16 Novembre 2018

Intervista a Dario Disegni, Presidente della Comunità Ebraica di Torino

Fonte:

Corriere Torino

Autore:

Paolo Coccorese

«Ancora troppi eventi antisemiti al Campus»

«Dopo la mostra, organizzeremo un ciclo di eventi sulla realtà ebraica, sempre in Ateneo. Lo faremo al Campus dove ci sono state manifestazioni fortemente antisraeliane e assolutamente di parte, organizzate dal collettivi studenteschi. E importante presentare la complessità del mondo ebraico». Dario Disegni, 69 anni, ex responsabile delle attività culturali della Compagnia di San Paolo, oggi in pensione, è il presidente della Comunità Ebraica di Torino che conta 900 persone.

Che valore ha questa mostra?

«E’ una delle prime occasioni per il Paese di fare i conti con le sue colpe. Dopo 80 anni è arrivato il momento, grazie a convegni, esposizioni e laboratori con gli studenti, di affrontare una realtà per anni rimasta taciuta».

Quale?

«Le leggi razziali non sono state fatte per compiacere Hitler, ma sono state un atto in continuità con la storia del fascismo. Fa impressione, rivedere le immagini del ’38 della piazza di Trieste dove Mussolini rivendicò che gli italiani erano “francamente razzisti”. La politica antisemita del Regime ha radici nelle politiche coloniali».

Perché occuparsi oggi di questi fatti così lontani?

«La memoria di quegli anni è qualcosa di importante perché ci consegna la necessità di un impegno civile per vigilare e lottare contro l’insorgere di razzismo, xenofobia e antisemitismo. Anche in Italia».

A Torino avete registrato un aumento di casi xenofobi?

«Non ci sono state azioni violente come succede nelle città di altre nazioni, ma si sono moltiplicate le scritte che incitano all’odio. Lo stesso che trova un terreno fertile sui social network e sul web».

Perché su Internet?

«Questo clima di intolleranza e difficoltà sociale ha sdoganato pregiudizi che sembravano sopiti. Non ci si vergogna più e si dà il libero sfogo a messaggi pericolosi che trovano terreno fertile tra i giovani».

Avete fatto una battaglia per riaprire gli archivi?

«Il lavoro di recupero è fondamentale come ha dimostrato da questa mostra. Gli archivi sono una miniera di dossier che per 8o anni sono rimasti chiusi. Per questo abbiamo fatto un invito a riaprirli. Per fare conoscenza, per fare chiarezza e raggiungere la verità. Per poter raccontare a chi non c’era e non conosce le leggi razziali. E anche a chine ha sentito parlare. Ma solo in modo edulcorato».

L’antisemitismo trova sostenitori anche nel mondo islamico. Siete preoccupati?

«Con la comunità musulmana abbiamo creato un coordinamento per lottare contro i pregiudizi. Tutti. Anche l’islamofobia».