15 Gennaio 2023

Il Presidente della Comunità ebraica di Bologna commenta l’assoluzione dell’estremista di destra che indossava la maglietta con la scritta “Auschwitzland”

Fonte:

Il Resto del carlino edizione di Bologna

Autore:

Luca Orsi

‘Auschwitzland’, la Comunità ebraica «Offesa all’intelligenza del popolo»

Durissimo il presidente Daniele De Paz dopo la sentenza del tribunale di Forlì: «Decisione irricevibile» Poi l’affondo: «Quello slogan sulla maglietta banalizza e tende a ridicolizzare il contesto storico»

Sentenza «irricevibile». «Un’offesa all’intelligenza del popolo italiano». Daniele De Paz, presidente della Comunità ebraica bolognese, si dice «sconcertato» dalla sentenza del tribunale di Forlì che ha assolto Selene Ticchi – attivista del Movimento nazionale – perché indossare una maglietta con la scritta ‘Auschwitzland’ con l’inconfondibile skyline del campo di concentramento nazista «non è reato». In attesa delle motivazioni del giudice, l’avvocato Antonio Giambrone, parte civile al processo per conto dei partigiani dell’Anpi, ipotizza che il giudice abbia ritenuto «che il simbolo sulla maglietta, trattandosi di una novità grafica, non di un’icona direttamente riconducibile al partito o all’ideologia fascista, non configurasse il reato contestato».

Presidente De Paz, che ne pensa?

«Se questa interpretazione fosse confermata, si potrebbe generare un precedente gravissimo. Non si può inquadrare l’apologia per simboli. Diventerebbe facile aggirare il divieto. Non solo. L’esito della sentenza manifesta una certa lettura ben lontana dal ciò che prevede la legge di riferimento».

Perché, secondo lei, non basta il chiaro richiamo ad Auschwitz?

«Quello slogan sulla maglietta banalizza, tende a ridicolizzare il contesto storico. È una provocazione alla Storia. In generale, al di là del fatto che nessuno dovrebbe indossare una maglietta di quel tipo, la trovo un insulto a me, a chiunque, alla società».

Il 27 gennaio si celebra il Giorno della memoria.

«La vicinanza con questa data rende la cosa ancora più dolorosa. Anche perché episodi come questo rafforzano, direi legittimano, la possibilità di potere dialogare nella società con una modalità di comunicazione e di linguaggio violenta. Un tipo di comunicazione che, nel 1938, fu capace di stravolgere la nostra società».

Lei parla di sentenza irricevibile.

«Non ho gli strumenti per fare un commento tecnico. Dal punto di vista politico e sociale, però, non capisco il motivo per cui si sia voluto cambiare rotta rispetto a una legge impostata su equità, tolleranza e diritti».

Teme che certe nostalgie possano riportarci al passato?

«Se certi temi, in cui la Storia è ancora vicina, bisogna essere molto prudenti. Tenere alta la guardia. Perché antisemitismo, razzismo e pregiudizio sono ancora molto presenti e oggi tendono purtroppo a riaffiorare».