15 Aprile 2015

Intervista a Najat Vallaud-Belkacem, ministro dell’Educazione nazionale di Francia «Certi allievi hanno un sistema di riferimento basato non sulla scuola o sui media, ma sui siti complottisti»

Fonte:

Corriere della Sera

Autore:

Stefano Montefiori

«Scuola dei valori non solo del sapere» Parigi cerca risposte contro il fanatismo

Parigi Nell’ufficio che fu di Jules Ferry, promotore nell’Ottocento della scuola «gratuita e obbligatoria» pilastro della Francia, siede — per la prima volta nella storia — una donna. Najat Vallaud-Belkacem, 37enne nata a Beni Chiker (Marocco), è la ministra dell’Educazione nazionale. Un ruolo chiave nel Paese che si vuole in crisi di identità, ancora di più dopo gli attentati di gennaio.

Da mesi tutti gli occhi sono puntati sulla scuola, giudicata l’unica risorsa contro il terrorismo interno.

«La reazione agli attentati è stata molto interessante. I francesi avrebbero potuto cadere nella ricerca di un capro espiatorio, cedere alla diffidenza, invece l’u gennaio sono scesi in piazza a milioni, e si sono chiesti “come possiamo educare i nostri figli perché tutto questo non accada di nuovo”».

Sente il peso della responsabilità?

«Quel giorno chi mi incontrava mi diceva “adesso contiamo su di lei, tocca alla scuola”. Non ero molto a mio agio, ma al tempo stesso la sfida è entusiasmante».

Ci sono stati incidenti durante il minuto di silenzio in memoria delle vittime, alcuni allievi non hanno voluto rispettarlo.

«In quei giorni la scuola è diventata la fonte di tutte le speranze e allo stesso tempo la spia di tutto quel che non va nella nostra società. Ecco perché ho voluto aspettare qualche giorno, azzerare gli impegni, e ascoltare tutti, insegnanti, genitori, studenti. Alla fine abbiamo deciso di lanciare le “Assise per i valori della Repubblica”, delle riunioni che si tengono nelle scuole di tutta la Francia alle quali partecipano insegnanti, associazioni, politici locali. Il 12 maggio l’esperienza si chiuderà e faremo il bilancio».

Quali segnali ha gli raccolto?

«Prima di tutto una partecipazione enorme, a ogni riunione ci sono 3oo o 40o persone anche nei villaggi più piccoli. Poi, finalmente, si sta facendo largo la convinzione che la scuola non può e non deve trasmettere solo saperi ma anche valori».

Questa è una frattura profonda: alcuni politici e intellettuali che amano descrivere il declino della Francia lo attribuiscono in primo luogo alla scuola che ha perso autorità, che si preoccupa di troppe cose e non abbastanza di impartire conoscenze. È un dibattito eterno anche in Italia.

«Da noi prende la forma di una contrapposizione tra i cosiddetti pedagogisti, che predicano la realizzazione del bambino in classe, e i repubblicani, che vorrebbero trasmettere puramente saperi, istruire piuttosto che educare. Io non credo che sia possibile separare i due aspetti. Saperi e valori si influenzano. Gli allievi più in difficoltà, che stentano a padroneggiare il francese, la comunicazione verbale, cadono più facilmente nella violenza fisica, non riescono a vivere insieme agli altri. Vale anche nell’altro senso, i bambini che hanno acquisito i valori della cittadinanza hanno voti migliori».

Ma chi stabilisce i valori?

«Alcuni allievi chiedevano “perché la libertà di espressione va protetta e poi Dieudonné viene processato?” Sono questioni complicate, e alcuni insegnanti ci hanno chiesto aiuto. Abbiamo fatto ricorso à esperti che per due giorni hanno dato degli elementi utili a 1000 “formatori”, che stanno attraversando la Francia per aiutare gli insegnanti. Certi allievi hanno un sistema di riferimento basato non sulla scuola o sui media, ma sui siti complottisti. Siamo in competizione con una sorta di quarta dimensione, agiamo di conseguenza. Un’altra novità importante sono “i riservisti”».

Che cosa sono i «riservisti»?

«Dopo i fatti di gennaio tantissimi francesi hanno scritto a me e al ministero per dire “vogliamo aiutare la scuola”. Avvocati, spazzini, manager, casalinghe, ognuno con una esperienza da raccontare in classe. Coi abbiamo lanciato una “riserva di cittadini” sul modello della riserva dell’esercito. In un mese e mezzo abbiamo avuto oltre 4 mila iscritti, volontari che ci aiuteranno a diffondere nelle scuole i valori della Repubblica. Il modello è Latifa Ibn Ziaten, la madre di uno dei soldati uccisi da Mohammed Merah, che oggi parla nelle scuole contro il fanatismo islamista».

Il presidente François Hollande la porta a esempio, dice che lei è la prova che «la scuola repubblicana può essere il luogo della realizzazione per tutti».

«Non ne parlo volentieri, perché nessuna dimostrazione è convincente se si basa su un solo caso, su un simbolo. Ma è vero che ho un percorso particolare, nata in Marocco, famiglia povera, e ministra dell’Educazione. Una buona pubblicità per la scuola francese, che ne ha molto bisogno».