4 Giugno 2025

I presidenti delle Comunità ebraiche italiane si esprimono contro il BDS promosso da alcune amministrazioni regionali e cittadine

ITALIA EBRAICA – I presidenti di Comunità: «Un errore sospendere i rapporti con Israele» 

C’è preoccupazione tra i rappresentanti delle Comunità ebraiche italiane per la decisione di alcune amministrazioni regionali e cittadine di centrosinistra di sospendere i rapporti con il governo israeliano. Una mossa che, è opinione comune, non sarà di nessun aiuto alla pace, al dialogo e alla convivenza. Ma anzi causerà nuove incomprensioni e fratture.
Il primo a muoversi in tal senso è stato venerdì scorso Michele Emiliano, il presidente della Regione Puglia. «Il suo atto ci ha lasciati perplessi», spiega Daniele Coppin, consigliere e portavoce della Comunità ebraica di Napoli, referente per tutto il Meridione. «E se da una parte non sembra avere effetti giuridici, trattandosi piuttosto di un invito, è l’aspetto simbolico con le sue conseguenze a essere problematico. Una interpretazione estensiva dello stesso, indipendentemente dalla volontà, rischia di essere discriminatoria verso i cittadini israeliani e per esteso gli ebrei». Dopo la Puglia, potrebbe essere il turno della Campania? Per Coppin, il governatore Vincenzo De Luca «è sempre stato molto sensibile al mondo ebraico, ma ultimamente sembra avere sposato una narrativa allineata alle posizioni propal; non abbiamo avuto nessun segnale che possa procedere nella stessa direzione, ma non lo si può escludere».
Dopo Emiliano l’istanza è stata fatta propria dal presidente dell’Emilia-Romagna Michele De Pascale e da Matteo Lepore, il sindaco di Bologna. «Interrompere i rapporti è un errore, non aiuta il dialogo ma anzi favorisce l’incomprensione», sottolinea il presidente della Comunità ebraica bolognese Daniele De Paz. «La guerra è arrivata a un punto insostenibile, ma servono piattaforme diverse per esprimersi da quelle attuali: certo non può essere la modalità “Palestina libera dal fiume al mare” di molte iniziative propal». Secondo De Paz, per “abbassare la temperatura”, almeno qui in Italia, servono alcuni azioni nette. Il presidente degli ebrei bolognesi ne parlerà nei prossimi giorni con lo stesso De Pascale e si è già confrontato nel merito con l’arcivescovo cittadino Matteo Zuppi. «La prima è chiedere a tutti di fermarsi, da Israele ai terroristi di Hamas», dichiara De Paz. «C’è poi l’esigenza di portare avanti una rappresentazione pubblica che stia sopra le parti e nasca dal dialogo. Non siamo in Medio Oriente, non possiamo permetterci di importare l’odio generato dal conflitto, ma cercare il più possibile di trovare delle formule di ascolto e confronto. Non è facile, ma dobbiamo provarci».
Fortunato Arbib, il presidente della Comunità ebraica di Ferrara, è sgomento. «Tra le competenze che spettano a un presidente di regione non mi pare ci sia quello di interrompere i rapporti con uno stato», riflette. «Purtroppo anche in politica non si presta sufficiente attenzione alle conseguenze di ciò che si dice e fa; c’è molta violenza verbale in in circolazione e il rischio, come vediamo da notizie dalle quali siamo sopraffatti, è che possa diventare violenza anche fisica». Secondo Arbib, nato e cresciuto a Tripoli, costretto alla fuga per i pogrom e le violenze nel paese arabo, «c’è un pericoloso accanimento contro Israele che non considera la storia che ci ha portati fino a oggi». Ed è, a suo dire, un accanimento «irresponsabile».
«Come al solito», sostiene Riccardo Joshua Moretti, il presidente della Comunità ebraica di Parma, «quando qualcuno scatena una provocazione c’è subito chi indipendentemente da tutto si mette in fila: questa situazione ne è una prova». Secondo Moretti, a monte «c’è un problema più ideologico che oggettivo: sono pensieri e azioni unilaterali, dello stesso genere che vediamo rappresentato in molte manifestazioni. Gaza è ormai la capitale ideologica di un pensiero e ne paghiamo le conseguenze anche come ebrei italiani».
È dello stesso avviso Nicoletta Uzzielli, la presidente della Comunità ebraica di Modena: «Stupisce che prima di procedere non si sia dato ascolto al nostro pensiero; il periodo storico è difficile e con atti del genere la situazione può solo complicarsi. Servirebbe una maggior predisposizione all’ascolto del mondo ebraico, con la sua varietà di vedute: sarebbe un esercizio utile, in un momento di forte crescita dell’odio».