15 Agosto 2015

Insulti e razzismo attraverso i social networks

Fonte:

la Repubblica

Autore:

Enrico Bellavia

Insulti ai magrebini, guerra ai “vu cumprà” sui social impazza il politico razzista

Da Salvini ai 5Stelle, dai forzisti a Fratelli d’Italia, su Facebook trionfano gli attacchi a profughi, “zingari” e immigrati

Dall’insulto razzista alla propaganda becera. Se l’argomento è l’altro, il diverso, lo “straniero”, allora sì che, complice il picco di calura, le falangi di imbecilli, per dirla con Umberto Eco, si fanno legioni. Il terreno preferito sono i social, dove chiunque sfodera il peggio del proprio repertorio, il più politicamente scorretto. Ne sa qualcosa l’assessore veneto Elena Donazzan. In vacanza a Sanremo con il fidanzato subisce il doppio furto della sua bici, eredità paterna, e di quella del compagno, special d’alto costo. Pugnace e indomita, la coppia si dà alla caccia dei ladri. Li scova. E il vigoroso «camerata patriota Vittorio si fa giustizia da solo» e recupera il bottino. Episodio di nessuna rilevanza se il politico forzista non avesse deciso di “condividere” la propria disavventura. Dando delle «m….» e «bastardi» ai magrebini autori del furto e concludendo tronfia con un «Magreb 0 — Italia 2». Richiesta di un commento, la Donazzan ingrana la retromarcia. Nega di essersi fatta giustizia da sola e conferma che «chi ruba per me è un bastardo». Invoca la privacy, non sapendo o fingendo di non sapere che quella finestra aperta sul mondo, consente di scrutare in casa propria. Spesso la leva della provocazione si ritorce contro e il dileggio, quando non l’indignazione, coprono di ridicolo l’incauto autore. Dritto per la propria strada va Matteo Salvini che a ogni sparata sui migranti sul profilo Twitter o su Fb catalizza un concentrato di battutisti alla Groucho Marx. Quando ha ironizzato su un immigrato partito da Gorizia e arruolatosi nell’Is— «I vostri vicini di casa sono altrettanto ben integrati??» — in undicimila si sono spellati le dita alla tastiera. Rincarando la dose. E l’effetto emulazione si risolve nel chi la spara più grossa. «Bisognerebbe fare una modifica al codice penale: non è reato se prendi a bastonate uno zingaro che ruba. Siete con me?», chiede da Facebook il salviniano al primo municipio di Roma, Luca Aubert. Il post è stato rimosso ma lui continua a porsi domande complesse: «Non capisco il perché di questo sdegno. Se qualcuno ti entra in casa, che fai non ti difendi?». Incurante che ribaltando il suo assioma, se a entrargli in casa fosse un italiano, lo lascerebbe fare. Tra chi propone buttafuori «anti vu cumprà» ai lidi ferraresi, come il capogruppo leghista in Emilia Romagna, Alan Fabbri, c’è chi, come un gruppo di Cinquestelle di Carate Brianza, mette in rete una vignetta con un banchetto del Pd sulla spiaggia e tre profughi che corrono a prendere la tessera. La trovata totalizza fischi. Il provvidenziale tasto «delete» arriva in soccorso, ma, sparita dal profilo, la vignetta rimbalza nella Rete che nulla dimentica. Del resto il “là” ai pentastallati lo aveva dato il líder maximo quando con un tweet aveva invocato elezioni nella capitale prima che «Roma venga sommersa da spazzatura, topi e clandestini». Poi solito giochino del cancello e aggiusto il tiro. Rimane fermo sulle proprie posizioni l’ormai ex dirigente ferrarese di Fratelli d’Italia, Fabrizio Florestano. L’ex ministro Kyenge dice che l’accoglienza in casa dei profughi è una opzione e lui chiosa su Fb: «Io ne prendo 100 alla volta: tempo di sparare per farli cadere in una buca e me ne date altri cento». Il partito chiede scuse «in mondovisione». Lui, se ne va. Il medico e consigliere lombardo, ex Maroni, Maria Teresa Baldin la mette sull’estetica: «Abbiamo accolto persone a cui le opere d’arte non interessano». Avrebbero potuto andare per mostre prima di chiedere asilo. Al limite del cortocircuito il sindaco leghista di Padova, Massimo Bitonci che ha apostrofato con un «via, terrone», Antonio Foresta, consigliere cosentino, che lo sostiene. Ma chi di Internet colpisce, di Internet perisce. Questa volta il razzista è un algoritmo di Google che ha archiviato come gorilla due persone. Avevano solo la pelle scura. E anche il colosso di Mountain View ha chiesto scusa. E cancellato.