22 Gennaio 2021

Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC, commenta i recenti attacchi telematici contro la Senatrice Liliana Segre

Fonte:

Moked.it

Autore:

Gadi Luzzatto Voghera

Costruzione di un Meme

Nei giorni del voto di fiducia al governo ha cominciato a circolare sui social un nuovo Meme, costruito ad hoc per elevare l’asticella del discorso d’odio alimentandola spesso con elementi di pregiudizio antisemita. L’operazione è il frutto di una strategia comunicativa che si è avvalsa di diversi elementi, tutti giustamente evidenziati e respinti da Stefano Jesurum ieri su queste pagine. Primo passo: si sceglie il volto di un personaggio famoso. Nel nostro caso Liliana Segre, perfetta in questo ruolo e in questo momento. Ebrea e parlamentare (cioè esponente della “casta”). Per non farci mancare nulla si approfitta del fatto che nel periodo che precede il Giorno della Memoria gli ebrei sono più visibili, fanno più rumore mediatico. Secondo passo: si evita a tutti i costi di trasmettere anche un solo elemento che ricordi la verità per quella che è, cioè che a) la signora Segre è stata nominata senatrice a vita (procedura legittimamente riconosciuta dalla nostra Costituzione all’art.59 che recita: “Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”) e ha diritto di voto al Senato; b) la signora Segre è stata deportata ad Auschwitz e da decenni porta la sua testimonianza di sopravvissuta ovunque contribuendo alla crescita civile del Paese; c) la signora Segre è impegnata in azioni istituzionali di lotta alle discriminazioni (sua l’iniziativa per istituire la Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza) e in azioni umanitarie sul territorio, ultima delle quali la distribuzione di indumenti a persone disagiate presso il Memoriale della Shoah, che ospita la banchina da cui partì il treno merci con cui venne deportata in Polonia nel 1944. Terzo passo: si costruisce una narrazione alternativa che colpisca l’immaginario, susciti sentimenti negativi quali invidia, rabbia, rancore, accrediti l’idea che la politica sia una cosa sporca con la quale ci si vuole solo arricchire, utilizzi elementi come il denaro, che sono radicati nella retorica antisemita da secoli. Il tutto utilizzando una semplice fotografia della signora Segre (quella ufficiale del Senato) corredandola con una scritta che proietta a lettere cubitali le cifre (palesemente esagerate e fasulle) della sua remunerazione annua a cui seguono tre parole di accusa politica: “Per una firma”. L’intento denigratorio è evidente, ma non ci interessa qui nello specifico. In realtà il secondo livello (più vero, molto efficace dal punto di vista comunicativo) è quello di suscitare rabbia nei lettori. Una rabbia che poi i numerosi leoni da tastiera si incaricheranno di riempire a dovere con il loro veleno. Un fiume in piena di commenti e faccine grignose e vomitanti, nessuna delle quali è riferita alla Liliana Segre “vera” (legittima senatrice a vita, perseguitata, testimone, impegnata nella lotta al razzismo). L’obiettivo è invece l’icona negativa della signora Segre, costruita ad hoc, falsa e falsificante, che diventa però reale nell’immaginario di chi è abituato a sfogarsi sui social e a utilizzare il discorso d’odio. A ben vedere è questo il meccanismo di base del linguaggio antisemita. Costruire l’immagine credibile di un nemico immaginario utilizzando oculatamente solo alcuni elementi di realtà ma decontestualizzandola, per poi alimentare una narrazione d’odio. Si tratta di una strategia che funziona ed è difficile da smascherare. Ma va fatto, con pazienza, per rispetto della nostra civiltà.