazismo: quando c’è una folla, si usano simboli vistosi e un linguaggio violento e suggestivo per la fantasia della gente, anche le persone di buon senso perdono la misura”.

Cosa pensa dei cori sulla tragedia dell’Heysel e il disastro dl Superga? In Italia c’è un problema di “memoria”, di rispetto dei morti? .

“E’ la conseguenza della banalizzazione. Superga fu una tragedia che colpi nel profondo tutta l’Italia, oggi diventa oggetto di esibizionismo, pur di dire qualcosa che colpisca la fantasia. E si scherza sull’Heysel, su persone innocenti che erano andate a vedere uno spettacolo sportivo diventando vittime di un momento di panico allo stadio”

Gli strumenti della giustizia sportiva sono sufficienti?

“La giustizia sportiva sta funzionando, ma manca la possibilità di individuare le singole persone. A chi si rende complice di atti illegali bisogna togliere la speranza o la certezza dell’anonimato”.

Il Viminale punta infatti a una parcellizzazione del settori.

“Forse il sistema dei biglietti nominali e della tessera del tifoso non è stato applicato in maniera abbastanza rigorosa, come accaduto in Inghilterra, ma già quello potrebbe essere determinante”.

Chiudere un intero settore è una sanzione adeguata?

“Si sta dimostrando una misura non sufficiente perché non individua i veri responsabili di ogni singola azione. E bisogna distinguere tra organizzatori e seguaci che, con incoscienza, come se fosse un gioco, si adattano”.

Cosa direbbe a quel tifoso che si adegua e che pronuncia slogan antisemiti e razzisti?

“Non servono slogan contro slogan. Andrebbe obbligato a seguire dei corsi di informazione su cosa sono state le ideologie totalitarie e razziste. E’ un fatto di educazione, soprattutto della gioventù, che può passare attraverso le scuole”.