3 Giugno 2018

Gianni Vattimo, Essere e dintorni, La nave di Teseo, 2018

Fonte:

Corriere della Sera la Lettura

Autore:

Donatella Di Cesare

Vattimo a Teheran per salvare Heidegger

Il nuovo libro di Gianni Vattimo Essere e dintorni (La nave di Teseo) comprende 31 saggi che sono altrettanti tentativi di interpretare l’attualità. Ecco perché il volume non è un trattato metafisico, bensì un «breviario teologico-filosofico», o meglio, il «diario di una crisi», quella provocata dalla pubblicazione dei Quaderni neri di Martin Heidegger. In tempi in cui si parla di un «ritorno» della filosofia al centro dello spazio pubblico, le pagine di Vattimo sono esempio di stile, chiarezza, accessibilità. Perché se i filosofi vogliono contribuire a riflettere sulla situazione presente, bisogna che parlino e scrivano in modo comprensibile. Ii «breviario» ruota intorno al nesso stretto fra interpretazione ed emancipazione. Si ricorderà la celebre frase di Karl Marx contenuta nelle Tesi su Feuerbach: «I filosofi hanno finora solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta ora di cambiarlo». Ebbene, questa tesi — così commenta Vattimo — va presa con la dovuta cautela. Perché interpretare è già cambiare. Lo mostra l’ermeneutica, che non è un relativismo tradizionalista. Chi la fraintende in tal senso, presume che ogni interpretazione rispecchi in modo imperfetto e mutevole la «verità oggettiva» del mondo là fuori. Al contrario, l’interpretazione — come insegna già Aristotele — è l’apertura in cui, di volta in volta, la verità si costituisce articolandosi. Ogni interpretazione è un contributo alla verità condivisa. Si intuisce il valore democratico dell’ermeneutica. Perché il totalitarismo attecchisce là dove una sola interpretazione vorrebbe imporsi come la verità. Meglio, dunque, diffidare di chi sostiene di possederla. D’altronde già all’epoca de Il pensiero debole, nel 1983, Vattimo aveva avanzato l’esigenza di un pensiero in grado di farsi carico della dissoluzione di princìpi e strutture forti. L’ultimo Vattimo rilancia: se non c’è emancipazione senza interpretazione, ogni interpretazione porta sempre con sé una carica liberatoria. E suggerisce: «Finora i filosofi hanno creduto di descrivere il mondo, ora è venuto il momento di interpretarlo…». Per essere coerente il pensiero debole non potrà rivendicare una «posizione di sovranità», tanto meno nella prassi politica. Ma l’ermeneutica è emancipazione anche perché racconta un’epoca che sa di essere ineluttabilmente contingente, profondamente storica. Sulle orme di Heidegger, Vattimo ripercorre la storia del lungo addio all’Essere, che può restare solo nel ricordo. Così l’ermeneutica si aggira «nei dintorni dell’Essere» — come suggerisce il titolo. Che avviene, però, all’indomani dei Quaderni neri? Negli ultimi saggi Vattimo ricostruisce l’intenso dibattito esploso non tanto sull’adesione al nazismo, quanto sull’antisemitismo e sull’interpretazione della Shoah. Evita le due scorciatoie più frequenti: quella di coloro che vorrebbero gettare l’opera di Heidegger alle ortiche e quella di chi banalizza fino a negare persino l’antisemitismo. Chiaro è tuttavia il suo tentativo di «salvare» Heidegger. Come? Facendone un «teologo cristiano». A Vattimo non interessa tanto la politica di Heidegger, che pure emerge da quelle pagine. Risuona allora la sentenza che suggella l’intervista allo «Spiegel» uscita postuma: «Ormai solo un dio ci può salvare». La via di salvezza sarebbe quella di un cristianesimo paolino. Ma a parlare è Vattimo oppure Heidegger? Le parti sembrano confondersi. Tanto più che l’ultimo Vattimo, fulminato sulla via di Damasco, interpreta l’emancipazione in chiave religiosa. Questo sostanzia anche le sue scelte politiche, più che discutibili. Con un salto mortale nella metafisica il pensiero debole si fa pensiero dei «deboli», una categoria reificata senza considerare che debole rinvia a una relazione — si è deboli sempre rispetto a qualcun altro e i deboli non hanno sempre ragione. La Siracusa di Vattimo si chiama Caracas, se non addirittura Teheran. Per un verso le lodi a Chávez, fulgido esempio di socialismo, per l’altro l’apprezzamento per Ahmadinejad nonché il giudizio su Israele: «Tra i peggiori danni prodotti dalla politica hitleriana e dall’Olocausto». L’antisionismo di Vattimo — è bene dirlo a chiare lettere — si nutre di un vecchio antiebraismo marcionita, che la Chiesa ha già più volte condannato, si alimenta di una teologia della sostituzione — bandire la vecchia legge per far trionfare lo spirito — che tanti danni ha prodotto nella storia. L’ermeneutica viene sacrificata sull’altare di un cattolicesimo che vorrebbe cancellare il messianismo ebraico, tradita in nome di forti prese di posizione, che hanno tratti categorici e assiomatici. In futuro bisognerà chiedersi come salvare Vattimo dopo aver salvato Heidegger.