13 Novembre 2020

Gadi Luzzatto Voghera, Direttore della Fondazione CDEC, riflette sulla recente pubblicazione di un saggio con contenuti antisemiti

Fonte:

Moked.it

Autore:

Gadi Luzzatto Voghera

Editori sprovveduti e antisemitismo militante

Su un numero recente della rivista online Artribune è stata pubblicata una splendida e decisiva recensione a firma Marco Enrico Giacomelli dedicata a un testo che dietro le apparenze di una rispettabilità accademica cela una dichiarata e indifendibile sottocultura antisemita. L’autore è Mario Costa, professore universitario emerito di estetica, classe 1936. Il libro, si intitola “Ebraismo e arte contemporanea” ed è pubblicato dall’editore Mimesis. Il testo è vergognoso e imbarazzante, e la recensione lo inchioda con una critica tanto serrata quanto impietosa che non lascia spazio a repliche. Naturalmente non ci lanceremo a nostra volta in recensioni, anche perché un notiziario ebraico non è esattamente il luogo per fare propaganda a un prodotto antisemita. Vogliamo invece interrogare la casa editrice che ha accettato di pubblicare come testo scientificamente fondato una patacca che anche Goebbels avrebbe guardato con qualche sospetto. Intendiamoci: di testi antisemiti è colma l’editoria italiana. L’osservatorio antisemitismo della Fondazione CDEC da anni elenca decine di titoli che vengono allegramente distribuiti nelle librerie e online. Evidentemente il tema non desta scandalo in Italia, e ne prendiamo atto. È noto – tuttavia – che uno dei punti di forza di un editore rispettabile come Mimesis che pubblica interessanti ricerche scientifiche è dato – anche per motivi accademici – dall’istituzione di un comitato scientifico credibile che sottopone i testi alla cosiddetta “peer review”, una lettura attenta del testo affidata a esperti della materia per verificarne la fondatezza e nel caso proporre correzioni prima della pubblicazione. Un testo è considerato scientifico se: a) l’editore fa ricorso alla “peer review”; b) se i membri del comitato scientifico assieme al direttore della collana rispondono di questa pratica, promuovendo quindi il volume in sede accademica. Non si tratta di una pratica neutra: significa assegnare un determinato punteggio a ogni pubblicazione in sede di concorso universitario, cioè stabilire se uno studioso abbia o no i titoli per entrare nell’insegnamento universitario. Se il sistema si incrina (come nel caso di questo testo che – ci auguriamo – sia “sfuggito” alla pratica della verifica) va in crisi dalle sue fondamenta il sistema di reclutamento del personale universitario. Per nostra fortuna il prof. Mario Costa ha terminato da tempo la sua carriera e non potrà insegnare le corbellerie che ha scritto in quel testo. Ma lo stesso non si può dire dei noti studiosi che compongono il comitato scientifico chiamato a controllare la validità del suo obbrobrio antisemita. Si tratta, nell’ordine indicato dall’editore, di Pierandrea Amato, Stefano G. Azzarà, José Luis Villacanãs Berlanga, Oriana Binik, Giuseppe Di Giacomo, Raffaele Federici, Maurizio Guerri, Micaela Latini, Luca Marchetti, Valentina Tirloni e Jean-Jacques Wunenburger. Ai quali si aggiungono i due direttori della collana “Eterotopie”: Salvo Vaccaro (ordinario all’Università di Palermo) e Pierre Dalla Vigna (associato all’Università dell’Insubria). Ne siamo certi, nessuno di loro avrà letto il libro prima. Probabilmente neppure l’editore. Sono però diverse settimane che sui social – grazie alla recensione sopracitata – l’intero gruppo di intellettuali viene sbertucciato in pubblico. Sarebbe opportuna un’azione purchessia. Che so, scusarsi con il mondo dell’università che in genere rispetta il sistema della “peer review”, pubblicare una lista di correzioni ai refusi incredibili di cui è infarcito il libro, e magari (perché no?) provvedere a ritirare dal mercato un volume impresentabile. Ci guadagnerebbe la cultura.