Fonte:
La Repubblica
Autore:
Viola Giannoli
Bernini “Nelle aule cresce l’antisemitismo La sinistra deve aiutarci”
Il vero discrimine, inaccettabile e invalicabile, è la violenza. Impedire a qualcuno di parlare è l’opposto della democrazia
ROMA — Ministra Bernini, com’è andato l’incontro con i rettori?
«Abbiamo condiviso una stessa preoccupazione e registrato una comune condanna della violenza. Per gli atenei è un momento delicato, segnato da un crescendo di episodi di intolleranza, come riflesso del quadro internazionale. Sono spazi dove non solo si acquisiscono saperi, ma si diventa cittadini. È interesse del Paese salvaguardare questi luoghi di democrazia».
Quale è il livello di allarme?
«Non sottovalutiamo ma non drammatizziamo. Negli atenei c’è consapevolezza, ognuno con la sua storia. Ma è cruciale anche che la politica faccia la sua parte. Una dialettica, anche vivace, nelle università, è una ricchezza. Il vero discrimine, inaccettabile e invalicabile, è la violenza. Impedire a qualcuno di parlare è l’opposto della democrazia».
Non è un approccio condiviso?
«Formalmente sì ma faccio un appello anche alla sinistra. Se è vero che condividiamo, sulla crisi in Medio Oriente, la necessità di salvaguardare la prospettiva dei “due popoli due Stati” e anche una critica alla sproporzionata reazione di Netanyahu, è anche vero che occorre fare i conti con chi confonde questa critica con l’antisemitismo. Non sono “compagni che sbagliano”, sono nemici della democrazia. Auspico che la sinistra, che ha nel dna la battaglia contro l’estremismo, sappia fare la sua parte».
Pensate a misure straordinarie?
«Il governo, diversamente da altri, non vi ha fatto ricorso, come per il divieto delle manifestazioni. E un segnale di forza che vale anche per le università: nessuna logica emergenziale. Ma serve uno sforzo per una consapevolezza comune».
Consapevolezza o norme?
«La Crui ha istituito un gruppo di lavoro per condividere buone pratiche. La comunicazione con il ministero è costante. Abbiamo condiviso la necessità di coinvolgere di più gli studenti. Rimarrà nella piena autonomia degli atenei attivare dispositivi per fare in modo che altri casi di intolleranza o antisemitismo non si ripetano».
Significa polizia all’università?
«L’unica contrazione di libertà che vedo è quella di chi ha impedito di parlare al direttore Maurizio Molinari, a David Parenzo o a Chiara Saraceno. O la violenza verbale verso quel monumento vivente di democrazia che è Liliana Segre. L’unica strada percorribile è coniugare libertà di espressione e sicurezza».
In che modo?
«Separare i professionisti della protesta dagli studenti, per impedire che questi episodi si ripetano, significa garantire l’esercizio della libertà nella sicurezza. Ho molto apprezzato i ringraziamenti alle forze dell’ordine. Le università non sono “zone franche” dove vige il principio di extraterritorialità».
Cosa pensa della scelta di non partecipare a un bando Maeci perla collaborazione Italia-Israele dell’ateneo di Torino?
«La ritengo, anche per la portata simbolica e il possibile effetto emulativo, una decisione profondamente sbagliata, anche se formalmente legittima nel sistema dell’autonomia. La diplomazia scientifica è strumento di pace. Le università non possono schierarsi o entrare in guerra».
All’inaugurazione dell’anno accademico a Bologna ha chiesto al deputato leghista Morrone di non zittire la protesta e di lasciare una kefiah sul podio durante il discorso.
«Il discrimine non è una kefiah o un’opinione radicale, ma la violenza. E in quell’occasione sono stata ascoltata».
La Comunità ebraica parla di “clima d’odio contro gli ebrei”. C’è un allarme antisemitismo negli atenei?
«Condivido la loro preoccupazione e credo che, non solo negli atenei, si registrino segnali inquietanti, verso i quali la prima risposta deve essere politica e culturale. Siamo di fronte a un progressivo slittamento, per cui si fa di tutt’erba un fascio. E dalla critica a Netanyahu si passa al rovesciamento della realtà: scompaiono le ragioni dell’aggredito nel Pogrom del 7 ottobre e l’antisemitismo diventa funzionale all’odio anti-occidentale».
Tollerare le proteste degli antagonisti porta al terrorismo, come ha detto Lollobrigida?
«Nelle università non ci sono pistole né la celere che reprime. Serve però consapevolezza che viviamo in un tornante difficile della storia, segnato da due guerre e da tanti focolai a bassa intensità. Tensioni internazionali che hanno una ricaduta nelle opinioni pubbliche. Le classi dirigenti hanno il dovere di tutelare le università come fabbriche di pensiero e di futuro».