6 Settembre 2023

Esternazioni cospirativiste del presidente russo Putin

Fonte:

La Stampa

Autore:

Anna Zafesova

Il delirio cospirazionista dello zar

Quello che colpisce, nelle esternazioni del presidente russo sull’«ebreo etnico» Volodymyr Zelensky accusato di «coprire il nazismo» per conto dei suoi «protettori occidentali», non è nemmeno l’assurdità dei suoi insulti – «ripugnante» e «disumano» – o la disinvoltura con la quale impone la sua versione della storia e ne deduce le giustificazioni per la sua invasione dell’Ucraina. Tutto questo fa parte del repertorio del capo del Cremlino, ed è già andato in scena altre volte, per esempio, quando Vladimir Putin aveva citato dei non meglio precisati «amici ebrei» che sostenevano che Zelensky fosse «la vergogna del popolo ebraico». A rendere queste dichiarazioni inquietanti è la durezza sprezzante con la quale ha raccontato alle telecamere il suo delirio cospirazionista, maltrattando come uno scolaretto terrorizzato perfino il direttore del museo della Seconda guerra mondiale Aleksandr Shkolnik- peraltro di dichiarate origini ebraiche – che ha osato balbettare l’obiezione di non conoscere il numero esatto delle vittime dell’Olocausto in Ucraina. L’esclamazione infuriata «Glielo dico io!» del presidente russo sembra essere uscita dalla bocca di un tuttologo di Facebook, e il successivo riferimento agli «israeliani comuni che scrivono in Internet» cattiverie su Zelensky, oltre a suonare un po’ contraddittorio per un uomo che notoriamente non naviga in Rete, appare veramente una argomentazione da chat complottista. Già nel 2014 Putin aveva mostrato che il mito della «Ucraina nazista» che aveva scelto l’Europa invece della Russia proprio perché infiltrata da «agenti americani ed europei» era qualcosa di più di una mossa propagandistica. Una ossessione, ripetuta in pubblico e in privato, nelle conversazioni con i leader europei, incurante dei fatti (come quello che il leader degli indipendentisti ucraini Stepan Bandera era stato incarcerato dagli stessi tedeschi nel lager di Sachsenhausen subito dopo l’invasione dell’Urss), dei dubbi (esistono diverse stime dei milioni di vittime del nazismo in Ucraina, ebrei e non), dell’esistenza di un dibattito storico lungo 80 anni sul grado di collaborazionismo delle varie fazioni nazionaliste (molte combattevano i nazisti in una guerra partigiana, accanto ai pogrom degli ebrei e gli eccidi dei polacchi) e della tragedia dell’Europa dell’Est spartita tra Hitler e Stalin (la bandiera della Russia odierna è quella dell’esercito dei «traditori» sovietici che si schierarono con il Terzo Reich). Tutte complessità spazzate via con una equazione semplicistica – «Chi erano quelli che hanno ucciso un milione e mezzo di ebrei? Gli ucraini. Quali ucraini? I nazisti» – che criminalizza un intero popolo, e getta un improbabile ponte alla invasione che oggi Putin giustifica come un sequel della «Grande guerra patriottica» dei russi contro non più Hitler, ma tutto l’Occidente. Le accuse a Zelensky come «ebreo scelto per coprire l’esaltazione del nazismo e la negazione dell’Olocausto» non sono dirette soltanto all’opinione pubblica russa, che in buona parte si è formata alla stessa scuola di antisemitismo ufficiale di Putin: solo con la fine dell’Unione Sovietica, il governo di Kyiv ha potuto scrivere sulla lapide del memoriale di Babin Yar, sito del più grande eccidio singolo di ebrei durante la Shoah, la parola «ebrei» (prima si parlava solo di generici «cittadini sovietici»). Sono rivolte agli occidentali, con i quali Putin se la prende perché contestano le sue teorie storiche «obiettando che Zelensky è ebreo». Per un settantenne ex ufficiale del Kgb che ha studiato nelle scuole sovietiche, non c’è alcuna contraddizione tra «ebreo» e «nazista», e nessuna remora nell’affermare che un presidente sia stato «messo dai protettori occidentali», invece di essere stato eletto dal 73% dei suoi connazionali che evidentemente non sono poi così antisemiti. Ma questa è la realtà, che in Russia non può smentire l’ideologia, come mostra il recente licenziamento di politologi e storici istituzionali non perfettamente allineati al Cremlino. Al loro posto arrivano i propagandisti che scrivono sotto dettatura di Putin i nuovi manuali di storia che rendono il complottiamo ideologico una disciplina obbligatoria in scuole e università.