10 Marzo 2021

Giovanni Ziccardi, professore di informatica giuridica all’università Statale, spiega il fenomeno dello zoombombing

Fonte:

La Repubblica edizione di Milano

Autore:

Tiziana De Giorgio

“Le incursioni razziste sulle videochat un mezzo degli hater per avere visibilità”

Dal Covid in avanti il fenomeno è diventato devastante, sono soggetti veicolatoci d’odio

Nell’ultimo caso sono state prese di mira le “Storie della buonanotte”, una videochat creata su Teams dal sistema bibliotecario milanese per bambini piccoli. Una stanza di di Tiziana De Giorgio lettura virtuale dove veniva raccontata una favola ogni sera ora temporaneamente sospesa dopo che un gruppo di utenti con profili falsi è entrato nell’evento online, dispensando volgarità e immagini di Mussolini, sulle note di Faccetta nera. Ma gli episodi di “zoombombing” in questi mesi di lavoro e relazioni a distanza si stanno moltiplicando: «Dal Covid in avanti il fenomeno è diventato devastante». A parlare è Giovanni Ziccardi, docente di Informatica giuridica alla Statale, chiamato dal precedente governo a far parte di un gruppo di esperti per analizzare le dinamiche dell’odio in rete in Italia, tema che studia da anni.

Professore, che senso ha colpire tosi un’Iniziativa per bambini?

«Facciamo una premessa: esistono tre tipi diversi di zoombombing».

Ci spieghi.

«Il primo è qualcosa di simile alla goliardia, allo scherzo telefonico. Quando ci sono link pubblici a determinati eventi ci sono due, tre individui che visi intrufolano e disturbano. Una cosa però tutto sommato gestibile».

II secondo?

«E già più problematico, perché riguarda le lezioni di didattica a distanza. I casi degli studenti bestemmiatori ne sono un esempio: alunni che intervengono durante le spiegazioni in altre classi o istituti, dopo aver ricevuto il link da amici via WhatsApp. A volte sostituiscono anche i documenti messi a disposizione dai prof con file pieni di insulti e bestemmie».

Ci sono molti episodi così?

«Parecchi, sì. Tutto si gioca su una forte asimmetria fra studenti e insegnanti in quanto a competenze digitali. Molti docenti non erano assolutamente pronti a usare questo tipo di piattaforme e a oggi non tutti conoscono le diverse funzionalità di protezione, che in ogni caso nei mesi scorsi si sono dovute aggiornare in corsa in termini di sicurezza».

Quindi siamo al terzo tipo dl zoombombing.

«Quello in cui sembra rientrare il caso delle Favole della buonanotte. Una tipologia già studiata dall’Fbi, che ha lanciato un allarme su questo, molto simile alle campagne di odio sui social. Di fondo c’è la volontà di far saltare un evento. Negli Stati Uniti ci sono stati attacchi di ogni genere. Nel mirino riunioni degli alcolisti anonimi, incontri per la tutela delle minoranze, appuntamenti pubblici sull’antidiscriminazione, le donne, i bambini».

Qual è lo scopo?

«Veicolare contenuti d’odio, specialmente in contesti dove la discussione è su temi social i».

Nel caso dell’appuntamento organizzato dai bibliotecari, però, si trattava della lettura di una fiaba, nient’altro.

«La chiave sta nella ricerca della visibilità, proprio come gli odiatoci che prendono di mira cantanti o personaggi famosi pubblicamente. E come se fossero un veicolo. “Sapevo che odiare Emma mi avrebbe portato condivisioni e like sui social”, è la risposta di molti hater individuati e contattati al telefono. Pensi al caso di Liliana Segre: in quanti la odiano per davvero?».

Bambini e genitori quindi non erano il bersaglio ma un veicolo?

«Io credo che a quel gruppo dei bambini e delle loro famiglie non importasse nulla. Quello era un luogo ideale per guadagnare visibilità, l’evento perfetto».

Chi c’è dietro questi gruppi?

«Un po’ di tutto, la figura dell’odiatore è difficile da inquadrare e le motivazioni sono molto eterogenee. Ma l’effetto riflettori resta uno dei nodi più grandi, è una sorta di esibizionismo».

Sono state usate immagini del duce e la musica di Faccetta nera. In tanti si sono preoccupati anche solo per questo.

«Anche lì, la questione non è così semplice. È chiaro a tutti che l’iconografia fascista è un punto debole perla nostra cultura, che usando quelle immagini si può avere attenzione immediata. Non è detto che chi le ha usate ne sappia di storia. Spesso si punta solo a una reazione e si cerca la strada più facile».