15 Gennaio 2019

Ex vicepresidente del Senato condannato in primo grado per diffamazione aggravata dall’odio razziale

Fonte:

Corriere della Sera

Autore:

Alessandro Troncino

Insulti all’ex ministra Kyenge

Condannato il leghista Calderoli

Bergamo, un anno e 6 mesi con l’aggravante razziale. Pena sospesa

ROMA A volerla prendere sullo scherzoso, si potrebbe ricordare quando, nel 2013, Roberto Calderoli si sfogò: «Sei volte operato, due in rianimazione, una in terapia intensiva, è morta mia madre e mi sono rotto due vertebre e due dita. E ora un serpente in cucina. È il caso di chiedere a papà Kyenge la revoca della macumba». A distanza di cinque anni, mentre il tribunale di Bergamo lo condannava in primo grado a un anno e sei mesi per diffamazione aggravata da odio razziale, il vicepresidente del Senato affrontava l’ennesimo intervento chirurgico. C’è poco da ridere, però, sia per la travagliata salute del senatore leghista, sia per la gravità delle frasi che hanno portato ieri alla sua condanna. Era il 13 luglio 2013 quando Calderoli, nel corso di un comizio alla festa della Lega nord di Treviglio, davanti a un migliaio di persone si lanciò in parole sconsiderate contro l’allora ministra dell’Integrazione del governo Letta: «Amo gli animali, orsi e lupi com’è noto, ma quando vedo le immagini della Kyenge non posso non pensare, anche se non dico che lo sia, alle sembianze di un orango». Seguirono tentativi di recuperare, che peggiorarono la situazione. Calderoli spiegò di «amare gli animali», che il suo era solo «un giudizio estetico» e che era abituato a paragoni bestiali, tanto da aver dato del San Bernardo alla ministra Cancellieri e del «pavone» all’attuale ministro Moavero Milanesi. Quanto a lui: «Mi sento un orso, anche se mi danno del maiale a causa del Porcellum», intesa come legge elettorale «porcata». Seguì un tentativo di riappacificarsi, con tanto di scuse, mazzi di fiori e strette di mano. Calderoli spiegò soddisfatto: «Papà Kyenge ha ritirato il rito contro di me e mi ha adottato come trentottesimo figlio». Le scuse furono accettate dalla Kyenge, diventata europarlamentare, che ora commenta: «Umanamente non ho nulla contro Calderoli. Si è scusato più volte, anche per la cosa tragicomica della macumba. E ho accettato le sue scuse. Ma la giustizia è giustizia, e sono contenta che i giudici, soprattutto in questo momento storico, abbiano voluto intervenire». Anche perché, prosegue l’europarlamentare «le parole pesano: non sono stata io a sporgere denuncia, ma è un bene che la magistratura intervenga. La politica, invece, si è distratta. Compreso il Pd. A Strasburgo per chi si macchia di parole razziste o discriminatorie, si toglie l’immunità e la diaria». I pm Gianluigi Dettori e Maria Cristina Rota avevano chiesto due anni, la difesa l’assoluzione. La condanna di un anno e sei mesi è sospesa. Ma arrivarci non è stato facile. Il Senato (Pd compreso) aveva dato il via libera a procedere per la diffamazione ma non per l’aggravante dell’odio razziale. Usando l’articolo 68 della Costituzione per il quale i parlamentari non rispondono delle opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni. Il ricorso del Tribunale alla Consulta è stato accolto nel marzo scorso. Accolto perché il diritto di opinione «non comprende gli insulti». Quasi inesistenti i commenti politici sul caso. A conferma della «disattenzione» della politica per certi temi, per citare l’eufemismo usato dalla Kyenge.